Design & Moda

Marco Rambaldi, il designer che trasforma i centrini delle bisnonne in un simbolo femminista

15-04-2022

Di Carla Sannino

I centrini delle nostre bisnonne diventano sexy con il brand di Marco Rambaldi, giovane designer bolognese tra i più promettenti del momento, per la sua visione innovativa della moda come messaggio universale e inclusivo. È stato ospite il 12 aprile al seminario Moda e politica, (di cui si può trovare lo streaming qui), organizzato dal biennio di Fashion Design dell’Accademia di Belle Arti di Bologna.

«Con gli studenti abbiamo osservato quanto i temi sociali stiano ormai influenzando il mondo della moda – dice Elisabetta Zanelli, curatrice dell’incontro – ma anche le realtà più piccole. La moda infatti viene sempre più utilizzata come veicolo di messaggi e per questo motivo non potevamo non invitare Marco che, con i suoi statements, ci presenta una moda inclusiva, tesa ad abbattere gli stereotipi».

Marco Rambaldi | Foto di Letizia Toscano

Marco Rambaldi, che è anche il nome del brand, nasce a Bologna nel 1990, studia graphic design e design del prodotto a Rimini e si laurea in Design della Moda all’Università IUAV di Venezia nel 2013. Vince il concorso Next Generation nel 2014 e debutta con le sue prime capsule collection grazie al supporto di Vogue TalentsCamera Nazionale della Moda Italiana.

Finiti gli studi lavora prima come stagista da Dolce&Gabbana occupandosi della base dei ricami e diventando poi responsabile maglieria. Nel 2017 fonda a Bologna il brand, in cui si fronteggiano da un lato il mondo della borghesia italiana degli anni 70 nei suoi codici espressivi quotidiani e reazionari e dall’altro un’estetica radicalmente giovane, emotiva, trasversale, nuova.

È proprio Bologna infatti la città che lo ispira ad aprire una riflessione sui temi dell’inclusività, dell’upcycling, del gender bender, e lo sprona nell’obiettivo di superare i vecchi canoni di bellezza, apprezzare il diverso uscendo dalla bolla in cui la moda ci ha rinchiusi per molto tempo, recuperare il made in Italy e molto altro.

Marco Rambaldi

Parlare di recycling e upcycling riporta Marco al periodo del primo lockdown: «È stato un momento strano in cui gli imput esterni erano quasi inesistenti, non c’era l’incontro con le persone. Facendo ricerche in casa tra i vari libri, mi capitava spesso tra le mani il nome della scrittrice Fernanda Pivano e, leggendo la sua storia, sono rimasto affascinato dal racconto del matrimonio tra lei ed Ettore Sottsass.

Infatti in un periodo in cui il marito si trovava in ospedale, i due, obbligati a rimanere chiusi lì per un mese, completamente estraniati dalla società, prendevano scarti di materie prime e li utilizzavano per dar vita alle prime fanzine. Leggendo questo aneddoto ho fatto immediatamente il paragone con la nostra situazione in quel momento, così in quei mesi, con le poche materie prime che avevamo in casa o con gli scarti rimasti in magazzino, abbiamo dato vita a questo recycling».

Da lì si è evoluto il mood delle collezioni.

Collezione della FW22 | Foto di Ludovica Bertucci / Art Direction di Filippo Giuliani / Styling di Anna Carraro

Il made in Italy in questo modo, non solo viene usato come sinonimo di qualità, ma viene riletto anche nel suo contesto culturale, sottolineando l’importanza di recuperare ciò che ci appartiene per riuscire a capire da dove veniamo e qual è il mondo che vogliamo costruire. Questa è una delle idee centrali che distingue da sempre il brand, visibile anche nella realizzazione dei capi all’uncinetto proposti al pubblico che, oltre ad essere unici, sono sostenibili e vengono creati assemblando centrini antichi a forme e centrini nuovi fatti dagli artigiani.

«La moda deve essere un mezzo per esprimere qualcosa, non una disciplina fine a se stessa – racconta Marco – altrimenti si parlerebbe di vestiti e nient’altro. L’idea di utilizzare l’uncinetto ad esempio nasce proprio perchè questo è da sempre legato alla donna che, stando in casa, lavorava a maglia. Noi abbiamo voluto stravolgere quest’idea donando una nuova vita ai centrini delle nostre bisnonne e facendoli diventare un simbolo di femminismo e indipendenza femminile. In questo modo non sono più considerati semplici oggetti ma vengono indossati, diventano qualcosa di sensuale».

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