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Lo-fi, pop psichedelico e il cantautorato italiano anni ’70: questa è la musica dell’emergente Kiwi666

28-02-2024

Di Beatrice Belletti

Kiwi666, all’anagrafe Roberto Andrés Lantadilla è un cantautore e musicista italo-cileno di stanza a Bologna che si muove tra lo-fi, indie e pop psichedelico anni ‘60.

Il 19 gennaio è uscito il suo primo disco in italiano Y, presentato in anteprima al Covo Club con un release party il 12 gennaio. Parallelamente al suo progetto, è nella band Big Cream con la quale  ha suonato anche al SXSW negli Stati Uniti.

L’album, uscito per Trovarobato e, in digitale, in co-etichetta con la neonata Scissor Salad, è un lavoro portato avanti grazie al sodalizio di Kiwi con il cantautore Alessandro Fiori, con il quale è nato un percorso di co-produzione e lavoro sulle nove tracce che lo compongono.

kiwi ph Irene Trancossi

I primi passi di Kiwi666 sono sperimentazioni DIY, in formato fisico, con la cassetta Wrong Nature (Selvatico Dischi), che attinge al mondo psych rock/lo-fi anglosassone. Segue il primo singolo in italiano Hawaii (Collettivo HMCF/Peermusic), e inizia i lavori al disco, anticipato dal primo singolo e video Tristi Tropici, realizzato con il contributo del Centro Musica di Modena.

Il sound che caratterizza il lavoro di Roberto si muove tra influenze folk rock al synth pop dei Talking Heads, e “padri fondatori del cantautorato sui generis della tradizione italiana” – pensate a Dalla e Conte.

Y, il titolo dell’album, è un omaggio a Thomas Pynchon, rappresenta un crocevia ma anche «un ideale anello di congiunzione tra la musica e la mia passione per la letteratura e per le storie. Dalla ballad lisergica che apre l’album, passando per la storia di “Bartleby Lo Scrivano”, arrivando alle riflessioni su felicità e rinuncia dal punto di vista di un immaginario clochard, fino ai riferimenti espliciti a Paolo Conte nel brano “Sabbia” per chiudere con un racconto familiare, in cui traumi si celano nei piccoli dettagli della vita quotidiana». Ne abbiamo parlato con Roberto:

Ciao Roberto, il 19 gennaio è uscito il tuo primo album Y, in italiano, con la direzione artistica di Alessandro Fiori. Ci racconti come è nato e come ti approcci alla collaborazione artistica? 

«Ciao! Y nasce dall’incontro da una serie di demo abbozzate in cameretta con Alessandro appunto, che ho avuto modo di conoscere dopo un suo concerto al Covo Club. L’ho approcciato regalandogli una mia cassetta, lui da appassionato del vintage e lo-fi ha apprezzato tantissimo, e abbiamo iniziato a scambiarci idee. La collaborazione artistica per me è fondamentale per avere un punto di vista diverso dal mio e per arrivare a scelte a cui da solo non avrei dato credito – in Y ce ne sono parecchie».

Nelle 9 tracce che compongono il disco dai voce a diversi personaggi, in alternanza tra sentimenti di malinconia e aspirazioni. Chi sono e cosa li accomuna? Qual è stato un momento in cui tu ti sei trovato sul punto di una rivelazione e cosa hai fatto?

«Il mio progetto Kiwi666 nasce da un tentativo fallimentare di accantonare, temporaneamente, la musica. Questo tentativo è stato spezzato dal Covid, che mi ha messo nelle condizioni ideali per scavare dentro me stesso e ritrovare la gioia nello scrivere. Per cui penso che una cosa che accomuna tutti i personaggi di Y sia quel senso di libertà nell’essere uno con la propria persona, come esprime bene la centerpiece Perdere».

kiwi ph Irene Trancossi

Il sound che caratterizza il tuo lavoro è un mix di lo-fi e psichedelia pop, con influenze che spaziano dagli anni ’70 italiani a Syd Barrett. Come ti sei trovato a unire mondi così distanti? E guardando invece ad influenze di oggi, cosa ti attrae della scena musicale più giovane?

«Non li trovo affatto lontani! Com’è profondo il mare, per esempio, lo trovo a suo modo una canzone perfettamente in linea con il canone del pop psichedelico – sia nelle strumentazioni che nei temi. Della scena attuale appunto mi stupisce chi riesce a ridare linfa vitale alla canzone stralunata e fuori dai canoni, penso a Paolo Schiamazzi, Marco Fracasia, ed i ragazzi di Circa Diana. Poi mi piace l’elettronica matta, ma questa è un’altra storia».

L’album è stato registrato in diverse locations, ma Bologna è casa tua, dove trovi ispirazione in città e dove vai a cercare nuova musica?

«Sono un avido frequentatore del Freakout Club dalla sua apertura. Adoro il Locomotiv, così come il Circolo DEV. Ultimamente anche gli house concert mi stanno dando soddisfazioni. Quanto a negozi, mi piace girare al Disco d’Oro ma non compro mai niente. Sono da sempre un tipo da Soulseek e cartelle nell’hard disk, piuttosto che da vinili».

Kiwi ph Irene Trancossi

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