Biglietti della metro già timbrati, contenitori di cartone, vinili logorati, vecchie mappe. Oggetti da buttar via per molti ma non per tutti. Per Emmanuel Signorino sono la tela perfetta, quella che ha stampata su di sé una storia pronta per essere raccontata una seconda volta, o trasformata in qualcosa di nuovo.
Il nonno è siciliano, il padre è nato in Tunisia, lui in Francia. È tornato in Italia per amore dodici anni fa e da allora la sua vita si divide tra Bologna e Cannes. Dipinge ufficialmente da trent’anni, ma la sua prima opera l’ha realizzata a quattro: “di fianco avevo scritto il prezzo: un milione di franchi. Non ho mai venduto questo pezzo” (ride). Le influenze sono diverse, soprattutto l’art brut e l’arte tribale. Lo descriverei come uno strano mix tra Basquiat e Keith Haring, pop ma con un’anima dark.
“Mia mamma aveva un poster di Matisse, da bambino io rimanevo a bocca aperta a guardarlo, perché con pochi tratti lui era capace di mostrare tutto”. Come nella sua vita anche la sua arte è un continuo miscuglio di stili e attività. Pittura, disegno, collage, fotografia… ma anche tanta passione per la musica. Per questo un paio di anni fa decide insieme a Fabio Canducci, proprietario del negozio di dischi Transformer in via Cesare Battisti, di aprire una galleria d’arte all’interno del locale, di cui diventa curatore. La chiamano Transformart Galleria.
Il nome deriva dalla prima mostra organizzata nel febbraio 2018, dove erano esposte vecchie copertine di vinili ormai logori ridisegnati da Emmanuel. Quest’anno hanno deciso di replicare con un progetto simile, chiamato Cover Remix. Inaugura stasera, 10 aprile alle 18,30 e rimane in mostra fino al 10 maggio. Sono dodici le copertine remixate graficamente, sempre ascoltando l’originale per entrare nell’atmosfera.
È proprio durante una delle mostre da Transformart che lo incontro. Ad un tratto tira fuori dalla tasca un biglietto della metro francese, è appena riconoscibile perché tutto disegnato. “Ma l’hai fatto tu?”. Uno strano metodo di riciclo, penso.
“Sono molto triste a vedere quello che buttiamo: il cibo, la carta. Anni fa, quando non avevo niente su cui disegnare ho iniziato su dei rifiuti: pezzi di carta che trovavo, cartoni delle pizze surgelate francesi, sono le uniche buone in Francia (sorride). È sempre rimasta in me questa idea di rispettare la carta e l’ambiente. Ecco perché adesso quando trovo un biglietto dell’autobus per terra lo prendo e disegno. Chiedo ai miei amici di recuperare tutto. Alla metro una signora aveva una decina di biglietti, stava per strapparli e le ho detto ‘No! Cosa fa? Me li dia’. Poi una volta finiti li vendo allo stesso prezzo del biglietto, non voglio approfittare di questa cosa, l’arte deve essere accessibile a tutti”.
Non sono solo le sue tele ad essere particolari ma anche i suoi strumenti di lavoro: una carta di credito scaduta, dei coltelli da cucina, una vecchia spatola ereditata dal padre che di mestiere faceva il piastrellista: “Era con delle macchie, non l’ho mai voluta pulire: quando dipingi crea una texture particolare. Non penso che gli strumenti più cari ti facciano fare le cose più belle”.
Dipinge proprio con tutti i mezzi, anche con il telefono e l’iPad. È stato uno dei primi artisti digitali: “Ho iniziato sette anni fa, usavo quest’app che si chiama Paper53 e così si è creata una comunità di artisti su Tumblr e dopo su Instagram. Scelgo una tavolozza di colori campionando un’immagine. I miei colori principali vengono dal tarocco di Marsiglia, sono quelli che uso quasi sempre. Questa cosa dell’iPad apre delle porte incredibili, molta visibilità: ho avuto una mostra in Colombia, a Medellìn, senza chiedere niente. Una signora che ha parecchi coffee shop in Colombia ha comprato le mie stampe sul mio sito e ha fatto una mostra.
All’inizio facevo solo fondo nero e graffiti. Ora con gli aggiornamenti posso avere altri strumenti, come regolare lo spessore del tratto. Ma delle volte ho ancora bisogno di sporcarmi le mani con la pittura”.
Oltre al tema dell’ecologia ci sono anche altri temi affrontati nelle sue opere come quello della disabilità, rappresentata su carta da figure mostruose, ma solo in apparenza: “mia madre era disabile, conosco lo sguardo della gente ‘normale’. Spesso le persone hanno paura dei miei disegni, per loro sono dei mostri. Non è così, non sono dei mostri ma persone disabili, come vengono viste dagli altri”.
Spesso lavora con la musica in sottofondo. Ascolta una canzone e la disegna. Mischia l’ascolto con il suo pensiero e crea un mix di colori e parole.
“Quando David Bowie è morto ho fatto questo disegno con tutte le sue canzoni, le mie preferite”. Mi mostra il disegno realizzato con l’iPad. “Volevo fare un ritratto classico, però alla fine ho messo il nero sullo sfondo per sbaglio, ed è cambiato tutto il viso. Così si capisce che David Bowie è morto, sembra uno zombie. A me è piaciuto un sacco e l’ho lasciato così”. Crede molto nel caso, che ritiene un elemento fondamentale per l’arte: “Più cerchi le cose e meno le trovi, io senza cercare niente trovo tutto (sorride). Mi lascio molto influenzare dalle cose che non controllo. Quando sbaglio, una volta mi sarei arrabbiato, adesso lo accetto. Quando disegno parto senza avere un’idea precisa su quello che voglio fare, non dovrei dirlo, ma sono sincero”.
Non vi fate depistare dall’aria naif del suo approccio all’arte perché in realtà dietro c’è una passione inesauribile e una disciplina di ferro: “Mi alzo tutte le mattine alle 7, alle 7,30 sono già a lavorare. Lavoro sempre, tutti i giorni. Se non dipingo, leggo, mi informo, sono sempre concentrato sull’arte”. Nel suo profilo instagram mostra anche momenti di lavoro, mentre disegna su una grande mappa di Parigi, sempre accompagnato dal suo gatto “appena mi metto sul tavolo per dipingere lui arriva, inizia a giocare con l’uniposca”. Gli chiedo se ha mai interagito con la realizzazione di qualche opera: “purtroppo sì, con la coda. Aveva tutta la coda blu l’altra volta”.
Anche quello è un intervento del caso.
“Sì, ma un caso che da pulire è un po’ difficile”.
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