A un anno dalla nascita, il progetto Arcipelago-19 esce dai social network e dal web per comparire nelle strade di 14 città italiane con la campagna #anticorpi.
Il progetto era partito durante il primo lockdown grazie all’iniziativa di cinque fotografi, anche bolognesi: Max Cavallari, Michele Lapini, Valerio Muscella, Francesco Pistilli e Giulia Ticozzi.
«Abbiamo iniziato a chiamare colleghi e colleghe in giro per l’Italia e in una settimana le città si sono moltiplicate. Cerchiamo di raccontare la condizione che il nostro paese sta vivendo attraverso l’occhio di fotografi da tutta la nazione» ci ha raccontato Max Cavallari.
Oggi questo racconto collettivo coinvolge oltre 120 fotografe e fotografi professionisti. Un viaggio verso la ripartenza a partire dalle piccole e grandi isole non divise dal mare ma dalla quarantena.
Quali sono questi anticorpi che bisogna sviluppare?
Il progetto prova a dare delle possibili risposte, risultato di un ragionamento collettivo su diverse tematiche. A Bologna l’installazione è stata realizzata in collaborazione con Cheap. Per l’occasione hanno scelto di parlare di Sindemia che, come riporta la Treccani «è l’insieme di problemi di salute, ambientali, sociali ed economici prodotti dall’interazione sinergica di due o più malattie trasmissibili e non trasmissibili, caratterizzata da pesanti ripercussioni, in particolare sulle fasce di popolazione svantaggiata».
«Nel 2020 erano almeno 51.000 senzatetto in tutta Italia. – scrive Cheap – Per loro, il rischio di contrarre la malattia è solo un ulteriore disagio nella lotta quotidiana. Per loro è impossibile “restare a casa”. Lo scatto di Alessandro Serranò realizzato a Roma il 13 marzo 2020, svela un paradosso: nelle strade vuote, l’invisibile diventa visibile e svela la sua presenza.
Ekhlad e suo figlio sono entrambi chiusi in casa. – continua Cheap – Lei, incinta assieme al marito Mohammed e il piccolo Ali, è arrivata in Grecia a bordo di un gommone, ha percorso la rotta balcanica e raggiunto prima la Norvegia e poi l’Italia. Hanno lasciato Bassra (Iraq) nel 2015 perchè temevano l’avanzata di Daesh nel Sud del Paese. Oggi vivono a Bitonto (Bari). Svolgendo lavori saltuari, con il lockdown si sono ritrovati senza stipendio. I figli, entrambi alle elementari, rischiano di perdere l’intero anno scolastico, nonostante gli enormi sforzi delle insegnanti con la didattica telematica. Lo scatto è di Savino Carbone del 30 marzo 2020.
Abbiamo scelto alcuni tra i volti più fragili ed esposti e allo stesso tempo i più invisibili e nascosti».
Questi interventi sono frutto di un impegno comune, una serie di nuove finestre sugli sguardi e sulle esperienze di ciascuno.
«Arcipelago-19 è nato anche per valorizzare il lavoro dei/delle freelance che anche in questa pandemia sono in prima fila per raccontarlo e farci arrivare a casa le informazioni e le fotografie che poi riguarderemo per ricordare questo momento» ci racconta Michele Lapini.
«Non esistono schemi di narrazione, ci sono fotografie di cronaca, fotografie in casa, fotografie concettuali, abbiamo lasciato a tutti gli autori modo di esprimersi in libertà. Il fil rouge è la pandemia, ma poi ognuno ha il proprio stile e il proprio modo di raccontare – ci ha detto Max Cavallari – Chi è costretto a casa così può avere una testimonianza di ciò che succede fuori. Lo facciamo perché riteniamo giusto raccontarlo e per un senso di unione, ora più che mai è necessario per tenerci legati l’un l’altro».
In questi giorni, grazie alla nuova campagna #Anticorpi, sono state affisse in grande formato le fotografie tratte da questo “atlante della pandemia“.
Piazze, strade, bacheche, luoghi pubblici, in una mappa ideale dove le isole dell’Arcipelago sono finalmente connesse. Le città prescelte sono Milano, Trento, Brescia, Bagolino e Treviso Bresciano in Val Sabbia, Genova, Bologna, Firenze, Roma, Manziana, Ostia, Napoli, Sannicandro di Bari, Palermo.
Le immagini, raccolte nell’anno del covid, sono lo strumento con cui coinvolgere la cittadinanza attraverso l’esperienza dello sguardo partecipato.
Come hanno raccontato i fotografi di Arcipelago-19: «Vogliamo che siano sottoposte agli agenti esterni della strada e di ciò che questa rappresenta, alle condizioni meteo, agli edifici architettonici e alla vita, che lentamente cerca di tornare ad una nuova normalità.
Esiste una dimensione che riguarda i nostri corpi nello spazio aperto. Riprendere in mano la quotidianità significa riprendere possesso di ciò che per molti mesi è stato precluso da un virus capace di condannare lo spazio pubblico a spazio del contagio e della malattia».
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