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Red Ants. Le formiche rosse del Sudafrica in mostra a IT.A.CÀ

24-05-2019

Di Laura Bessega
Foto di James Oatway

Il cielo è blu notte e gli alberi sullo sfondo sono neri. Non è ancora l’alba. Una fila di formiche rosse si confonde col colore della terra. È il Sudafrica, vicino a Johannesburg e i Red Ants si apprestano a iniziare la loro giornata di lotta. Fanno parte di una compagnia privata che si occupa di sfratti e sicurezza, tristemente nota per i metodi violenti.

Come la specie animale da cui prendono il nome, difendono con aggressività il territorio dagli intrusi, da coloro che non vi dovrebbero risiedere e spesso attaccano la loro stessa specie presente nella zona.

Inizia con questa foto d’apertura il progetto Red Ants, vincitore del famoso festival Visa Pour l’Image di Perpignan, del fotografo sudafricano James Oatway. Oggi alle 18 a Qr Photogallery in via Sant’Isaia 90 si terrà l’inaugurazione della mostra curata dall’Associazione TerzoTropico per IT.A.CÀ., festival del turismo responsabile. Sarà presente anche l’autore che About ha incontrato per un’intervista in esclusiva.

Sembra che tutto abbia avuto inizio con Nelson Mandela. Alexandria Township, quartiere difficile alla periferia di Johannesburg, era una zona sovrappopolata di gente povera ammassata nelle baraccopoli. Il governo decise di riqualificare l’area e costruirci case low cost ma la gente non voleva muoversi. Pare che lo stesso Mandela avesse chiesto aiuto per spostare le persone. O questo almeno è ciò che afferma il chief executive di Red Ants. L’inizio di tutto insomma.

Oatway mi racconta che sono in giro dagli anni ’90. Li ha tenuti d’occhio per parecchio fino a quando ha deciso di raccontarli, da molto vicino. In mezzo a un fiume di caschi rossi per un po’ si è distinto un elmetto bianco, il suo. In segno di pace, penso io. Perché a volte, quando le cose si mettono male, inizia una guerra.

“Sembra Game of Thrones, una battaglia medievale, corpo a corpo, con l’uso di machete, pugnali e mazze. Avevo molta paura quand’ero con loro”. Non proprio come quei soldati americani che pilotano i droni da una posizione sicura distante dal vero campo di battaglia. “Se un Red Ant cade, la gente gli va sopra e lo ammazza”. La cosa ironica è che anche loro sono persone molto povere che spesso provengono dalle stesse comunità che sfrattano.

Far parte di questo gruppo sembra essere una forma di riscatto sociale, una possibilità di emergere dall’anonimato delle baraccopoli.  “Al mattino presto arrivano tutti questi ragazzi. Sono vestiti con jeans e scarpe malandate, come la gente povera. Poi si mettono le loro uniformi rosse e diventano un grande esercito”.

A me dalle foto sembrano dei supereroi negativi, a metà tra Daredevil e Luke Cage ma dalla parte sbagliata della barricata. “Se non hai il denaro per occuparti della tua famiglia, questo in qualche modo ti disumanizza, ti toglie il rispetto. Con le loro divise diventano forti, salgono sui camion, la gente si ferma a guardarli quando passano. Hanno un sacco di attenzione e questo a loro piace”. Alla fine del lavoro però, tolte le uniformi e tornati a casa, la carrozza si trasforma di nuovo in zucca e tornano persone normali.

Mi ha colpito una tua affermazione: “Al funerale di uno di loro c’erano molti compagni ma pochi parenti”. Cosa prova la gente verso i Red Ants?

“La maggior parte delle gente li odia. Specialmente i poveri. Pensano che siano il male. È per questo che molti di loro indossano delle maschere sul viso. Nascondono la loro identità. Alcuni mi hanno rivelato che se i loro vicini di casa sapessero che sono dei Red Ants non esiterebbero ad ucciderli. E tutto questo, oltre ad essere un paradosso, è anche spaventoso. Bisogna però ammettere che non sempre gli sfratti si svolgono con una modalità violenta. A volte si instaura una specie di rapporto amichevole con i residenti:da un lato maneggiano con attenzione e rispetto i loro mobili e oggetti e dall’altro gli viene offerta dell’acqua. Quando però le persone, appena arrivati,  iniziano a tirargli addosso pietre e bottiglie, si innesca la violenza”.

Che senso ha operare da fuorilegge per far rispettare la legge?

“Il loro compito è sfrattare la gente che occupa illegalmente delle proprietà. Lavorano sulla base di ordini precisi, non vanno a caso. Accompagnati spesso dalla polizia, sembrano agire secondo la legge, ma la oltrepassano svariate volte. Questo naturalmente è contro la nostra costituzione, democratica e liberale, che sicuramente molti paesi occidentali ci invidiano. Quello che fanno è legale ma non è giusto”.

Dove vanno le persone che rimangono senza un rifugio? Per strada oppure occupano un altro spazio e poi un altro ancora?

“La nostra costituzione dice che è illegale mandar via qualcuno da un’abitazione senza che abbia un posto dove andare. Specialmente se il mandante è il comune, ha la responsabilità di fornire a questa gente un’altra sistemazione. Purtroppo però spesso questo non accade. Così le perone cercano un altro posto da occupare o finiscono per strada. E a Johannesburg d’inverno fa molto freddo. A volte il governo fornisce degli alloggi in palazzi decisamente più malridotti e fatiscenti rispetto a quelli dove stavano prima”.

Quella dei Red Ants è una guerra tra poveri: chi vince questa guerra? Vedi una soluzione a questa situazione o rimarrà una carta politica da giocarsi alle elezioni?

“A volte chi vince paradossalmente è la povera gente che occupa la terra e gli appartamenti. Spesso le formiche rosse vanno a sfrattare una comunità che ha occupato uno spazio privato con baracche. Il giorno dopo questa gente è pronta a ricominciare a costruirle perché i Red Ants non possono essere sempre dappertutto. Questi accampamenti, chiamati ‘squatter camps’, crescono a dismisura come se la città si stesse espandendo ma in realtà sono solo baraccopoli di disperati in cerca di lavoro”.

Oatway è molto conosciuto anche per le foto scattate durante un’ondata di xenofobia nel 2005 a Johannesburg, dove il mozambicano Emmanuel Sithole è stato aggredito e pugnalato per strada sotto i suoi occhi. Sono bastati 27 secondi per spostarsi di 15 metri ed essere così vicino a quello che stava accadendo da rischiare anche la propria vita. Gli aggressori l’hanno guardato, si sono fermati e per qualche inspiegabile motivo sono andati via. Purtroppo la corsa all’ospedale non è bastata a salvare la vita dell’uomo. “Quando l’ho portato in ospedale, aveva ancora i soldi in tasca. Non è stata una rapina”.

Ne hanno parlato tantissimi giornali, la Bbc e la Cnn. “La gente è completamente impazzita nel leggere ciò che era successo, non credeva che ciò fosse accaduto davvero nel loro paese, sotto il loro naso. Sono iniziate immediatamente un sacco di proteste per le strade. Ci sono state reazioni diverse e come fotogiornalista questo è il mio obiettivo. Non voglio fare foto perché le persone le guardino e dicano che sono belle. Voglio far riflettere. Io mostro ciò che vedo, non ti dico cosa devi pensare”.

“Gli stranieri devono fare le valigie e andarsene perché rubano lavoro ai cittadini”. È una frase che si sente continuamente oggi in Italia. Non mi aspettavo di leggerla in un articolo su ciò che è successo a Sithole in Sud Africa. Soprattutto detta da africani ad altri africani. Puoi commentare la frase? Da dove scaturisce tutta la rabbia legata a questa questione?

“Nel 1994 il Sud Africa, con la nuova Costituzione e la conseguente ondata di libertà, diventò una meta appetibile per molti africani provenienti da paesi limitrofi o vicini. Avevano due possibilità: andare verso nord, in Europa, un viaggio lungo ed estenuante con tutti i rischi del caso oppure verso sud, da noi, magari in autobus o addirittura a piedi. È chiaro quale fosse la meta più appetibile. Il risultato è che ci siamo riempiti di stranieri provenienti dai paesi vicini, mentre il nostro governo falliva nel fornire lavoro e abitazioni ai sudafricani. È stato quindi molto facile da parte di quest’ultimo incolpare i migranti africani di aver rubato il lavoro ai nostri cittadini. Un’ondata di xenofobia ha pervaso tutto il paese, ma il governo non parla mai di xenofobia”.

Se nella patria di Oatway ci sono ancora bianchi che credono di essere meglio dei neri o che i neri siano stupidi, ce ne sono fortunatamente di più che non la pensano così. “La maggior parte della gente che vedi camminare in giro per le strade di Johannesburg vuole semplicemente andare avanti con la propria vita. Le differenze, invece, sono abilmente colte e sottolineate dai politici. Sono messe in rilievo per incoraggiare il razzismo invece che l’unione”. Dividi et impera. I romani ci hanno sempre visto lungo. Dì alle persone che c’è un problema persino dove non c’è, ripetilo allo sfinimento e finiranno col crederci.

 


Quest’anno siamo media partner del Festival!

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