Musica & Libri

Uno spaccato della Bologna anni 80. Intervista a Ciro Pagano dei Gaznevada per i 40 anni di Sick Soundtrack

12-02-2021

Di Beatrice Belletti

Era il 1980, Bologna usciva dai fermenti di ribellione studenteschi del ’77, la musica e il fumetto si fondevano tra le varie espressioni artistiche e prendevano vita nelle case occupate e nei club underground. Da lì escono i Gaznevada, band che è diventata culto di una generazione.

Ci racconta in un’intervista lo spaccato della Bologna creativa degli anni 80, Ciro Pagano, chitarrista della storica band e incarnazione dello Zanardi di Pazienza.

Ciro pagano

In occasione del 40esimo anniversario del loro album d’esordio Sick Soundtrack, pubblicato per Italian Records, divenuto oggetto di culto rarissimo, arriva la ristampa, oggi disponibile in vinile grazie all’Expanded Music e Giovanni Natale, che fu uno dei fondatori dell’Italian Records.

Contemporaneamente viene pubblicata un’edizione limitata di 150 copie in vinile marmorizzato bianco, già contese dai collezionisti internazionali, con allegato il 45 giri di Billy Blade & The Electric Razors, il progetto ‘rockabilly’ di Billy Blade, il cantante dei Gaznevada, introvabile anche questo.

Alla ristampa di Sick Soundtrack è seguita la pubblicazione, il 31 gennaio 2021, per la prima volta su vinile,  della leggendaria cassetta, ‘Gaznevada’, registrata dalla band nel  1979, il loro vero esordio.

Proprio nel 1977, nella “fabbrica dei sogni” – TraumkFabrik – di via Clavature, dove disegnavano Andrea Pazienza e Filippo Scozzzari e muoveva i primo passi dietro la macchina da presa Renato de Maria, il gruppo iniziava a suonare con il nome Centro d’Urlo Metropolitano. Gli anni che seguono portano il gruppo a scoprire la fascinazione delle sperimentazioni tecnologiche, il suono diverge dal punk degli esordi alle vertigini elettroniche della new-wave e i Gaznevada creano una nuova estetica sonora fatta di dialogo con gli strumenti fisici.

Gaznevada 1977 Ciro e Gianluca

Ciro e Gianluca 1977 – gentile concessione della band © Gaznevada

Sono passati 40 anni dal debutto di Sick Soundtrack, cosa rappresenta per te la ristampa su vinile del primo album dei Gaznevada? 

“Quando siamo stati contattati da Giovanni Natale il discografico di Expanded (ex Italian Records) che ci comunicava di voler fare un’uscita commemorativa di Sick Soundtrack ho realizzato che erano già passati 40 anni da quel disco e me lo sono andato a riascoltare. L’effetto è stato quello di ascoltare un album colmo di grandi intuizioni per l’epoca e ovviamente qualche ingenuità dovuta all’inesperienza: eravamo giovani e Sick Soundtrack venne scritto e registrato di getto.

Concordo con Sandro (aka Billy Blade) quando dice che avevamo avuto l’opportunità di esprimerci liberamente e la cogliemmo al volo, senza porci altro limite se non la nostra sensibilità di quel momento,  e io aggiungo che anche per questo Sick Soundtrack è, in qualche modo, un album sperimentale.

Tornando alla domanda la risposta è che, oltre l’affetto scontato per quel primo lavoro, Sick Soundtrack rappresenta per me un’ottima testimonianza dell’avanguardia musicale di quel periodo, una perfetta fotografia dei Gaznevada, e non solo, di quegli anni”.

 

Il 1980, anno di Sick Soundtrack, ha visto la performance a Bologna di una delle band anglosassoni più cult e significative del movimento punk: i The Clash, che assieme agli americani Ramones sono state tra le ispirazioni dei vostri esordi. Cosa vi ha spinto a passare dal rock riottoso alle sonorità elettroniche della New Wave?

“Contrariamente ai Ramones, i Clash non hanno avuto alcun peso nella formazione musicale dei Gaznevada, sicuramente non nella mia. La band dopo un inizio all’interno del movimento studentesco, era il 1977 e il nome della band era ancora ‘Centro d’urlo Metropolitano’, eravamo quelli di ‘Mamma dammi la benza’ per intenderci, non ha mai tratto ispirazione da eventi politici né si narrava di questo nei testi.

Frequentavamo il movimento studentesco, ma eravamo abbastanza ‘trasversali’ all’interno di quest’ultimo. I Ramones invece, come dicevo, hanno avuto grande influenza nella formazione iniziale del gruppo a tal punto che nel marzo del 1978 preparammo il concerto ‘Gaznevada sing Ramones’ una performance live di sole cover della band americana.

In realtà a noi interessavano le novità, le sonorità e le soluzioni creative avant-garde per intenderci, e già nella prima ‘cassettina’ dei Gaznevada compaiono contaminazioni con i suoni elettronici. Sick Soundtrack venne composto e registrato nel 1980 e in un breve lasso di tempo per cui contaminato da idee e sonorità della No-Wave americana e più in generale della New Wave. Eravamo assidui frequentatori dei negozi di dischi dove arrivavano i vinili di importazioni”.

Tra le influenze più distintive ci sono i Talking Heads e Brian Eno, ci racconti che impatto hanno avuto nell’evoluzione della band e nel tuo percorso artistico personale? 

“Sicuramente il lavoro di Brian Eno e come artista e nelle sue produzioni, tra cui gli stessi Talking Heads, ha avuto importanti influenze nell’evoluzione della band. Sul finire degli anni 70 però ascoltavamo anche Velvet Underground, Iggy Pop, Bowie, i Roxy Music, e ovviamente buona parte della scena punk e new wave che veniva pubblicata in quel periodo: Ramones, Ultravox, Blondie, Television, Contortions, The Residents e più in generale la scena americana, così ben rappresentata nella compilation No-New York di Brian Eno, ma anche Kraftwerk, Tangerine Dreams ecc…

Questi ascolti in aggiunta alle frequentazioni di letture, cinema, arte (William Burroughs, Raymond Chandler e i libri noir, i fumetti e i cartoni animati giapponesi, i film di Brian De Palma e Stanley Kubrik, le opere di Andy Wharol… per citarne alcuni) contribuirono alla nostra formazione ed ebbero un notevole impatto nell’evoluzione della band.

Sick Soundtrack è il racconto e la sintesi di tutto quello che ascoltavamo e volevamo fare, in senso musicale, in quegli anni. Personalmente tra gli altri artisti già citati apprezzavo Robert Fripp e successivamente l’elettronica di Giorgio Moroder che ebbero nel prosieguo della mia carriera un’importanza rilevante”.

 

Siamo negli anni della rivoluzione, il fermento sociale della fine dei 70s che in Italia infiammava i centri sociali e la coscienza civico-politica della young generation. La musica era sfogo, urlo, passione, anarchia, scopo, identità – tutto insieme. Sui palchi di Bologna risuonava un’eco di de-costruzione sonora, con il rock demenziale, con gli Skiantos, punk, no e new wave. Facci una lezione di storia della musica Bolognese e un’illustrazione della città di quella decade, per chi non l’ha vissuta. 

“Difficile in poche righe riassumere anni così intensi. Ad ogni modo Bologna sul finire degli anni 70 era una città ferita come buona parte dell’Italia e dell’Europa di quegli anni. C’era malcontento, disagio ci furono manifestazioni, scontri sociali che degenerarono nella lotta armata. Anche la musica, e più in generale l’arte, risentirono di questo clima e, in questa rivolta sociale e culturale, ci fu spazio per il punk.

Ci si muoveva tra università e case occupate, assemblee e prove in scantinati, concerti e manifestazioni. Nel 1977 in questo contesto noi realizzammo ‘Mamma dammi la benza’, il brano che diede inizio al rock demenziale di cui gli Skiantos di Freak Antoni furono grandi interpreti.

In quel periodo noi frequentavamo una casa occupata nel centro di Bologna, la Traumfabrik, che presto divenne ‘ritrovo’ per fumettisti, film-maker, scrittori, e giovani creativi, come si direbbe oggi. Passavamo il tempo disegnando, ascoltando musica, progettando performance: insomma l’ispirazione era quella della Factory di Andy Wharol dove, con le dovute proporzioni, i Gaznevada, stavano alla Traumfabrik come i Velvet Underground stavano alla Factory.

All’epoca in città c’era molta condivisione attraverso assemblee, incontri, autogestione, ma nulla come quello che succedeva alla Traumfabrik dove l’arte e la creatività erano la vera urgenza. Poi nel novembre del 1977 cambiammo nome in Gaznevada, da un racconto di Raymond Chandler, e iniziammo a definire meglio il nostro sound incanalandoci nell’onda punk che arrivava dall’Inghilterra anche se, come già detto, guardavamo più alla scena musicale americana: preferivamo i Ramones ai Sex Pistols per intenderci. Successivamente nel marzo del 1978 realizzammo il live ‘Gaznevada sing Ramones’ dove per tre sere consecutive suonammo solo cover dei Ramones al Punkreas di Bologna, uno scantinato in pieno centro. Fu un vero successo con tutte e tre le serate sold out.

Nell’aprile 1979, dopo l’uscita del nostro primo lavoro su cassetta, ci fu il Bologna Rock, il primo festival live al Palasport di Bologna che raccoglieva un cospicuo numero di gruppi nascenti che gravitavano intorno all’area bolognese tra cui noi. Credo che fu dopo quell’esibizione che prendemmo coscienza che la nostra avventura nel punk era terminata, stava arrivando la no-wave e la new-wave e noi eravamo pronti”.

Gaznevada Sick Soundtrack polaroid

© Gaznevada

Le scelte artistiche azzardate e contro-tendenza spesso fanno sollevare qualche sopracciglio, e ancora di più quando lo si fa utilizzando una lingua che non è quella del pubblico. I Gaznevada sono entrati nella lista di Rolling Stone dei migliori 100 dischi di rock italiano, eppure cantavate in inglese. Che rapporto hai avuto con la critica? E che aspettative avevate come band sulla percezione del pubblico verso la vostra musica? 

“Sick Soundtrack venne accolto con molto interesse dalla critica. Venne percepito lo sforzo creativo e l’originalità anche se per noi era semplicemente la sintesi di quello che ci piaceva in quel momento musicalmente, graficamente e visivamente.

Con il pubblico però andò diversamente: Sick Soundtrack non ebbe successo, ma non fu una sorpresa; non avrebbe potuto scalare classifiche di vendita non ne aveva i contenuti né la struttura esterna che avrebbe potuto sostenere un tale sforzo. Chi all’epoca apprezzava i Gaznevada di Sick Soundtrack era un pubblico di appassionati e fedelissimi. Eravamo osannati perché ‘alternativi’ anche se ben lontani dall’essere ricchi e famosi: il naturale traguardo del successo.

 

Come artista hai vissuto in prima fila molteplici cambiamenti, dalla nascita della controtendenza strumentale con la contaminazione dell’elettronico nell’elettrico, alla digitalizzazione dello streaming, ora più che mai sovrano. Guardati indietro e tira le somme: di cosa avresti fatto a meno, o cosa secondo te è stato un emblema positivo di sviluppo?

“La grande rivoluzione musicale del punk, che non richiedeva una conoscenza approfondita degli strumenti, portò a una sorta di ‘democraticizzazione’ nella musica: tutti avrebbero potuto esprimersi e pubblicare i loro lavori supportati da piccole label interessate, a loro volta, a questa nuova onda. Con il movimento punk potevano finalmente esprimersi anche musicisti con tecnica dello strumento limitata. Le idee diventano più importanti e la composizione dei brani non dipendeva più da una grande padronanza dello strumento, come succedeva nel rock progressivo, ma da un uso diverso e più basic dello stesso.

Poi alla fine degli anni 80 con l’avvento dell’house music e più precisamente della techno di detroit le cose cambiarono nuovamente e arrivò una nuova grande rivoluzione legata alla tecnologia: uno su tutti il campionatore Akai S900. Da quel momento, grazie alle idee applicate a questa nuova tecnologia, erano i dj, i ‘non musicisti’, che producevano musica, e ancora oggi si sentono le influenze di questa grande rivoluzione. Non si poteva fare a meno di tutto questo. E aggiungo per fortuna”.

 

C’e un brano in Sick Soundtrack legato ad un ricordo particolare che vuoi condividere?

“Eravamo arrivati negli studi della Fonoprint di Bologna per il mix finale dell’intero album che era stato registrato negli Umbi Studios di Modena. Il primo brano che mettemmo sul registratore Studer 24 pollici fu Going Underground. In pieno entusiasmo sperimentale lavorammo per un’intera giornata il suono della chitarra rendendolo irriconoscibile grazie a copiosi effetti di flanger, echo, chorus ecc…

Verso sera ci raggiunsero Billy Blade e Andy Nevada, soliti al ritardo nelle session della band, che ascoltata la lavorazione bocciarono la cosa. Ci fu ovviamente una furiosa lite e senza alcun compromesso riportammo la chitarra al suono originale quello che è sul vinile. Aldilà della giornata persa in studio sono ben contento di quella personale marcia indietro: Going Underground meritava il suono della chitarra che ha”.

Gaznevada album cover

È innegabile che il periodo attuale sia di estrema difficoltà per il mondo dell’intrattenimento, molte sono le speculazioni sul come e da dove ripartire, e sull’importanza vitale dell’arte. Come stai affrontando questo clima e cosa pensi del futuro dell’industria musicale?

“Personalmente sono fermo da ormai un anno, essendo la mia attività principalmente nei live. Questo a volte può portare sconforto e preoccupazione, stati d’animo che credo di condividere con la maggior parte dei colleghi e più in generale con chi ha vissuto, sino a prima della pandemia, di tutte le arti creative che prevedono interazione nei luoghi di aggregazione: discoteche, teatri, cinema, palasport, stadi, piazze…. Probabilmente questa emotività sarà in qualche modo incanalata nel processo creativo o forse no. Di sicuro quando tutto questo finirà le persone vorranno ancora divertirsi stando assieme, come era e come deve essere. Francamente l’industria musicale (la intendo a 360 gradi con tutto l’indotto) già in sofferenza prima della pandemia non avrà una facile ripartenza, ma secondo me, la chiave di volta sta proprio nella ‘ripartenza’ che quando ci sarà, proprio per questo, sarà un successo. La musica? È sempre più un accessorio ormai e questo è il vero problema, ma si era ammalata ben prima del COVID-19“.

 

Come si potrebbero stravolgere la scena musicale di oggi per riproporre l’avanguardia? C’è ancora spazio per le nuove idee che rompono gli schemi?

“Credo ci sia sempre spazio per nuove idee che rompono gli schemi, ma bisogna averne la voglia e la forza, ed è quest’ultimo punto il maggior ostacolo. La gabbia dei social, mascherata da libertà, è un passaggio inevitabile per potersi affermare ed essere riconosciuti, anche come avanguardie, e il problema è che la visibilità va acquistata. Servono risorse, a volte importanti, per potersi far trovare sui social e da qui nella vita reale, non il contrario purtroppo. Poi ci sono situazioni che diventano virali, ma al momento la parola ‘virale’ mi mette disagio…”.

Sandro e Ciro live

Un’ultima curiosità… tra Robert Squibb e Zanardi di Pazienza, dove sta Ciro? E che musica ascolta oggi?

“Robert Squibb era il chitarrista dei Gaznevada, Zanardi è il personaggio di un fumetto. Io sono Ciro. Ecco la storia. Prima di andare in stampa con la ‘cassettina’, il nostro primo album, decidemmo di darci uno pseudonimo e io scelsi Robert Squibb tutto qua.

Con Andrea Pazienza ci conoscemmo alla fine degli anni 70 grazie alla comune frequentazione della Traumfabrik. Lui veniva spesso a trovarci e passava ore a disegnare tavole che sarebbero diventate famose col tempo. Andrea si ispirava al mondo attorno a sé esasperandolo e così io diventai Massimo Zanardi per i tratti somatici. A dire il vero quando mi fece vedere le prime tavole non ero poi così entusiasta di dare volto a Zanardi, anzi, ma adesso lo trovo divertente.

Ora la domanda è: ero così feroce come Zanardi? No ero semplicemente un amico di Andrea. Tra l’altro c’è un brano di Sick Soundtrack che reputo una piccola perla: Japanese Girls e che molti anni dopo la sua uscita, nel 2002, venne inserito nel film ‘Paz!‘ sulla vita di Andrea Pazienza e per la regia di Renato De Maria.

Cosa ascolto oggi? L’elettronica legata al mondo techno e psy mi diverte, e ovviamente la musica anni 90 che ho avuto la fortuna di vivere come artista, produttore e dj e che continuo a trovare attuale e stimolante. Per il resto sono interessato a come lavora l’algoritmo di Spotify che aiuta a conoscere mondi sonori e artisti correlati con gli ascolti che si fanno. Anche se a volte preferirei scoprirli da solo, come ai bei vecchi tempi…”.

Condividi questo articolo