Musica & Libri

L’artivismo dei Queen Of Saba arriva al Covo con il Medusa Tour: Intervista a Sara Santi

17-01-2024

Di Beatrice Belletti

“Alieni in un mondo che spinge al binarismo”, il duo queer pop Queen Of Saba, composto da Sara Santi e Lorenzo Battistel approda sul palco del Covo Club questo sabato 20 gennaio, portando in città la sua nuova creatura Medusa.

Il secondo album dei Queen Of Saba «è una menade danzante che ci invita in un mondo fuori dal binario, dove si celebra la trans joy e la salute mentale non è un argomento tabù». Arriva a due anni di distanza dal disco di debutto Fatamorgana, trascinandoci in un mondo dai suoni stratificati e colori acidi, shock, dirompenti, con il preciso scopo di scuotere l’ascoltatore fuori dal suo bozzolo di conforto e conformità. «Medusa è il mostruoso che da dentro di noi scalpita e sibila e cerca di tracciare una strada mai percorsa prima» raccontano i Queen of Saba, la cui arte si amalgama in perfetta sincronia alla militanza socio-politica.

Pubblicato il 13 ottobre, e distribuito da Believe, l’album vede le collaborazioni di artisti come Willie Peyote in ACAB (Amami Come Ameresti Bambi), BigMama per Cagne Vere e Ganoona in Pesca Noche, e il brano Rave in the Casba, è valso loro uno posto nella playlist Equal Italia di Spotify.

Con Medusa si balla, ci si agita, è un album viscerale, che non ti permette di stare ferm*, c’è la carnalità prepotente di beats e lyrics che ti prendono a schiaffi in faccia, c’è rivendicazione, del corpo, dell’affermazione di genere, di identità. Al contempo c’è amore e vulnerabilità, è un inno alla visibilità, da e per chi lotta contro le discriminazioni e le infrastrutture socio-normative. È un album che non ti permette di voltare la testa dall’altra parte.

Le contaminazioni sonore di elettronica, nutrite da influenze neo-soul, alternative r’n’b, disco pop e hip hop si muovono di pari ritmo con l’attivismo, le proteste, l’indignazione che non si ferma a parole ma brucia oltre i testi del duo artivista, contro una corrente mainstream che non vuole far posto alla diversità.
Dal video #riotrecap di Sentimi, Sentimi, Sentimi al Vademecum per live club sicuri, i Queen Of Saba sono nutrimento per chi nella musica non trova solo piacere ma cerca l’impegno.

Abbiamo chiesto a Sara (he/him) di raccontarci.

Ciao Sara! Prima di cominciare, quali sono i tuoi pronomi?

«Ciao! Uso i pronomi maschili, grazie per averlo chiesto».

 

Cosa significa essere un duo queer pop oggi in Italia? Quali sono state le sfide e le soddisfazioni dell’anno appena passato?

«Un duo queer pop indipendente, aggiungerei, perché in questa equazione è forse l’elemento che più esce dagli schemi dell’industria musicale italiana ed è anche quello che ci permette di essere chi siamo senza mezze misure. Significa navigare a vista creando spazi safe per la nostra musica e soprattutto per il nostro pubblico, con il proposito di costruire un percorso collettivo e sostenibile, usufruendo della piattaforma che abbiamo per essere un megafono intersezionale.

Il 2023 è stato un anno pieno di sentimenti contraddittori, in cui abbiamo oscillato tra l’euforia e la disperazione, tra l’entusiasmo per l’uscita del nuovo album e il senso di frustrante impotenza di fronte alle notizie sempre più atroci, tra la gioia per la nascita di un figlio (sì, Lorenzo è diventato papà!) e la consapevolezza di dover lottare con le unghie e con i denti per consegnargli un mondo migliore in cui vivere. Nella narrazione che si fa soprattutto sui social della “vita da artista” si evita spesso di citare i dubbi, le incertezze, i momenti di sconforto e i problemi di salute mentale, ma so che non sono l’unico ad aver vissuto un 2023 difficile, nonostante tutte le cose belle che abbiamo fatto».

 

Quali obiettivi o limiti da superare avete per il 2024?

«L’obiettivo più importante che ci poniamo per quest’anno e per i prossimi è riuscire a sostentarci grazie al nostro lavoro, per poter dire finalmente che viviamo di musica. In questa industria sembra quasi una prospettiva utopistica, un sogno che si può realizzare soltanto seguendo le regole del mercato e sperando di “sfondare”. Direi che questo è il più grosso limite che ci troviamo davanti al momento: tracciare una strada nuova in un sistema che inevitabilmente risponde alle regole del capitalismo.

Noi siamo fiduciosi che il nostro percorso sano, genuino e dichiaratamente fuori dagli schemi ci consentirà di vivere serenamente i nostri successi e insuccessi, perché quello che conta davvero per noi è continuare a suonare sul palco con lo stesso entusiasmo di sempre e condividere le nostre emozioni più viscerali con il pubblico.

Ci piacerebbe riuscire a raggiungere tutte le persone che hanno bisogno di sentirsi rappresentate, per farle sentire meno sole, per creare una comunità che non interagisce soltanto tramite le piattaforme ma si incontra anche nelle piazze e sottopalco ai nostri concerti. Se alla fine dell’anno prossimo anche solo una persona non-binary ascoltando “Principe Regina” si sentirà vista, compresa e raccontata potrò dire di aver ottenuto esattamente quello che speravo».

 

Medusa è il vostro secondo album, arriva a due anni dal debutto con Fatamorgana, ci racconti l’evoluzione sonora dietro questo nuovo disco e cosa rappresenta?

«Moltissime tracce sono nate da sperimentazioni di Lorenzo con ritmi interiorizzati nei suoi anni di studio al Conservatorio o scoperti grazie a laboratori e corsi sulle percussioni che ha frequentato negli anni. Questo approccio è stato determinante nel creare una frattura con la nostra produzione precedente, che dal punto di vista musicale seguiva sicuramente degli schemi più rodati e anche più aderenti, per via dei nostri gusti e dell’influenza che questi hanno avuto, al panorama discografico del 2021 (anno in cui è uscito Fatamorgana).

Spesso i testi e le melodie, invece, sono venuti alla luce durante i nostri viaggi in macchina fra un concerto e l’altro, senza l’ausilio di altri strumenti se non l’impianto radio dell’auto e i nostri telefoni. Per me ha segnato un’evoluzione importante, perché solitamente sono più propenso a ritirarmi nella solitudine per scrivere – un’abitudine che forse deriva dall’esperienza pandemica, contesto nel quale ho lavorato alla quasi totalità delle parole delle canzoni dell’album precedente.

Credo che Medusa ci rappresenti fedelmente non soltanto come individui ma come duo proprio perché nel produrlo abbiamo scoperto una coesione simbiotica e una divisione del lavoro estremamente fluida, libera dalle etichette “cantante” e “producer”».

In Medusa troviamo feat. con Willie Peyote, BigMama e Ganoona, cosa cercate in altr* artist* quando iniziate una collaborazione?

«L* 3 artist* citat* sono estremamente divers* fra loro, così come le canzoni a cui abbiamo loro chiesto di collaborare, ma in ciascun* di loro abbiamo trovato un punto di contatto che ci ha permesso di uscire dalla comfort zone: è questo quello che cerchiamo, da una parte l’affinità istintiva con artist* che condividono i nostri ideali e dall’altra la sfida a far collidere i nostri rispettivi mondi musicali. E in tutto questo c’è l’aspetto umano di amicizia, supporto vicendevole e confronto.

Con Willie Peyote abbiamo parlato della resistenza in Val Susa, della violenza della polizia e dell’attivismo torinese. Con BigMama di rainbow washing, catcalling e linguaggio provocatorio. Con Ganoona di gelosia, mascolinità tossica e decostruzione dei paradigmi patriarcali. Queste collaborazioni non hanno arricchito soltanto l’album ma anche noi come persone e come artisti».

 

L’attivismo è una parte fondamentale della vostra musica, che spesso va oltre i testi e la performance, infatti avete stilato un Vademecum di buone norme di comportamento per fan e locali, con il fine di creare degli ambienti sicuri per tutt*. Ce ne parli?

«L’idea del Vademecum è nata dall’esigenza di garantire a chi viene ai nostri concerti che siano seguite le norme del consenso, del rispetto dei pronomi e più in generale della vivibilità dell’ambiente club. Questo è il nostro primo tour nei club e conosciamo molto bene le difficoltà che si possono incontrare negli ambienti chiusi e affollati in cui persone con sensibilità, consapevolezza ed educazione diverse vanno per divertirsi e ballare. Se non ci si attuano sistemi di cura reciproca e rispetto, una serata di musica può trasformarsi in un incubo.

Volevamo assicurarci che Medusa fosse un gateway per uno spazio safe(r) sia metaforicamente che nel pratico: una sorta di sigillo di garanzia che permetta alle persone che solitamente faticano a trovare il loro posto nell’industria del divertimento di sentirsi al sicuro e partecipare serenamente al concerto. Per questo abbiamo chiesto a tutte le venue di stampare le grafiche che abbiamo preparato e appenderle in luoghi strategici e visibili a tutt*. In tutti i casi abbiamo riscontrato una disponibilità completa ed entusiasta, in alcuni anche un affiancamento da parte di un team che già si occupa di questi temi.

Speriamo che la nostra iniziativa possa contribuire ad aprire una discussione sulla necessità di ripensare gli spazi di socialità e divertimento in un’ottica di sostenibilità, cura, accessibilità e anche riduzione del danno».

Locandina VADEMECUM Medusa Club Tour 23

Il video di Sentimi Sentimi Sentimi, è una composita serie di immagini da manifestazioni e lotte a sfondo sociale. Quali sono i temi per cui si battono i Queen Of Saba e perché abbiamo bisogno di scendere in piazza a protestare?

«Ci definiamo intersezionali perché crediamo sinceramente che la lotta sia una: il nemico comune dei diritti civili, della tutela dell* lavorator*, della giustizia climatica, del transfemminismo, dell’antispecismo e dell’anticolonialismo è la società ciseteropatriarcale capitalista. Ai nostri concerti, come nel video di Sentimi Sentimi Sentimi, c’è spazio per tutte le battaglie che ci stanno a cuore, dalla liberazione della Palestina alla rivoluzione queer: ci piacerebbe che i nostri live fossero uno specchio delle piazze a cui partecipiamo, e per questo chiediamo al pubblico di portare cartelli, bandiere e un sacco di voce per trasformare gli spazi che occupiamo in cellule di resistenza.

Abbiamo bisogno di manifestare insieme, di unirci in un solo grido, per credere che sia possibile costruire una società diversa, per ricordarci vicendevolmente che aggrapparsi alle utopie non è una guerra persa: è l’unica cosa che ci rimane per sfidare la narrazione che non esista un’alternativa possibile. Verbalizzare, raccontare, immaginare altre strade ci dà gli strumenti per costruirle. E chi se non noi deve credere ciecamente nel potere delle parole?».

 

Chi ti ispira, non solo musicalmente ma umanamente? Ci suggerisci 3 artist*/attivist* da seguire?

«In questo periodo credo che le persone più importanti da seguire siano l* giornalist* che rischiano la vita quotidianamente a Gaza: il conto dell* giornalist* uccis* da Israele è salito a 113 proprio ieri, non c’è protezione internazionale per loro e quindi il nostro supporto diventa fondamentale, non soltanto per portare l’attenzione sulle loro vite ma anche per dare visibilità ai contenuti che pubblicano e che sono le uniche immagini che ci arrivano dalla Striscia. Il loro lavoro, alla luce anche dell’udienza in corso al tribunale dell’Aja per crimini di guerra contro Israele, è fondamentale per rovesciare la narrazione filosionista e mostrare il “conflitto” per quello che è realmente: un genocidio. Quindi ecco tre nomi di giornalist* palestinesi da seguire: @hindkoudary @motazazaiza @wizard_bisan1».

Infine, un messaggio, per i/le vostr* fan, e per chi ancora non conosce la vostra musica o il vostro impegno sociale?

«Per l* nostr* fan: vi vediamo e vi sentiamo, aspettiamo solo i prossimi live per dirvi quanto vi vogliamo bene! Per chi ancora non ci conosce: seguici, è l’ora bitch».

Condividi questo articolo