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“La solitudine tira fuori il meglio e il peggio“. Le canzoni dei Balto tra il mare e i portici di Bologna

15-12-2020

Di Anna Toscano
Foto di Balto

Un distributore automatico di sigarette, il tabacco senza nome e i portici di Bologna.

Così inizia il nuovissimo video dei Balto, uscito il 16 novembre, racconto per immagini del loro singolo Mac Baren.

Fin dalla prima inquadratura si lascia intravedere Bologna, la città dell’ispirazione e della creazione, punto centrale nella mappa creativa dei Balto.

La band, composta da Andrea Zanni (voce e chitarra), Marco Villa (basso e voce), Manolo Liuzzi (chitarra e voce) e Alberto Piccioni (batteria), nasce all’inizio dell’estate del 2017, quando grazie a un contest locale ha l’occasione di aprire ai Canova in Piazza del Popolo a Cesena. Così pubblicano il loro primo Ep È tutto normale con Alka Record, che ha come temi centrali la solitudine e il bisogno di rivalsa in fondo al bicchiere dell’accettazione della “vita normale”.

A settembre 2019 iniziano a registrare il loro primo album, insieme a Manuele Fusaroli e al giovane produttore ferrarese Michele Guberti (Massaga Produzioni). Quindi, sarà la volta di singoli come Quella tua voglia di restarePreghiera della Sera (Schiuma e Pioggia Rossa Dischi).

E adesso, per la band ci sono importanti novità in vista: “dopo 3, 4 anni che suoniamo insieme ci sentiamo realmente pronti all’uscita di un nostro primo album. Il disco è pronto e non vediamo l’ora che possa appartenere completamente a chi lo desidererà”.

I Balto si destreggiano tra libri e chitarra, sala registrazioni e aule di università, mare e portici, Rimini e Bologna; sembra che ogni canzone sia stata scritta guardando il mare, su un treno in corsa, su un bus veloce che passa per le vie più belle di Bologna. Ascoltando i loro testi ci si perde per le strade di Bologna e sembra di empatizzare con la città stessa, cantata, amata e persino personificata nei loro testi. E visto che uno dei loro motti è “vorremmo avervi qui, per raccontarvi tutto”… noi li abbiamo raggiunti, per una chiacchierata con Andrea Zanni.

Partiamo da qui: Bologna. Il vostro rapporto speciale con la città emerge da ogni canzone e riesce a portare l’ascoltatore in giro per la città, per le strade e i vicoli bolognesi. In che modo Bologna vi condiziona nel vostro processo creativo? Rappresenta per voi una tappa di vita importante anche aldilà della musica?

“Innanzitutto, grazie per questa domanda. Credo che Bologna, in qualche modo abbia influenzato su tutto il processo di scrittura di questo disco, per il semplice motivo che, almeno in parte, abbiamo vissuto diversi anni proprio lì. Qualcuno di noi ancora ci vive, qualcuno ha dovuto lasciarla post università.

Ad ogni modo l’abbiamo vissuta fino in fondo, cercando di prendere tutto il bene e il male che questa città può dare. Forse qualcosa è finito dentro alle nostre canzoni, e sarà un bel ricordo per il futuro”.

Tra mare e portici: la vostra musica è legata a luoghi di ispirazione molti diversi tra loro. Il mare è spesso presente nelle vostre canzoni, così come la città, e questo è sicuramente un vostro punto di forza. Come vivete questo contrasto a livello creativo? Cosa riesce a ispirarvi di più?

“Quello che cerchiamo di raccontare nelle nostre canzoni è un po’ quello che viviamo, non ci inventiamo niente, ma tutto può darci ispirazione. A volte può essere il mare che siamo abituati a vedere fin da quando siamo bambini, a volte i portici di Bologna, altre, forse le più frequenti, la normale routine quotidiana. Questa cosa del mare e della città è verissima.

Pensa che fino ai 18/19 anni, quando cioè ci siamo trasferiti da Misano a Bologna, probabilmente nessuno di noi aveva mai considerato che il mare potesse essere un luogo fisico e spirituale lontano da casa. Forse per compensare la mancanza di una cosa così bella e stabile (ma sempre diversa) come il mare ci siamo rifatti ad altro. Sicuramente in Bologna abbiamo trovato una specie di mare, credo che sia per questo che riusciamo a chiamarla casa“.

 

Siamo in un periodo molto particolare per tutti, ma soprattutto per chi fa musica. Come lo state affrontando? Quali modi avete escogitato per non mettere a tacere la vostra creatività e continuare a suonare, ad esempio durante il primo lockdown? Non vedete l’ora di poter tornare a esibirvi dal vivo?

“È difficile. Mi ricordo che prima del lockdown di marzo ci eravamo salutati fuori da un posto a Rimini dove fanno gli hamburger e le birre giganti, nato sulle ceneri (letteralmente) del Velvet, storico club di musica dal vivo della Romagna. Eravamo andati a cena lì perché dovevamo prendere delle decisioni importanti in merito alla nostra uscita discografica.

Quella sera fu l’ultima insieme fino a Maggio, e ancora non c’era nulla di sicuro sulle nostre uscite. Di lì a poco abbiamo chiuso dei discorsi intrapresi tempo prima con Pioggia Rossa dischi e Schiuma dischi, che ci hanno accolto nelle loro famiglie come si dovrebbe fare con chiunque. Eravamo convinti di poter fare un tour la scorsa estate, ma le condizioni alla fine non ce l’hanno permesso.

Oggi ce lo saremmo immaginato diverso, questo autunno e questo inverno. Abbiamo una voglia di suonare che non si può raccontare. Lo streaming e gli schermi non potranno mai sostituire l’energia umana e il contatto fisico, che poi non è solo fisico. Ai concerti c’è un contatto mentale, umano, viscerale tra le persone, è qualcosa di magico e questo succede solo ai concerti veri”.

 

A proposito di esibizioni: il primo live non si scorda mai. Raccontateci della vostra prima esperienza sul palco.

“Eravamo piccolissimi… è stato ad una festa in Piazza della Repubblica, a Misano Adriatico. Credo fosse un evento organizzato dal centro giovani comunale, avevamo suonato qualche nostra canzone e qualche cover, credo ci sia ancora su YouTube una cover di ‘Comunque’ dei Ministri”.

Nell’estate del 2017 avete avuto l’occasione di aprire il concerto dei Canova, in Piazza del Popolo a Cesena. Parlateci un po’ di questa esperienza: cosa vi ha lasciato a distanza di anni? Che emozioni avete provato?

“È stato un momento magico; per noi era la prima volta con un pubblico così ampio, su un palco del genere. È stato strano, eravamo in 3 in quel periodo: Manolo, il chitarrista era in Erasmus in Finlandia e sarebbe tornato circa una settimana prima di quel concerto. Non suonavamo insieme da mesi e non potevamo permetterci di fare cazzate in un’occasione del genere. Mi ricordo che abbiamo provato per una settimana intera, 5 canzoni.

I Canova erano una super band. Mi ricordo che Matteo dietro al palco mi disse che quella era la loro prima uscita discografica, e che però suonavano insieme a 8 o 9 anni. Questa cosa mi ha fatto capire perché quel live era così energico, ben preparato, giusto, e si stavano divertendo un casino.

Un sacco di sacrifici. Questo ce lo ricordiamo bene“.

 

Il vostro primo Ep, È tutto normale, è composto di cinque canzoni, focalizzate sull’incertezza quotidiana. Perché vedete la solitudine come un’arma a doppio taglio?

“La solitudine tira fuori il meglio e il peggio delle persone. Inutile girarci attorno, da soli si sta male; siamo fatti per incontrarci, per scambiarci e contaminarci. Si può essere solitari, ma non amare la solitudine. Allo stesso modo, se la si guarda come una condizione temporanea può essere molto ambita, personalmente parlando.

Certe canzoni che abbiamo scritto sono nate in contrasto a una forma d’angoscia che si prova solo nel vivere davvero la solitudine, per esempio ‘Spine nel fianco’, che è nata proprio a Bologna, da un momento di estrema solitudine sia mentale che fisica, nel senso che vivevo da solo nei mesi più freddi dell’anno, quando tutti gli studenti sono tornati a casa prima della sessione invernale e la fuori non c’è nessuno. Non conosco nessuno che ha vissuto il lockdown di Marzo da solo ed è stato bene”.

 

Il video di Quella Tua Voglia di Restare è un meraviglioso viaggio nel passato, in cui si alternano alcune vostre riprese fatte col cellulare. I filmati di viaggi vintage, in pellicola 8mm VHS, creano un’atmosfera particolare di nostalgia. Che rapporto avete col passato e l’infanzia? In che modo il passato influenza il vostro presente creativo?

“Non saprei, credo che ognuno avrebbe da raccontare la sua storia. Personalmente, posso dire di aver vissuto un’infanzia diversa da altri, ma non così diversa da molti. Ho tantissimi bei ricordi e anche cose che non vorrei ricordare.

Nelle nostre canzoni si parla di futuro, perché ci fa paura e non ci rende davvero liberi. Allo stesso modo siamo delle storie che viaggiano nel tempo, passato presente e futuro si possono confondere facilmente, e probabilmente alcune incertezze di oggi le abbiamo già provate in qualche altra forma tempo fa”.

In Mac Baren alcuni versi sono particolarmente d’impatto: “Fumavi il tuo senza nome e ti sentivi più forte / Anche il tabacco, dicevi ‘ha una crisi d’identità’ / Bruciavi i tuoi giorni, di libri e di portici / Anche questa città non sa più chi è”. Succede spesso di trovarsi nel bel mezzo di una crisi d’identità in cui ci si sente incompleti (o “magari soltanto giovani” nel 2020). Vi sentite rappresentati da questi versi? Come mai sentite Bologna così vicina a voi, anche emotivamente, tanto da personificarla in un verso?

“Abbiamo raccontato semplicemente una condizione che stavamo vivendo. Io in particolare, quando ho scritto il testo di questo brano, ero in un periodo abbastanza instabile. Fumavo il Mac Baren, e mi è venuta in mente questa cosa, di quanto a volte certe piccole cose che fanno parte del nostro quotidiano possano essere figlie della nostra condizione.

Quanto ti senti un po’ perso poi perdi anche i punti di riferimento e Bologna lo era; e di conseguenza anche Lei, come tante altre cose importanti, subivano, ai miei occhi, una crisi di passaggio”.

 

Con quali musicisti vorreste andare a fare shopping di vinili?

“Io personalmente con Karim Qqru degli Zen Circus oppure con King Krule o Jack Garratt. Manolo (chitarrista) andrebbe a fare shopping di vinili con Rick Rubin e Stefan Sagmeister, Marco (bassista) con Brunori e Francesca Michielin e Alberto (batterista) con Fausto Lama“.

 

Per finire: scegliete un luogo di Bologna in cui vi esibireste per il live dei vostri sogni.

“Potremmo fare così; non un concerto solo ma 100, in 100 case in cui ci è capitato di stare almeno una volta insieme a persone conosciute in questi anni strani e meravigliosi”.

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