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La verità del nostro tempo: il World Press Photo 2025 arriva alla Galleria Modernissimo

11-11-2025

Di Laura Bessega

Una fotografia non racconta mai solo ciò che mostra.
Alcune immagini arrivano dirette, colpiscono come un pugno nello stomaco, altre ti trascinano dentro un mondo e ti fanno sentire addosso ciò che raccontano. Altre ancora ti lasciano sospeso, in attesa di comprendere. Sono le tre emozioni che ho provato di fronte alle fotografie finaliste del World Press Photo of the Year 2025.

Mahmoud Ajjour di Samar Abu Elouf – Photo of the Year. Ritratto di Mahmoud Ajjour, un bambino di 9 anni gravemente ferito nel corso di un’esplosione a Gaza City.

Linguaggi diversi, storie diverse, ma unite da un filo invisibile: la ricerca della verità.

Night Crossing, John Moore – finalista Picture of the year. Un gruppo di migranti cinesi si scalda dopo aver attraversato il confine tra Stati Uniti e Messico.

«Viviamo in un’epoca in cui la verità è continuamente manipolata», ha ricordato il direttore della Cineteca di Bologna Gianluca Farinelli, aprendo la mostra. “Siamo sommersi da immagini e notizie, ma spesso non sappiamo più distinguere ciò che è reale da ciò che è costruito. In mezzo a questa confusione, il World Press Photo ci restituisce la possibilità di andare in profondità, di uscire più consapevoli dalla complessità del mondo”.

Night Crossing, John Moore – finalista Picture of the year. Un giovane uomo è ritratto mentre porta del cibo a sua madre, nella cittadina di Manacapuru. Un tempo per raggiungerla bastava attraversare il fiume in barca; oggi, a causa del cambiamento climatico, gli abitanti sono costretti a percorrere a piedi il letto del fiume prosciugato.

La mostra del concorso annuale di fotogiornaslismo più prestigioso a livello internazionale, ospitata alla Galleria Modernissimo fino al 30 novembre e promossa dalla Cineteca di Bologna in collaborazione con Foto Image e con il sostegno di Fujifilm Italia, si inserisce in una stagione espositiva dedicata proprio a questo tema — la verità — che accomuna anche le altre mostre attualmente in corso nel sottopasso di via Rizzoli: Georges Simenon. Otto viaggi di un romanziere e Pasolini. Anatomia di un omicidio e Le foto del babbo. Bologna raccontata da Nino Comaschi, fotoreporter bolognese attivo tra gli anni ’30 e ’60.

Nell’era delle intelligenze artificiali e dei contenuti generati, il concorso internazionale torna a ricordarci che la fotografia può ancora essere un atto di verità — non perché mostri tutto, ma perché sceglie di guardare davvero. Le immagini generate, costruite, ritoccate ci riconducono a una fotografia che torna ad avere un ruolo civile: quello di chi si sporca le mani, attraversa le crisi e restituisce al pubblico la complessità dei fatti. “È un’epoca strana — ha aggiunto Farinelli — in cui se da un lato abbiamo informazioni dettagliate su tutto, allo stesso tempo viviamo in un mondo dove, come mai è successo prima, c’è una continua manipolazione delle notizie. Siamo circondati da una verità che è diventata falsità”.

Quest’anno il premio principale è andato a Samar Abu Elouf, prima donna palestinese a vincere il World Press Photo of the Year. Un segnale di apertura e riconoscimento verso nuove voci e prospettive del fotogiornalismo contemporaneo.

“Il fotogiornalismo ha il potere di testimoniare e creare dialogo. Le storie che vedrete non sono facili, ma ci invitano a fermarci, a guardare più da vicino e ad accettare la complessità”, ha spiegato. “Viviamo in un mondo che tende a semplificare tutto, a dividere tra bianco e nero. Ma dietro ogni crisi ci sono persone: bambini che ricominciano a vivere, donne che resistono ballando, giovani che chiedono giustizia. Raccontare queste storie significa ricordare che la verità non è un concetto astratto, ma un atto di coraggio” ha detto Babette Warendorf, rappresentante della World Press Photo Foundation, ricordandoci che l’organizzazione — nata ad Amsterdam nel 1955 — festeggia quest’anno i suoi 70 anni.

Ogni anno, migliaia di persone si raccolgono in silenzio davanti alle immagini del World Press Photo proiettate sul grande schermo in Piazza Maggiore.
Un silenzio denso, carico di attenzione: non distratto, ma partecipe. È un’esperienza collettiva unica al mondo, come ha raccontato Fulvio Bugani, fondatore di Foto Image e fotografo che nel 2015 ha vinto il WPP e nel 2018 l’ha portato a Bologna.

«Le immagini non si muovono, non parlano, non c’è musica. Eppure la piazza era piena, e quel silenzio era totale», ha ricordato. «Quando abbiamo portato per la prima volta il premio in Piazza Maggiore ci siamo chiesti se avrebbe funzionato. Ma la fotografia ha un potere diverso: può suggerire, più che dichiarare».

Per Bugani, la forza del linguaggio fotografico sta proprio nei suoi limiti: nell’attesa, nel non detto, nello spazio lasciato allo spettatore per costruire il senso.
«Il World Press Photo ci insegna a guardare oltre la superficie — ha spiegato — a entrare dentro le storie. E spesso non sono le grandi notizie a restare dentro di noi, ma le microstorie in cui ci riconosciamo: le vite comuni, le difficoltà quotidiane, le fragilità che ci somigliano”.

“La fotografia è una verità a ventiquattro fotogrammi al secondo”, diceva Jean-Luc Godard.
Oggi, in un’epoca segnata dall’intelligenza artificiale, dalle immagini manipolate e dalla comunicazione distorta, il World Press Photo continua a ricordarci che la verità non è mai una sola. È un atto di sguardo, un esercizio di coraggio: quello di fermarsi, osservare, comprendere, restare.

Attempted assassination of Donald Trump, Jabin Botsford. Una delle scene più iconiche del 2024: Donald Trump scende dal palco in Pennsylvania, dopo essere stato colpito all’orecchio dal proiettile di un attentatore.

Emblematica in questo senso è una delle immagini vincitrici del premio, Attempted Assassination of Donald Trump, scattata da Evan Vucci del Washington Post.
L’immagine ritrae un Donald Trump inedito: non l’icona di potere che domina la scena, ma un uomo colpito, scortato di corsa dagli agenti del Secret Service, con il sangue che gli segna l’orecchio mentre lascia il palco del comizio in Pennsylvania.
La giuria ha scelto deliberatamente questa fotografia per mostrare la fragilità dietro la figura del leader, per raccontare un momento di vulnerabilità invece che alimentare l’estetica della forza.
È la prova che, anche nel cuore della cronaca, la fotografia può ancora restituirci complessità — e ricordarci che la verità, quando è onesta, non è mai propaganda.

Durante tutto il mese di novembre, ogni sabato al Cinema Modernissimo si terranno talk gratuiti con i vincitori internazionali del WPP, promossi da Foto Image con il supporto di Fujifilm.

I prossimi appuntamenti sono con:

Antonio Facciolongo (15 novembre ore 12:00)

Aliona Kardash e Daniel Chatard (22 novembre  ore 18:00)

Monika Bulaj (29 novembre ore 18:00)

A ogni talk segue una giornata di workshop con l’autore.

Per info e prenotazioni cliccate qui.

Inoltre è presente un calendario di visite condotte da Bugani stesso o dalla sua collaboratrice. Per prenotazioni scrivere al bookshop.

La mostra è visitabile fino al 30 novembre.

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