Musica & Libri

Cinque libri da regalare a Natale. I consigli di Nicoletta della libreria Trame

11-12-2025

Di Beatrice Paganelli
Foto di Laura Bessega

È un pomeriggio d’inverno a Bologna. Il sole sta calando velocemente, le strade sono silenziose.

Camminando lungo via Goito, a due passi da via Indipendenza, mi fermo davanti ad una vetrina di un piccolo negozio. Nessuna insegna. Attraverso il vetro intravedo una luce calda e una quantità infinita di libri che animano lo spazio. Apro la porta e mi imbatto in Nicoletta.

In sottofondo una lieve musica jazz che, mi racconterà più tardi, ama particolarmente ascoltare nei giorni più caotici. Mi ci vuole poco per comprendere che mi trovo davanti ad una donna che ha un bagaglio di storie interessanti da raccontarmi. Dopotutto, vent’anni di esperienza da libraia indipendente non possono che averle consegnato una certa forza, una certa curiosità e una certa propensione al dialogo. Nicoletta è, infatti, proprietaria dal 2005 di Trame, una piccola libreria indipendente situata in via Goito n 3/C e che, proprio questo dicembre, compie vent’anni di attività instancabile e vitale.

L’ho raggiunta perché ci lasciasse cinque consigli di lettura per questo periodo di feste.

  • Liberami dal nulla, Springsteen e Nebraska – Warren Zanes: Molto meglio del film. Bruce è un giovane musicista in crisi creativa. Come raccontare un disastro con la gioia della produzione e della qualità artistica di un grande artista.
  • OrbitalSamantha Harvey: vincitrice del Booker Price 2024, uscito a gennaio. Sei persone su una stazione spaziale orbitante guardano giù, noi siamo sette miliardi su quella piccola stazione che è la terra. Un libro meraviglioso.
  • Vita tra selvaggiShirley Jackson: l’orrore della vita quotidiana supera di gran lunga quello di “Hill House”. Prima traduzione italiana per Adelphi. Donna con bambini, gatti, cani, cappelli, libri… un gran casino in casa. Come si fa a trovare la stanza tutta per sé? È durissima, fa anche molto ridere.
  • Raccontami tuttoElizabeth Strout: due universi in collisione. Olive Kitteridge incontra Lucy Burton. Con questo libro la Strout ci regala i suoi due universi narrativi che collassano e ci fanno stare molto bene.
  • TwistColum McCann: che cosa succede alla comunicazione? Il “Cloud” è una cosa in alto o in basso? È in basso. Sono cavi sotterranei che fanno girare le informazioni in tutto il mondo. Quattrocento sistemi di cavi. Se uno salta, salta la comunicazione di tutto il mondo.

Con l’occasione, ci siamo fatte una chiacchierata sulla storia di questa avventura incredibile, iniziata con due sue amiche, e che oggi è diventata un punto di riferimento insostituibile per tutti gli appassionati e per tutti coloro che amano i libri e hanno ancora il desiderio di incontrarsi e incontrare qualcuno con cui poter dialogare e confrontarsi.

Nicoletta, la tua storia di libraia è una storia articolata e resiliente. Hai iniziato nel 1990 alla Rizzoli in via Altabella fino al 2005, anno di apertura di Trame…

Sono partita a settembre 1990 dalla Rizzoli in via Altabella, poi Le Messaggerie e 11 anni alla Duomo che era la libreria dei Nanni aperta in via Indipendenza e che da poco ha compiuto 200 anni. Per ultima, Trame apre il 3 dicembre 2005 con le mie amiche.

A fronte di tutti questi cambiamenti cosa è rimasto in te invariato in questi anni?

Il fatto che quando apro gli scatoloni divento matta e sono felice. Non è cambiato tanto, mi piace molto il mio lavoro ed è un lavoro sorprendentemente variabile perché ci sono tre lanci novità a settimana quindi c’è sempre una sorpresa e una nuova storia da scoprire. Il lavoro mi piace come il primo giorno, in più oggi ho la consapevolezza di questi vent’anni di lavoro in proprio con le mie amiche, in un posto che credo abbia una bella personalità. Questo è un godimento.

Qual era l’esigenza che vi ha spinto a dare vita a un luogo che fosse vostro?

Quando hai più di quarant’anni e ti licenziano per la terza volta… chi ti dà un lavoro? È capitato che una vecchia cliente avesse l’idea di uno spazio e che ce l’abbia offerta. Si trattava di uno spazio con una dimensione tale che il rischio era contenuto: non era troppo grande e l’affitto accettabile. Questa è la cosa che ci ha aiutato a pensare al nostro progetto. Un progetto fragile e che è rimasto tale negli anni. Ricordo il 2008 e le varie crisi che si sono susseguite, in primis quella economica. Per non parlare dell’avvento di Amazon che ha cambiato totalmente la percezione, poi gli e-rider e la crisi culturale. Insomma, non è facile ma è rimasto bello.

Come selezioni i libri da esporre? In che modo il tuo gusto personale orienta le scelte e quanto incide la considerazione dei lettori?

Cerco di fare in modo che la libreria abbia un’offerta varia, che abbia un po’ di novità e una cura di catalogo. Insomma, che abbia un po’ di tutto e questa è una cifra che abbiamo mantenuto fin dall’inizio. Negli anni siamo diventati molto attenti alle esigenze del pubblico e abbiamo deciso di lavorare anche su ordinazione. Il mio gusto personale? È variabile, io leggo un po’ di tutto in modo molto disordinato. Mi piace la musica, il cinema, i fumetti, i libri per bimbi sono adorabili. Mi interessa la psicologia, la narrativa contemporanea… Cerco di non essere prevaricante perché il pubblico non vuole essere prevaricato ma orientato e consigliato. Quindi, è rimasta una gran chiacchiera. Mi chiedono di consigliare loro un libro e io rispondo che per farlo ho bisogno di almeno due indizi: in che periodo sei della tua vita? Cosa leggi di solito? Il bello di Orbital, il libro che ho consigliato, è che quando l’ho letto ho pensato oh, questo è un libro che posso consigliare dai 12 ai 90 anni, a un uomo o a una donna e perfino ad un extraterrestre. È un libro poetico ma mai lezioso, semplice ma mai banale e racconta di una giornata, ventiquattro ore. Chi di noi non vive una giornata? Nessuno. Ecco, il bello della porta che si apre è anche questo ascolto reciproco, si costruisce una relazione che si rinnova. Che giorno è quello in cui uno si affaccia qui?

Le librerie indipendenti per natura hanno un’identità forte che è anche data dalla personalità che le anima.

È bello che ci sia una personalità che spicca ma può anche essere rischioso perché per alcuni può apparire come indisponenza. Bisogna sapersi calibrare e questo dipende da un equilibrio che impari a costruire negli anni tra quello che sei, quello che vorresti essere, il rispetto degli altri e il tuo lavoro. Io per lavoro vendo, non sono bibliotecaria. Mi sono chiesta spesso che tipo di bibliotecaria sarei stata. Ci sarebbe stata sicuramente più libertà, la libertà dal bisogno economico. Proprio per questo, forse, sarei stata una bibliotecaria monotematica perché se non hai lo stimolo della sopravvivenza vai nel tuo angolino al sicuro. Invece in un negozio come questo non ho mai perso la curiosità. Mica posso leggere solo quello che mi piace! È necessario che io faccia di ogni libro un potenziale strumento di lettura per un range di persone. Questa è la piccola umiltà quotidiana del chiedersi “a chi potrebbe andare bene questo libro?”.

Una volta ho sentito dire che le librerie indipendenti sono come atti di resistenza. Secondo te è vero? E se sì, resistenza a cosa e in che modo?

Siamo arrivati al Covid che eravamo dei koala: si parlava addirittura di estinzione. Poi, con il Covid, quando abbiamo introdotto la formula della consegna dei libri a casa, ci paragonavano a dei guerrieri. Sono entrambe tipologie troppo radicali, è un “pour parler”. Io faccio il mio lavoro non perché sto resistendo, non mi sembra di fare della fatica facendo un lavoro che mi piace, anche se comporta dei sacrifici. È chiaro che se fai la libraia indipendente sei su un mercato che è difficile quindi, in un certo senso, è vero che stai resistendo. La vera resistenza però, secondo me, si fa quando si parla di politica. Mi sento più resistente ad andare all’ANPI due volte all’anno perché stanno morendo tutti i testimoni, tutti i partigiani. E ci posso essere io che prendo quel cappello e lo porto avanti. Quella è resistenza.

È incredibile il fatto che uno apre la porta e la prima cosa che incontra sei tu, ci sei tu!

Io cerco di rendere chiaro alle persone che io qui esisto. Voglio che riconoscano che sono entrati in un posto che li accoglie.  In questi due giorni è venuta gente da tutta Europa in libreria e gli stranieri sono molto più propensi ad entrare. Li vedo passare da fuori e penso “dieci secondi ed entrano”.

Perché?

È un po’ un generalizzare però sono più abituati ai libri. Oggi, per esempio, è entrata una signora canadese buffissima con una risata pazzesca, potentissima. Avrei voluto imbottigliarla. Ci sono tante interazioni fatte di leggerezza e ironia, in tanti mi raccontano cose bizzarre successe. Altri racconti, invece, sono più faticosi. Siamo in pieno centro, la povertà la senti che avanza. Ci sono giorni in cui sono più affaticata, sono stanca. Poi dopo il Covid c’è una più sentita fragilità ed è diverso anche stare con le persone. C’è un’esigenza di relazione diversa e lì bisogna essere un po’ pacati e prudenti. Essere disponibili ma mantenendo un distacco. Eppure, la bellezza sopravanza la fatica, sempre.

Nel nostro tempo è diffuso lo slogan del “nessuno ormai legge più”. Guardando luoghi come questa libreria forse si può pensare che non sia del tutto vero. Qual è il tuo pensiero a riguardo?

Io credo che chiunque abbia un cellulare legga ma è un leggere a frammenti. Io credo che sia importante cercare di darsi un tempo di lettura. L’altro giorno, per esempio, ho passato ore e ore così: tra me e me, con un po’ di musica ad accompagnarmi, a leggere. Ogni tanto appoggiavo il libro e pensavo. Darsi il tempo della lettura via dallo schermo è un dono che ci si fa. Capisco che per molte persone è un’abitudine che non c’è più. C’è un progetto curato da Paolo Soraci per cui lui va in giro per Milano e fa le foto sul tram alla gente che legge. È commovente. All’estero nei mezzi pubblici un po’ di gente che legge c’è ancora. Qui da noi non tanto. Nei treni, infatti, c’è un gran casino. Non è vero che non si legge più, quando penso che la gente non legge più ogni tanto il lunedì vado in biblioteca alla sala borsa, nella sala dei giornali. Prendo due o tre giornali stranieri, me li leggo e me li godo. Guardo intorno ed è tutta gente che legge.

Esco e mi chiudo la porta alle spalle. Ho la netta sensazione di aver appena vissuto una cosa che non mi lascerà indifferente. Ora capisco davvero cosa intendesse Nicoletta quando parlava dell’attenzione data ad ogni persona che sceglie di entrare da quella porta. E di lasciarsi provocare.

Mi torna così in mente una sua frase che lascio qui in chiusura: “Qua dentro è tutto così pieno di storie. Quasi ogni angolo mi parla e non è una vena mistica. Queste parole mi parlano e fanno di me quello che sono. È una cosa poi pesante perché tutto questo putiferio di parole genera un po’ di confusione. Però è bellissimo. È una felicità incredibile che non cambia mai”.

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