Il 2022 è l’anno del centenario della nascita di Dino Gavina (1922-2007) e Paradisoterrestre, marchio storico del design italiano, organizza in suo omaggio una mostra diffusa dal 23 settembre al 7 novembre, giorno del suo centesimo compleanno.
Imprenditore, designer, creativo, rivoluzionario, illuminato, visionario, anticonformista, “sovversivo” come si presentava nel suo biglietto da visita: sono tante le definizioni che si raccolgono su Dino Gavina, uno dei padri fondatori della storia del design italiano. Come tanti sono gli incontri, le amicizie e le collaborazioni che instaura lungo il suo percorso: Lucio Fontana, Achille e Pier Giacomo Castiglioni, Kazuhide Takahama, Carlo Scarpa, Luigi Caccia Dominioni, Enzo Mari e Marcel Duchamp, per citarne alcuni. E note sono le sue aziende Gavina, Flos, Simon, Sirrah, Paradisoterrestre.
In collaborazione con il Comune di Bologna, la mostra si articola in una polifonia di eventi espositivi in luoghi significativi della città e offre un’occasione per apprezzare selezionati tratti distintivi di Gavina, in una narrazione corale fatta di oggetti, valori e ideali.
In concomitanza con CERSAIE dal 26 al 30 settembre e in collaborazione con Vintage55, Cento % Dino avrà poi un’appendice nello storico negozio Gavina in via Altabella 23. Per l’occasione la singolare vetrina a doppio cerchio ospiterà un allestimento con protagonista Le Témoin di Man Ray (Edizione Paradisoterrestre 2020), un occhio indiscreto che ci guarda con insistenza e che si trasforma in un’inaspettata seduta.
Non potevamo non cogliere l’occasione di regalarvi (e regalarci) una visita in quest’ultimo spazio che di recente abbiamo visto anche al cinema: il negozio Gavina per l’occasione è stato trasformato dai Manetti Bros nel bunker di Diabolik.
Abbiamo raggiunto i ragazzi di Vintage55: Francesco Scarpone, detto Checco, che gestisce il negozio insieme al suo collega Luca Turco.
Quando arrivo Luca è affacciato all’entrata, appoggiato al parapetto in calcestruzzo, Francesco mi aspetta in negozio, indossa pantaloni beige, t-shirt bianca e camicia di jeans aperta. Ci spostiamo all’interno, mi fa accomodare su una Lady Cassina vintage rivestita in velluto rosso, mentre lui si siede sul bordo della fontana.
Sì, dentro al negozio c’è una fontana.
«Vintage55 è un brand di abbigliamento made in Italy nato a fine anni ’90 che si ispira ai capi iconici dello sportswear vintage, oltre che a stili diversi (penso alle giacche militari o a quelle da caccia), al mondo del cinema, degli Oscar, dei fumetti (i Peanuts), alla musica – mi racconta Francesco – L’attenzione non è posta solo ai modelli, ma anche ai materiali utilizzati: tessuti “veri”, naturali, senza aggiunte di fibre sintetiche», continua.
Vintage 55 ha sia la collezione uomo che la collezione donna, oltre che capi unisex. «Molti articoli sono continuativi, sono capi iconici che non hanno stagione (felpe, jeans, t-shirt) e questo fa sì che si riducano gli sprechi di merce. Il brand è disegnato da un team di designers italiani, giapponesi e americani, viene prodotto tutto in Italia e con un attento controllo di produzione per evitare sfruttamento lavorativo, inquinamento e spreco di materiali» e aggiunge che all’interno della collezione stagionale sono presenti anche dei capi real vintage (mi mostra una giacca da caccia americano e una giacca da lavoro ungherese). «Alle volte sono pezzi singoli, altre volte abbiamo 5-6 pezzi con le taglie che troviamo, che non corrispondono a quelle odierne e quindi sono da provare. Deve essere un capo che te lo metti e te ne innamori».
Verso la fine del 2018 cambia la proprietà del brand e subentra Roberto Dalla Valle che, oltre a dare uno stile e un posizionamento ben definito dell’identità del marchio, venduto in tutto il mondo, ha gestito l’apertura di nuovi negozi (attualmente sono nove in tutta Italia) e di prossimi punti vendita che apriranno all’estero.
«Qui a Bologna abbiamo aperto a ottobre 2020, non sono stati due anni facili, per tutto quello che sappiamo, ma pian pianino ci stiamo creando una clientela che torna a trovarci, perchè piace il prodotto e il servizio».
E questo è il momento in cui Francesco si accorge di essersi bagnato la camicia che si è immersa nell’acqua. Sì, dentro al negozio c’è una fontana, e dentro la fontana c’è dell’acqua.
Francesco mi aiuta a ripercorrere la storia del negozio: nel 1961 Dino Gavina affidò a Carlo Scarpa la realizzazione del restauro radicale dello spazio che ospitava il suo negozio di arredi della Gavina. A quei tempi la proprietà del negozio era della famiglia Castaldini, della storica ferramenta. Proprio così: lo spazio Gavina lo aveva in affitto. L’intervento di Scarpa fu volutamente provocatorio, ancora oggi il negozio è tra le più significative presenze del moderno nell’antico tessuto edilizio bolognese e la sua realizzazione si deve all’intervento a gamba tesa dell’allora assessore all’Urbanistica, Giuseppe Campos Venuti. Internamente è un open space all’avanguardia, dove le colonne della struttura portante sono state valorizzate ingrandendole e rivestendole con materiali e finiture diverse. «Questa non so quante volte sia stata fotografata dai turisti» mi racconta Francesco indicando la colonna dove il motivo dei due anelli che si intersecano, elemento ricorrente nei progetti di Scarpa, diventa un doppio foro passante. Dopo i lavori di Carlo Scarpa, finiti nel 1963, e gli anni della Gavina, nel 1998 lo spazio diventa negozio dei giocattoli Hoffmann e dopo qualche presenza temporanea, resta chiuso per alcuni anni.
Nel 2018 Claudia Canè Draghetti acquista il negozio e intraprende un restauro filologico che rispetta il modo quasi reverenziale il progetto originario. In prima battuta le cantine, dove il sottostante passaggio di un canale del Reno causa problemi di umidità, aumentata dalla mancanza del riscaldamento, che non era stato previsto da Scarpa. Poi il negozio, dove vengono riaperti i lucernari, prima murati, e tre buffe per favorire il ricircolo dell’aria, oltre alla realizzazione di un sistema di riscaldamento e raffrescamento a soffitto, per il quale, per non intervenire nel negozio, è stato necessario acquistare anche l’immobile al piano superiore.
«Dovevamo aprire a settembre 2019. Nel frattempo i lavori proseguivano ma levigando il pavimento originale venne via un pezzo di piastrella… e c’era dell’amianto. Fermi tutti. Da lì c’è voluto un anno di restauro. Il nuovo pavimento è stato realizzato in resina mantenendo il colore il più fedele possibile all’originale, come la dimensione e la posizione delle piastrelle, replicate realizzando a mano tutte le fughe» mi spiega Francesco mostrandomi i dettagli.
Chiedo come è nato il contatto tra Claudia Canè Draghetti e Roberto Dalla Valle, «Claudia aveva già ricevuto riverse proposte, Roberto stava cercando un locale e lo hanno portato a vedere questo spazio, se n’è innamorato. E a Claudia e suo padre sono piaciuti Roberto e il suo progetto». L’immagine del brand sarebbe più industrial, ma è stata adattata allo spazio bolognese che li ospita.
Gli chiedo come sia lavorare in un posto così, «la prima volta che sono entrato Claudia mi ha fatto una lezione molto approfondita e passava una volta alla settimana e spiegava sempre nuovi dettagli. E a me, che sono un interior designer mancato, ha dato più consapevolezza e attenzione ai dettagli e mi ha fatto scoprire un periodo storico del design che non conoscevo. All’inizio mi faceva più effetto, ora mi sembra normale, per me è sempre come lavorare in bottega».
Lo chiedo anche a Francesco Zaniboni aka DJ Rou e a Nicolò Matteucci di Archivio180, negozio di dischi con un corner all’interno dello spazio e parte dell’etichetta musicale 47011 Records. «Lo spazio è incredibile, dobbiamo stare più attenti di quello che saremmo abitualmente ma ora che è passato un po’ di tempo ci viene naturale».
Tutti e quattro mi confermano che moltissime persone entrano per vedere gli interni. «Anzi, alcuni si imbarazzano e sbirciano da fuori, e io faccio sempre segno di entrare» dice Francesco, che ha davvero un modo di fare accogliente e che mette a proprio agio. Oltre che un coinvolgimento contagioso per il suo lavoro e per questo posto.
Qual è il dettaglio che preferiscono dello spazio che li ospita? Francesco di Vintage55 il motivo di Scarpa del quadrato aperto ricorrente nel negozio, presente anche nei giunti dei telai delle vetrine, dei quali si è accorto solo dopo diverso tempo. Nicolò la fontana, Francesco di Archivio180 la feritoia che dall’ufficio di Gavina puntava verso l’ingresso del negozio, probabilmente per vedere senza essere visti, e che ora è nei camerini.
E io? Io mi sono accorta che mi sono talmente concentrata sull’architettura che non ho neanche guardato i vestiti. Motivo in più per tornare.
La mostra dedicata a Dino Gavina fa tappa anche nella Sala d’Ercole a Palazzo d’Accursio, dove presenterà la dimensioni più intima e domestica, con la riproduzione 1:1 della “casa nella casa”, una sorta di rifugio nel quale isolarsi, che Gavina realizzò all’interno della propria abitazione.
Alla Galleria Paradisoterrestre sarà raccontato attraverso le fotografie di Margherita Cecchini, perlopiù inedite, e attraverso la collezione Ultramobile, immaginata da Gavina nel 1971 come operazione di rottura, realizzando “opere d’arte funzionali” grazie al coinvolgimento di artisti come Roberto Matta, Man Ray, Novello Finotti, Meret Oppenheim, Marion Baruch.
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