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Un collettivo di 20 artisti e curatori ha ridato vita alla Gelateria Sogni di Ghiaccio

08-09-2025

Di Davide Armento

Non sappiamo quante volte turisti in cerca dei “posti imperdibili dove mangiare bene a Bologna” si siano imbattuti per caso nella Gelateria Sogni di Ghiaccio convinti di trovare un cono gelato e catapultati in tutt’altro universo.

Qui, di gelato, nemmeno l’ombra: dal 2016 questo spazio indipendente dedicato all’arte contemporanea in via Tanari Vecchia 5a ha saputo ritagliarsi un nome a livello nazionale, dare spazio alla scena emergente della città, ospitare artisti affermati del mondo underground, ed è stata capace di resistere al tempo e alle difficoltà mutando forma.

Dal 2023 la gestione è nelle mani di collettivo di ventidue persone, tra artisti, curatori, tecnici, che si ritrova per accogliere l’arte in tutte le sue forme, renderla accessibile e far avvicinare le persone per il gusto e l’urgenza di conoscersi e stare insieme. Ogni. Singolo. Venerdì.

Abbiamo raggiunto due componenti del collettivo, Paolo Gabriotti e Giulia Giacomelli, per farci raccontare la storia e il progetto, ma anche il format “Family matters” che propone ogni venerdì una mostra sempre diversa coinvolgendo artisti che hanno avuto modo di conoscere lo spazio e la città di Bologna negli anni passati.  

Ciao Paolo e Giulia! Potreste raccontare cos’è oggi il progetto Gelateria Sogni di Ghiaccio?

Paolo: Per Gelateria Sogni di Ghiaccio il 2025 è da considerare un anno a parte, iniziato con una sorta di “manifesto” interno e non pubblicato, basato sul modo in cui volevamo lavorare e quindi l’idea di formare un collettivo e darci una struttura. Nel collettivo sono confluiti giovani artiste e artisti ancora iscritti all’Accademia, artisti come Mattia Pajè, uno dei fondatori dello spazio, e poi ci sono curatori giovani, meno giovani, qualcuno che lavora anche nelle Istituzioni, come me o Caterina Molteni impegnata al MAMbo. E ci sono anche delle persone che hanno voluto partecipare ma sul lato tecnico. Ad esempio, tra di noi c’è chi si occupa di sviluppare e lavorare ai materiali per le installazioni.

Mi parlereste di più dell’impostazione del collettivo?
Giulia: Come accennava Paolo, esistono dei gruppi indicativamente suddivisi per aree: dalla comunicazione alla curatela, di cui anche io faccio parte, fino al vaglio delle proposte avanzate da tutto il collettivo, e alla parte più tecnica e logistica. In generale, però, siamo tutti chiamati a contribuire il più possibile, anche a livello più pratico, come la pulizia dello spazio. C’è un forte senso di responsabilità comune verso il progetto.

Andando a ritroso nel tempo, mi raccontereste com’è nato il progetto?
Paolo: Il progetto nasce nel 2016, era uno spazio che era stato fondato dagli artisti Mattia Pajè, Marco Casella, attualmente ancora presenti nel collettivo, e Filippo Marzocchi, uscito qualche anno fa. Per circa otto anni GSG è stato uno spazio che faceva parte della scena artistica e culturale dell’epoca, dove in città erano presenti moltissimi artist-run space come ad esempio Localedue, oggi chiamato Omega due, e TRIPLA. E in quegli anni GSG ha avuto una programmazione abbastanza fitta, anche di sette, otto mostre all’anno di artisti ai quali Mattia, Filippo e Marco erano interessati e che cercavano di portare a Bologna, attraverso una forma di scambi e visite; una storia interessante non solo dello spazio in sè, ma più in generale degli spazi indipendenti di Bologna. Una fase che forse si sta chiudendo per il modo in cui l’abbiamo conosciuta ed era iniziata.

E poi, com’è continuata l’evoluzione?

Paolo: Nel 2022 GSG ha assunto la forma di studio creativo, poi nel 2023 Mattia Pajè ha chiesto ad un gruppo di amici che frequentavano lo spazio – artisti, curatori, operatori – di dargli una mano perché aveva in testa di farlo rinascere. In generale, sentivamo una grande urgenza di riavere uno spazio nostro, sia perché Gelateria si era un po’ fermata e sia perchè gli altri spazi che frequentavamo non erano più attivi, così per un anno un gruppo di circa nove persone, tra cui me, ha riaperto stabilendo l’apertura del venerdì, anche se inizialmente non è sempre stato possibile mantenere la costante di una proposta artistica a settimana. Questa urgenza di avere uno spazio sociale, ci ha permesso di inventare serate, così come di mettere in piedi una piccola programmazione artistica.

Mi sembra sia stato una specie di preludio della nuova impostazione della Gelateria.
Paolo: Sì, quell’annata è stata sperimentale, per certi versi arrangiata, ma che ha dato vita a tutto ciò che è venuto dopo: allargare il gruppo ad amici che frequentavano lo spazio e poi rilanciare delle connessioni, affinché venissero coinvolte altre persone interessate. Così siamo arrivati ad avere un collettivo di ventidue componenti. Ci siamo inoltre dati un’auto tassazione, dato che siamo un collettivo informale, in modo da poterci permettere la libertà di non dover necessariamente pensare a progettazioni e bandi, visto che tra l’altro ciascuno di noi lo fa già nella propria vita lavorativa di artista o curatore. Così abbiamo mantenuto l’idea del venerdì con una programmazione fissa, tra mostre, screening, singole opere, format vari, live. E nel 2024 si è consolidato quella che nel 2023 era stata una call agli amici per provare a far ripartire le cose.

E il lato artistico?
Giulia: Io sono uscita da pochissimo dall’università e vedo GSG anche come una palestra personale dove potermi relazionare non solo a livello umano, ma anche a livello professionale per le mie attitudini curatoriali. Ho sempre trovato una grandissima apertura nell’accogliere proposte. E infatti la prima cosa che abbiamo presentato quest’anno un po’ come anche dichiarazione d’intenti e intrinseca allo spazio è stato il lavoro di Emilio Fantin, un video del ‘92 intitolato Trekking, quando radunò a Bologna personalità di quel momento storico non necessariamente legate al mondo dell’arte per un trekking sui colli bolognesi. Un modo per stare insieme, conoscersi e intraprendere discorsi che non avessero necessariamente una finalità artistica. Ed è proprio ciò che vogliamo: conoscerci prima ancora di parlare di arte, per approfondire i rapporti interni al collettivo e iniziare in modo estremamente amichevole e informale.

Avete parlato di un manifesto intrinseco e non pubblicato, di una dichiarazioni di intenti. Ma cosa vi muove, quali sono i principi e l’attitudine di GSG?

Paolo: Uno di questi principi è sicuramente l’eterogeneità di linguaggi artistici da proporre. C’è sempre stata la volontà di presentare un range molto ampio di pratiche: progetti editoriali, progetti video, live radio, etichette discografiche che magari operano nella musica più sperimentale. Cerchiamo di non imporci confini, una ricerca che è garantita anche grazie alla varietà dei componenti del collettivo. E poi la volontà di essere uno spazio con proposte a cadenza garantita. Il messaggio è: “il venerdì vieni da noi: GSG c’è, è attiva, è una certezza”.

 

Con giugno si è conclusa la prima parte di Family Matters, format che tornerà il prossimo 3 ottobre. Potete spiegarci meglio in cosa consiste questa rassegna?

Paolo: Family Matters esiste quasi dagli esordi di GSG, è in programma ogni venerdì con una mostra diversa e l’abbiamo scorporato in due periodi, quello estivo concluso a giugno e il prossimo, che sarà a ottobre. In questo modo, il format ci ha permesso di proporre una programmazione veloce e alternarla a mostre che potessero durare di più, come quella proposta ad inizio estate a cura di Lucia Leuci, Merda e luce. Inoltre, Family Matters racchiude anche la dichiarazione d’intenti nel titolo – “La famiglia conta” – per delineare in qualche modo la scena bolognese, di artisti giovani ed emergenti che operano in città. In sostanza, FM ci è servito come pietra d’angolo per capire come avremmo strutturato l’annata di programmazione.

Potreste darei solo alcune coordinate della seconda parte di Family Matters 3?

Giulia: Sì, certo! Di Family Matters 3, la seconda parte inizierà il 3 ottobre con Marcello Spada, poi il 10 avremo Eleonora Luccarini, il 17 David Casini e il 24 Valentina Furian. Altre info saranno poi disponibili via sito e social.

Avete un modo di comunicare criptico, essenziale, dove spesso alle parole prevale l’apparato fotografico. Com’è accolto dal vostro pubblico, e in che modo risponde la vostra community?

Giulia: Abbiamo questo modo di comunicare: diretto e pulito e senza troppi fronzoli. In qualche modo ci piace non spoilerare troppo il lavoro legato alle esposizioni del venerdì. Per quanto riguarda la comunicazione dello spazio, stampiamo i riferimenti delle serate sulle bobine degli scontrini, curati dal nostro grafico Marco Casella. Possono essere presi dai visitatori come ricordo della serata. Questi scontrini finiscono anche nelle stories e nei post di recap mensili dove mostriamo cosa è successo nello spazio e alla fine, tutti insieme, saranno stampati in unico rotolo che diventerà una sorta di fanzine della programmazione annuale di GSG. Inoltre, abbiamo una newsletter dedicata alla nostra programmazione.

E i volti sfocati nelle foto?
Giulia: Rientra nella nostra identità visiva. Anche nelle foto che magari pubblichiamo sui social o nel book che pubblichiamo ogni volta a fine anno tendiamo a sfocare i volti. Non cerchiamo necessariamente l’anonimato, anche perché i nostri nomi compaiono sul sito, ma generalmente non tendiamo a mostrarci.

Qui Per saperne di più sul progetto

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