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L’influencer che ci racconta l’arte con le polaroid

16-02-2023

Di Laura Pagnini
Foto di Isabelle Giavaresi

È giovanissima, ma già da diversi anni ha le idee chiare: il suo sogno è quello di fare della sua passione più grande la sua professione. Non solo: il suo obiettivo è quello di riuscire a raggiungere sempre più persone, dai ragazzi con cui si interfaccia tutti i pomeriggi al doposcuola fino ad arrivare al pubblico virtuale con il quale si trova a interagire quotidianamente.

Isabelle Giavaresi, di padre italiano e madre francese, dopo la laurea triennale in Beni culturali e durante la magistrale in Arti visive, ha deciso di mettersi in gioco in prima persona, aprendo su Instagram il profilo @artsinpolaroid, all’interno del quale Bologna e l’arte sono protagoniste, a volte anche intrecciandosi tra loro.

L’ho incontrata con in cuore il desiderio di capire qualche dettaglio in più sulla sua pagina, che parla il particolare linguaggio delle polaroid.

Cosa ti ha portata ad aprire la pagina su Instagram? Qual era il tuo scopo?

«L’ho aperta a dicembre del 2020, però avevo intenzione di aprirla già molto prima, solo che non sapevo come fare, cosa pubblicare effettivamente, come impostarla, perché non avevo mai studiato quelle cose: andavo sui social da utente. Nel periodo del Covid, non andando a lezione e non avendo amiche o amici nel settore, ho iniziato a sentire il desiderio di parlare di arte con qualcuno e quindi ho deciso di aprire una pagina. Poi mi sono detta: perchè non parlare io di arte e divulgarlo sui social!?».

 

A quale target intendevi rivolgerti? Ci sono state sorprese da questo punto di vista, ad esempio pubblici che non ti aspettavi…?

«All’inizio mi seguivano solo studiosi d’arte o specifiche figure professionali. Man mano che sono andata avanti, mi sono accorta che in realtà, a seguirmi, erano perlopiù appassionati. Mi ha stupito vedere un pubblico adulto che risponde alle mie storie o condivide i miei post, mi aspettavo maggiormente persone della mia età».

 

Sempre parlando di chi ti segue: gli argomenti e i format della pagina li scegli tu o ti piace anche confrontarti con il tuo pubblico a riguardo?

«Un po’ e un po’. Tutte le cose che pubblico mi vengono di pancia, a sensazione. Faccio una passeggiata e dico: Wow! Potrei pubblicare questa cosa! Potrei parlare di questa cosa! Anche il format sulle professioni, che sto pubblicando da poco, mi è venuto in mente un giorno mentre stavo andando a lavoro. Io, per esempio, quando mi sono iscritta all’Università, avevo due o tre professioni in testa del settore, ma tutte le altre non le conoscevo e molto spesso in facoltà non te ne parlano. Ho ricevuto dei messaggi di persone che mi hanno scritto: La puoi continuare questa rubrica? Per me è molto utile. Arrivano spesso anche dei suggerimenti. Se non arrivano dalle persone che mi seguono, arrivano dai miei amici».

E la scelta delle polaroid come ti è venuta in mente?

«Un giorno, poco prima di aprire la pagina, avevo fatto un ordine di mie foto di musei e opere che avevo visto. Guardandole, mi è venuta la scintilla. Sì, la mia vita è fatta di scintille, io le chiamo così. Dei momenti di epifania in cui mi viene un’idea!».

 

Quali sono, secondo te, le caratteristiche della tua pagina rispetto a tutti gli altri numerosissimi profili che trattano di arte su Instagram?

«Direi la mia personalità, che sta iniziando ad emergere. All’inizio avevo molta paura a farmi vedere, quindi secondo me il mio profilo era molto simile ad altri. Poi sicuramente anche il fatto che io seguo molto quello che le persone vogliono vedere. Se vogliono vedere di più una determinata rubrica piuttosto che un’altra, io li seguo».

Ho visto che ora lavori in un doposcuola con i ragazzi delle medie e in estate hai lavorato nei centri estivi per bambini; credi che ci sia bisogno di far avvicinare i giovani al mondo dell’arte? In che modo, secondo te?

«Sì, sì, tantissimo! Io sto notando a lavoro che fanno molta fatica, perché non sono abituati alla cultura artistica in generale, non sono abituati ad andare nei musei e non sono abituati a sentir parlare di arte. Secondo me è un peccato perché hanno delle idee e una creatività tali da leggere le opere in una chiave totalmente diversa. Secondo me bisognerebbe puntare tanto su di loro e soprattutto dare loro la possibilità di andare di più nei luoghi culturali. Molto spesso mi capita di sentirmi dire: A me storia dell’arte non piace! Non voglio farla! Non ho voglia di studiare questa materia! È noiosa! Ci ha dato troppe pagine! Molti professori, secondo me, gliela spiegano come se davanti a loro avessero degli adulti, non dei ragazzini. Bisogna parlare la loro lingua».

 

Dal tuo percorso accademico è chiara la passione che hai per le arti visive. Quella per la lettura, invece, che ti ha portata ad aprire anche un Gruppo di lettura sulla pagina, quando e come arriva? Trovi un collegamento tra arte e lettura?

«Quando ero piccolina non leggevo mai. Negli ultimi anni l’ho riscoperta tanto, soprattutto durante il Covid leggere mi rilassava, l’unica cosa che volevo fare era stare tranquilla. Collego molto la lettura all’arte perché ti fa vivere l’arte in modo diverso. Questo mese, ad esempio, stiamo leggendo un libro che tratta come vengono percepiti i musei dai visitatori. È quasi una guida su come affrontare una visita a un museo».

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