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Benedetta Barzini e il suo “trasloco verso nowhere”. L’icona anni 60 raccontata dal figlio in un film

15-10-2019

Di Edoardo Novello
Foto di Lorenzo Burlando

“Qualsiasi cosa faccia, continuano a guardarmi come una modella”.

Benedetta Barzini, protagonista del documentario La scomparsa di mia madre a lei dedicato dal figlio-regista Beniamino Barrese, pronuncia più volte queste parole all’interno della pellicola, un monito a non indugiare davanti all’apparenza delle cose.

È tra le mura della Sala Scorsese del Cinema Lumière che il documentario di Barrese, già premiato al Biografilm Festival (Premio Ucca) a giugno, viene riproposto per il grande pubblico, questa volta nell’ambito della rassegna regionale Riusciranno i nostri eroi, iniziativa che già da diversi anni sta riscuotendo un discreto successo tra le proposte cinematografiche nostrane.

Sarà nuovamente visionabile il 15 ed il 19 ottobre al Cinema Teatro Galliera.

Benedetta Barzini fu modella e icona di bellezza internazionale degli anni Sessanta, musa di fotografi del calibro di Irving Penn e Richard Avedon, frequentatrice di ambienti artistici connessi a Salvador Dalì e Andy Warhol.

Femminista, giornalista, insegnante, rimane nuda davanti all’occhio dell’obiettivo, di suo figlio e del pubblico fin dai primi secondi di pellicola.

C’è una profonda ricerca d’intimità materna in questo documentario, una ricerca che Barrese ha pensato di sviluppare sin da quando ha saputo, ancora anni fa, che la madre era intenzionata a lasciare l’Italia per un posto lontano, dove avere la possibilità di essere sé stessa, senza costrizioni ed obblighi sociali. Un proposito che Benedetta definisce come l’“andare nel mondo contrario a quello che ho vissuto fino adesso” e che il figlio chiama “scomparire”.

Il “trasloco verso nowhere”, di cui parlerà la stessa Barzini nel film, porta con sé, tuttavia, una duplice sfumatura, la consapevolezza della fine ultima della vita. Uno stormo di uccelli che volano verso il tramonto, gli occhi di Benedetta che guardano dritti in camera. Inizia così la sua storia.

Dopo questo incipit dal sapore malinconico, Barrese tesse man mano un’opera dove vengono ripercorsi momenti e aspetti che più hanno caratterizzato la vita della madre: dalle foto d’epoca più celebri alle interviste televisive come giornalista e attivista femminile, fino alle lezioni per il corso di Storia dell’Abito all’Università di Urbino.

È in quest’ultimo ambito che si svela un altro importante tassello del film: lo svanire della perfezione estetica. Se da un lato, infatti, la docente parla di moda e di abbigliamento ai suoi alunni, e lo fa in maniera provocatoria e inusuale, dall’altro Barrese instaura un dialogo preciso con il suo spettatore, dove prende dibattito il ruolo che ha il corpo femminile nella società contemporanea una volta giunto in età senile. Il corpo di una modella, come un abito, sembra perdere valore una volta invecchiato.

Barrese combatte simbolicamente questa concezione riprendendo da vicino la madre struccata, le rughe sul suo viso, i capelli scompigliati e rendendo ogni imperfezione di Benedetta un elemento unico, un profilo di donna.

Fa da cornice a queste tematiche il rapporto complesso che si crea fra madre e figlio, dettato da una riluttanza di Benedetta nell’essere ripresa e fotografata frequentemente: la mia persona non è fotografabile ripete, come a sottolineare che l’immagine che vediamo di lei non sarà mai vicina a quella che lei stessa ha di sé, a come si vede nel suo intimo.

Nonostante questi sporadici attimi di tensione, l’amore di Benedetta per suo figlio prevale sempre, lasciandosi andare alle richieste di lui, così da non deluderlo. “Dovevo scegliere se ferire te o ferire me stessa. Ho scelto di ferire me”.

Questo lavoro creativo acquista rilevanza ed originalità proprio grazie al suo saper regalare un’immagine poliprospettica di Benedetta, una donna anticonformista, con una piena consapevolezza del proprio corpo e del mondo in cui vive, una donna che si contraddice, che discute col figlio, un affresco dalle mille sfaccettature.

Silva Fedrigo, che rappresenta la casa di distribuzione Rodaggio Film, che ha ottenuto i diritti di diffusione insieme alla Reading Bloom, ha spiegato come la figura di Benedetta Barzini, la sua autenticità e la sua libertà di vivere, possano essere d’esempio, non solo per il pubblico femminile, ma anche e soprattutto per quello maschile.

Ci fa “capire che cosa può essere una donna. Una figura femminile come la sua, con un “modo di porsi fuori da schemi e preconcetti” è stata capace di stravolgere completamente in quegli anni il tradizionale concetto di donna.

Ben posso uccidere la tua immagine?

É passata un’ora e quaranta minuti. Benedetta chiede il permesso a suo figlio di poter terminare le riprese. Lui, divertito, le concede l’agognata pausa. La madre prende il tappo e lo pone sopra l’obiettivo. Lo schermo diventa nero, si sentono i due ridere insieme.

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