Tipico dello spirito bolognese è il girovagare tra le stradine del centro in cerca di arte e ispirazione. E proprio lì, in via degli Albari 5, nel ghetto ebraico di Bologna, mi imbatto in Double Trouble, un progetto di moda e accessori artigianali made in Italy (ve l’abbiamo raccontato qui), ma anche laboratorio artigianale dove trovano spazio diversi artisti, tra cui Dedos Jewels.
Se tradotto dal portoghese il termine Dedos sta ad indicare le dita, possiamo anche interpretarlo come puntare, indicare, raccogliere. In qualche modo questa definizione sembra perfettamente azzeccata per Edoardo Carnevale, che nel suo laboratorio orafo, dove è specializzato nella lavorazione dell’argento, si destreggia nella creazione di gioielli contemporanei che possano raccontare delle storie.
Quelle di Edoardo però non sono delle storie comuni: ci racconta dei suoi numerosi e ispirazionali viaggi, del suo amore per la musica (in particolare di bossanova) e di come ogni singola esperienza della sua vita lo abbia portato alla creazione di gioielli, che diventano il simbolo della sua personalità e pezzo della sua vita.
Apro la porta del laboratorio e trovo un Edoardo a lavoro. Mi vede vestit* di viola e parliamo dell’affascinante charme di questo colore. Mi dice che sta iniziando a sperimentare con i colori luminescenti, e si promette di proporre maggiormente il viola nei suoi lavori.
Si presenta: Edoardo, orafo di professione, lavora in questo laboratorio da circa due anni, ha sempre avuto una passione per l’artigianato e per le cose fatte a mano, anche se non è quello per cui aveva studiato. Nomade di natura, ora ha trovato un lavoro che gli dà l’opportunità di comunicare quella che è la sua arte. Mi racconta di una passione per la manualità che c’è sempre stata, che è cresciuta con lui.
«È una professione di famiglia?» alla tipica domanda che gli rivolgono tutti, lui risponde che il suo primo lavoro sono stati i Lego, ed è da lì che si è sviluppata quella voglia di assemblare le cose, di trovare l’incastro perfetto.
Viaggiatore nato, mi confessa che i suoi colleghi hanno paura che non torni, ogni volta che parte per un viaggio. Eppure Bologna sembra averlo stregato, con quello spirito di sintesi tra grande città e paese. Si è stanziato qui perché aveva deciso di abbandonare il suo lavoro di accompagnatore turistico a Milano, dove è nato, e di intraprendere un corso di aggiornamento a Modena.
La scoperta artistica e la scoperta personale sono due percorsi che per Edoardo vanno a braccetto. Lui stesso cita una frase di un suo professore universitario «chi scopre, si scopre», e mi spiega come questa frase sia intrinseca di costruzione e artigianato, ma anche di identità e cultura del viaggio. E anche dal punto di vista artistico, viaggiare lo ha aiutato a sviluppare dei pensieri che lui stesso cerca di riproporre in quello che fa: «Io ho studiato lingue e letterature straniere, mi piace leggere e cercare di tradurre, ed è lo stesso lo faccio col metallo».
Un contatto diretto con la manualità è avvenuto grazie all’Erasmus in Portogallo, nel 2015, quando un giovane Edoardo camminava sempre con la testa rivolta verso il basso, intento a raccogliere le pietre più particolari. Fu proprio un suo coinquilino di allora, un artista, a consigliargli di provare la tecnica macramè.
Il suo lavoro non consiste solo nella creazione di gioielli ma prevede anche dei workshop. Gli ingredienti richiesti sono amore, dedizione, e vocazione che tutti noi abbiamo per qualcosa. «L’arte è terapeutica. Ti aiuta in quel processo che è il cambiamento, noi non siamo oggetti fissi, ma siamo mutevoli. Quello che faccio è cercare di tirar fuori dalle persone qualcosa che già c’è nelle loro mani, dando delle dritte».
Mi fa poi l’esempio del metallo, spiegandomi come il modo in cui noi ci approcciamo al materiale ci dice molto della nostra persona e del nostro carattere, e sta a lui porre delle linee guida per aiutarci nella creazione del progetto. «L’arte deve essere un dialogo, deve essere domanda e risposta».
Gli chiedo quali fossero i lavori di cui andava più fiero, e lui prontamente si alza e torna: «Questo è l’amore che inclina la bilancia, qui invece ci sono dentro tutti i miei sogni».
Mi racconta di come dietro ogni gioiello ci sia una storia, e mi fa l’esempio di una coppia di ragazze, per le quali, in occasione del loro anniversario, ha deciso di creare gioielli che simulassero gli occhi dell’altra, in celebrazione del loro amore.
Gli chiedo come si descriverebbe come artista, ma mi risponde che preferirebbe essere descritto da coloro che vedono il suo lavoro. Mentre per quanto riguarda il suo brand, Edoardo, anzi Dedos, si definisce elegante, minimale.
Poi si ferma, prende tempo per riflettere e risponde: “Wabisabi“, concetto giapponese che si basa sul culto dell’imperfezione delle cose, non è altro che il gusto per l’arruginito, per il consumato, per le crepe. Continua usando la metafora di una foglia caduta da un albero, che non viene raccolta ma viene lasciata in quel punto, ed è lì che risiede la sua perfezione. Così descrive il suo lavoro: partendo da quella foglia, dall’istinto, e poi costruendoci un progetto sopra.
Poi, mi svela di star già pianificando il prossimo viaggio: l’Egitto. A ospitarlo, una residenza per artisti.
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