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Un nuovo album e la direzione artistica del Cortile Cafè. Giovanni Marinelli si racconta

16-04-2018

Di Claudia Palermo

Un nuovo album e la direzione artistica del Cortile Cafè.

Per Giovanni Marinelli, cantautore pugliese trapiantato a Bologna, il palcoscenico è casa, tanto che ci è salito per la prima volta a soli tre anni.

L’ho raggiunto e mi ha parlato del suo lavoro al Cortile, ma anche di “Il velo di Maya”, il suo ultimo album che continuerà a promuovere nel suo nuovo tour a partire dal 18 Maggio: un lavoro maturo e completo da cui traspaiono chiaramente tanti anni di studio, di esperienze e di passione per la musica. Giovanni si è divertito a cucire addosso ad ogni testo, con estrema cura, la musica più adatta, anche grazie alla collaborazione negli arrangiamenti del produttore Carmelo Pipitone, musicista e chitarrista dei Marta sui tubi. La prima impressione, non a caso, è quella di ascoltare tanti album diversi, ognuno costituito da una sola canzone.

 

Partiamo dal tuo lavoro di direttore artistico. Perché hai deciso di lavorare per il Cortile Café?

Perché, a un certo punto della mia vita, ho deciso di lasciare il lavoro da impiegato e di dedicarmi completamente alla mia passione per la musica cercando di farla diventare anche un lavoro. Così ho cominciato a gestire la programmazione di un locale che, dopo più di dieci anni di attività, stava cominciando a vacillare e aveva bisogno di una rinfrescata. È una collaborazione che mi stimola tanto perché mi fa stare quotidianamente a contatto con il mondo della musica conoscendo molti artisti.

Quali sono gli artisti che preferisci coinvolgere nelle serate del locale?

Nel locale mi piace avere gente che sappia suonare e che si esprima attraverso la musica in maniera, non dico unica, ma particolare, sia proponendo brani originali sia proponendo cover. Preferisco artisti nuovi, con progetti nuovi e con dischi da promuovere. Questi si esibiscono il giovedì sera, durante la rassegna “Sottoscala Live”, rassegna di musica nuova appunto. Non mi dispiacciono anche tante band che vengono a proporci delle cover eseguite in maniera originale, con un tocco personale.

Quanto sono apprezzati i vostri eventi dalla gente? La musica fa sentire tutti più coinvolti?

Gli eventi sono molto apprezzati dalla gente dato che, col passare del tempo, il pubblico è sempre aumentato fino a farci avere delle serate con la fila fuori dal locale. Secondo me la musica fa sentire tutti più coinvolti: cantare insieme la stessa canzone è coinvolgente, fa sentire parte della band, è un forte collante in cui io credo tantissimo, motivo per cui ho voluto che nel nostro programma ci fosse musica tutte le sere.

Sono contento anche che, col passare degli anni, ho notato che tanti altri piccoli locali hanno iniziato a programmare dei concerti durante la settimana. Vuol dire che la città torna a vivere, vuol dire che alla gente si offre qualcosa di diverso e, soprattutto, vuol dire che piace, perché di birrerie ce ne sono tantissime però andare in un posto dove c’è musica dal vivo è sicuramente un valore aggiunto.

Ci racconti brevemente come e quando hai abbracciato il mondo della musica?

Mia madre è una pianista, quindi ho sempre vissuto in un ambiente musicale e già all’età di tre anni ho messo le mani sul pianoforte, strumento che poi ho anche studiato. Successivamente ho lasciato perdere il piano e ho iniziato a dedicare il mio tempo alla chitarra. Ho avuto la mia prima band al liceo, poi una band durante gli anni universitari, fino alla mia carriera da solista iniziata nel 2009 con il mio primo album “Isteria”, il secondo “Oniria” uscito nel 2013 e adesso sto presentando il mio ultimo lavoro dal titolo “Il velo di Maya”.

È un viaggio, tra il country l’elettronica il rock italiano. I brani presentano tagli melodici diversissimi tra loro permettendo di spaziare da luoghi più tranquilli a dimensioni più burrascose e movimentate. Questo album è molto intimo: è come se ti fossi messo a nudo con i tuoi sbagli, i tuoi dubbi, le tue sicurezze, i tuoi sentimenti.

Lo faccio sempre. Sono molto autobiografico. Una volta qualcuno mi disse che per conoscermi bene bisogna leggere i miei testi, e io credo che questo sia verissimo. È un album molto intimo perchè ho dato vita e sfogo ai miei pensieri un po’ più nascosti riguardanti anche la spiritualità, con cui ho un conflitto perenne. Sono partito dal mio intimo per arrivare a toccare il mondo che mi circonda.

Nel brano “In fondo al cuore” scrivi “Ho provato a dare del tu ai sentimenti che aggrovigliano le anime”. Ci spieghi come si fa?

Ho scritto questo testo alla fine di una mia relazione. Ricordo l’ultima volta in cui sono uscito fuori a cena con la mia ex fidanzata, è stata una cena piena di silenzi, e quando lei mi ha chiesto cosa io provassi e sentissi, io ho cercato davvero di guardarmi dentro, di riconoscere il sentimento che stavo provando. Quindi questo “dare del tu” significa riconoscere, guardare in faccia proprio quel sentimento che mi aggrovigliava tantissimo l’anima perchè non sapevo cosa rispondere alle domande di lei non riuscendo a riconoscere la situazione interiore piena di contrasti che stavo vivendo.

Il ritornello di questo brano mi ha ricordato le atmosfere corali dei Beatles. Tu fai parte di una tribute band degli stessi, The Menlove, dal nome della strada in cui abitava Lennon a Liverpool. Come i Beatles siete in quattro e ciò che più affascina e a tratti impressiona e il vostro calarvi completamente nei loro panni. Tu incarni Lennon, e, effettivamente, hai dei lineamenti molto simili ai suoi. Te lo hanno mai detto? Mi parli un po’ di questo gruppo? Siete stati anche all’estero.

Sì, mi dicono in tanti che ricordo Lennon e spesso, soprattutto in alcuni video, noto io stesso che la somiglianza è impressionante. The Menlove è un progetto che ho sposato subito perché adoro i Beatles e mi è stato proposto in un periodo in cui avevo scelto di dedicarmi completamente alla musica. Siamo quattro amanti dei Beatles, siamo molto affiatati e ci divertiamo tanto. Abbiamo suonato e suoniamo molto all’estero, soprattutto a Lussemburgo e in Svizzera dove ci conoscono ormai molto bene. È un progetto che mi sta anche aiutando a guadagnare dei soldi per pagare il mio lavoro da solista.

“Aspettando qualcuno” è il brano che ha lanciato l’album. Giovanni, viviamo aspettando?

Tutti viviamo aspettando. Quello che voglio dire attraverso questa canzone è che non bisogna stare fermi ad aspettare quel famoso “meglio che deve ancora venire”. Si dovrebbe vivere il presente. Spesso il meglio ce lo abbiamo tra le mani i intorno a noi e non ce ne accorgiamo o non abbiamo il coraggio di fare delle scelte importanti, cambiare  e accettare ciò che abbiamo in quel momento.

“Se non ti basta tutto quello che sei non può bastarti tutto quello che hai”. Credo che sia una verità assoluta: l’appagamento interiore non è dettato dalla ricchezza materiale e, per quanto si possa possedere, se non si riesce ad essere sé stessi e a realizzare ciò a cui si tende dalla nascita si avrà sempre un’insoddisfazione interiore. 

Ricollegandomi al velo di Maya, quindi al conflitto essere-apparire, in questo caso trasportato sul conflitto essere-avere, guardandomi intorno mi rendo conto che c’è spesso la voglia di emergere attraverso uno sfrontato materialismo, un ostentato benessere che io reputo solamente mancanza di personalità, insicurezza. Certi vuoti non si possono compensare con i beni materiali. Io nella vita voglio essere, non dico felice, ma sereno, e  per esserlo è necessario imparare ad accontentarsi e a conoscersi, capire chi si è e cosa realmente si vuole.

A te, giunto ad una certa consapevolezza, ad una certa maturità, adesso che stai concretizzando il sogno della musica, ti basta quello che sei?

No, semplicemente perché sono perennemente insoddisfatto e inquieto. Una persona come me, con il mio modo di essere e di pensare, non sarà mai soddisfatta di sé: pretendo sempre troppo e mi posso stancare facilmente, ma su questo aspetto sto cercando di lavorare tantissimo e di migliorare. Ho un’inquietudine che mi spinge sempre a fare cose nuove, creare, cambiare, avere attività in moto, non riesco a stare fermo. In questo momento sono molto felice, il mio nuovo lavoro sta andando benissimo, quindi una parte di me  è abbastanza serena, l’altra no! So benissimo che, da qui a un anno, inizierò a scalpitare perché vorrò fare qualcosa di nuovo, ho sempre lo stimolo di fare altro. La fase di irrequietezza e inquietudine mi porta a creare, quando creo mi rilasso e torno ad essere sereno.

Intanto preferisco essere che avere.

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