Giovanni Pannacci torna in libreria, dopo L’ultima menzogna e La donna che vedi, edito sempre da Fernandel. Lo fa raccontando una storia per ragazzi che insegna anche molto agli adulti. Noi siamo qui è un romanzo che parla di inclusione, integrazione e di tanto altro, tutti temi che non dobbiamo perdere di vista in questo periodo così difficile e che mette alla prova ogni ambiente sociale, la scuola in primo luogo. Pannacci ci racconta, con la maestria di chi ogni giorno si misura con i ragazzi, essendo lui insegnante, le esigenze di chi abita il mondo della scuola.
Noi siamo qui è la storia di Gemma, una sedicenne che fa fatica a integrarsi nella sua realtà scolastica e non solo. Sarà Raya, una sua compagna straniera che tenterà di aiutarla a superare queste sue difficoltà. Ci racconti come hai sviluppato la trama?
«Gemma in effetti è una ragazza solitaria che non lega molto con i suoi compagni di scuola ma che, invece, avverte subito molta affinità con i quattro ragazzi stranieri che arrivano nella sua classe: insieme a loro affronterà una serie di avventure che, come accade nei classici romanzi di formazione, faranno crescere e maturare tutti loro.
Mi interessava scrivere una storia che parlasse di integrazione, autodeterminazione, diritto alla cittadinanza, ma all’interno di una trama ricca di azione e, soprattutto, raccontata dal punto di vista dei ragazzi e delle ragazze».
Tu sei insegnante e nel passato hai ricoperto il ruolo di insegnante di italiano per stranieri. Quanta parte della tua storia personale c’è in questo romanzo? Hai una storia incontrata in questi anni che avresti voglia di raccontare?
«Ho trascorso anni in compagnia di studenti stranieri e, inevitabilmente, ho ascoltato moltissime storie. Questo romanzo non sarebbe mai stato scritto se non avessi fatto quella importante esperienza professionale. In un modo o nell’altro i protagonisti del libro, pur nella trasposizione romanzesca, sono una sintesi delle persone che ho incontrato e delle storie che ho sentito».
Quale ruolo svolge, a tuo modo di vedere, la scuola per le politiche di integrazione del nostro paese?
«La scuola, pur con tutte le sue contraddizioni, svolge un ruolo fondamentale e spesso rappresenta un vero e proprio “presidio” sociale, che purtroppo non viene tenuto nella necessaria considerazione dalle istituzioni. Gli insegnanti troppo spesso vengono lasciati da soli e si ha come l’impressione che la politica viva una sorta di scollamento, di distanza siderale da quella che è la vera realtà e la quotidianità scolastica».
Il ruolo del professore è determinante in questo romanzo a un punto della storia. Come definiresti questo personaggio?
«Pietro Candore, detto Pietrone, è in effetti un professore sui generis ma, al di là delle sue caratteristiche fisiche e caratteriali, credo che il suo punto di forza sia quello di interessarsi veramente alla vita dei ragazzi, si preoccupa del loro benessere emotivo, della loro felicità. È questo tipo di empatia che fa la differenza in un insegnante, secondo me».
Uscendo dalla storia di Noi siamo qui, come hai vissuto l’insegnamento durante la pandemia. Quali sono state le sfide più grandi e le soddisfazioni che sei riuscito a cogliere?
«A costo di essere banale, ti rispondo dicendo che ho cercato di cogliere questa opportunità. Mi sono messo a studiare per cercare di inventare dei modi di fare lezione che fossero il più possibile adatti e funzionali alla didattica a distanza. Alla fine mi sono divertito a realizzare video, montaggi audio, lezioni multimediali e ho affinato delle tecniche e delle metodologie che sicuramente continuerò a usare anche in futuro».
Come mai la scelta di scrivere uno young adult? Hai avuto voglia di parlare a un pubblico specifico? Io nella lettura ho riscontrato una grande fruibilità del testo anche da parte di adulti.
«Pur facendo l’insegnante da tanti anni in nessuno dei romanzi che ho pubblicato finora avevo mai raccontato il mondo della scuola, diciamo che è stato abbastanza naturale dar voce a questi protagonisti, con l’ambizione che il libro possa incontrare anche l’interesse di quegli adulti che vogliono conoscere meglio il mondo degli adolescenti».
Qual è la prossima sfida per Giovanni Pannacci? A cosa stai lavorando?
«Noi siamo qui è stata una piacevolissima parentesi di scrittura, in un momento difficile come quello della pandemia in cui avevo voglia di scrivere una storia facile e leggera. Ma ora credo che tornerò a immergermi nelle complessità psicologiche dei miei personaggi marginali.
Ho due o tre storie in testa. Vediamo quale avrà il sopravvento».
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