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Dentro AtelierSì: dove teatro, musica elettronica e arti visive si incontrano

03-12-2025

Di Greta Esposito

È buio e la strada davanti a noi scivola via lenta, come un respiro profondo della città. Sono in macchina con altre tre persone: nessuno parla, ognuno è immerso nei propri pensieri.

Dal finestrino vedo le luci dei lampioni che si scompongono in scie luminose, come se volessero trattenermi un attimo di più tra i palazzi e il rumore del traffico. Poi, quasi senza che me ne accorga, il centro comincia a diradarsi e il buio dei colli prende il suo posto, fitto e silenzioso. È un futuro post-apocalittico quello che si apre davanti a me, mentre la strada si snoda tra gli alberi: un uomo solo che vaga in cerca di conforto. La sua solitudine risuona nel ritmo della notte e per oltre un’ora mi sembra di seguirlo davvero, tra rovine e spiragli di natura che riconquista ogni cosa. Cosa resterebbe del mondo se l’essere umano sparisse all’improvviso? Questa la domanda da cui si parte.

Una musica d’ambiente riempie l’abitacolo e con lei arrivano le parole di Non Una voce di Ultimi fuochi Teatro. Questo il titolo dello spettacolo teatrale a bordo di un’auto per soli 4 partecipanti a replica ospitato da Ateliersi, il collettivo di produzione artistica che ha sede nel cuore di Bologna e che da anni intreccia arti performative, ricerca e sguardi laterali sul presente, trasformando la scena in un laboratorio aperto di possibilità. Nelle stanze della loro sede storica in via San Vitale ho incontrato Andrea Mochi Sismondi autore e direttore artistico di AtelierSì insieme a Fiorenza Menni – per una chiacchierata che ha illuminato il dietro le quinte di questo progetto.

Fiorenza-Menni-e-Andrea-Mochi-Sismondi

Puoi raccontarci com’è nata AtelierSì? Quali sono stati i primi passi, gli ideatori e l’idea originaria dietro questo collettivo di produzione artistica?

Ateliersi nasce ufficialmente nel 2013 da me, Fiorenza Menni, ora co-direttrice di Ateliersi, Giovanni Brunetto (Responsabile Tecnico), Tihana Maravic (Responsabile comunicazione e progettualità), e Diego Segatto (progettista grafico). Da luogo di produzione di una compagnia che creava inizialmente le proprie opere, abbiamo poi aperto un hub di sperimentazione di nuovi linguaggi che avesse dentro la possibilità di lavorare in maniera interdisciplinare, mettendo insieme non solo il teatro ma diversi elementi come musica elettronica, esposizione di arti visive e presentazione di libri. Concettualmente ci interessava creare un luogo in cui la ricerca e la sperimentazione di linguaggi si sviluppasse più nel processo che nel prodotto finale.

Alessandra-Cristiani_Matrice-da-Ana-Mandieta_foto-di-Lorenzo-Crovetto

In che misura la scena culturale di Bologna ha influenzato la scelta dei linguaggi, delle performance e degli interventi che proponete?

Io sono un romano arrivato a Bologna vent’anni fa e qui ho trovato un ambiente di riferimento pieno di risonanze. Creare dei progetti che aprono a connessioni è possibile perché Bologna è effettivamente una città che ha moltissimo da offrire sulla ricerca contemporanea e sui linguaggi, anche nell’ambito di diverse discipline. In tal senso, più che influenzare il nostro fare dal punto di vista della poetica, Bologna è una città molto stimolante nella costruzione di connessioni e nelle permeabilità. Abbiamo costruito nel tempo forme di accoglienza anche di progetti più giovani che hanno arricchito il nostro sguardo, penso per esempio ai primi festival di Poverarte.

Ateliersi_La-mappa-del-cuore-in-VR_foto-di-Margherita-Caprilli

La vostra sede si trova in un contesto storico rilevante per la città di Bologna: ce ne puoi parlare?

Sì, la nostra sede un tempo era un convento delle Orsoline. La sala della Memoria era il refettorio ed era famosa per avere un’acustica meravigliosa, pare infatti che Vivaldi venisse qui a sentire le prime realizzazioni delle sue opere. Un tempo questo spazio costituiva il Monastero di San Leonardo, poi successivamente ha avuto diversi passaggi di uso fino ad arrivare a Leo de Berardinis, che qui ha costruito una parte importante del suo percorso. Due anni fa abbiamo vinto il progetto per l’efficientamento di questo spazio e oggi lo sentiamo come luogo con una grande storia, ma protagonista di una importante trasformazione.

La-mappa-del-cuore_Ateliersi_foto-di-Margherita-Caprilli

Come definiresti oggi la vostra linea artistica? Quali linguaggi contemporanei privilegiate e perché?

Ti potrei dire che il nostro interesse principale sono i modi in cui la realtà si sovverte nel contemporaneo. Ciò che facciamo è andare a lavorare non sui testi teatrali, ma su drammaturgie originali che partono da un contatto diretto con le esistenze delle persone e con fonti linguistiche non specificatamente teatrali. Ad esempio il libro “Confini diamanti. Viaggio ai margini d’Europa, ospiti dei rom” e due spettacoli che abbiamo messo in scena sono nati da due anni di residenza a Šuto Orizari, in Macedonia, dove vive la più grande comunità rom esistente al mondo. Ci siamo spostati lì, dove siamo stati adottati da una famiglia per due anni e su questa esperienza abbiamo costruito due spettacoli che mettevano al centro proprio la relazione tra percezione di sé nel presente e nel futuro e dimensione comunitaria.

In una delle vostre ultime produzioni, We Did It, immaginate un mondo in cui crisi climatiche, conflitti e disuguaglianze sono state superate e dove il rapporto con entità non-umane appare centrale. Come vi siete approcciati a dare “voce” a ciò che normalmente non ne ha?

Il tema portante in “We Did It” era per noi quello di ragionare su un futuro luminoso possibile in cui alcuni elementi di trasformazione positivi che vediamo al momento marginalizzati e resi residuali, si sono sviluppati e hanno costruito un’ipotesi di mondo più aderente a come noi lo vorremmo. Se ti dicono che il mondo è questo e non c’è alternativa al capitalismo estrattivo non puoi che dire: rivolgiamo lo sguardo lì dove non lo abbiamo messo fino ad ora. In questo lavoro abbiamo scelto di togliere tutte le parole che sono inflazionate rispetto a questo tema, come “sostenibilità”, mettendo in scena invece una forma di bioimmaginismo: attraverso la descrizione delle cose lasciamo spettatori e spettatrici liberi di crearsi una propria immagine di futuro.

Ateliersi_WE-DID-IT_foto-di-Margherita-Caprilli

Quale pensate possa essere oggi il ruolo del teatro, non solo come luogo di rappresentazione, ma come spazio concreto dove immaginare e sperimentare nuove forme di convivenza?

Per noi fare uno spettacolo significa sempre creare un ambiente da abitare insieme al pubblico e un luogo che permette a spettatori e spettatrici di lavorare, dal momento che il teatro ti dà la possibilità di guardare e ascoltare ciò che vuoi, operando una scelta. Per noi è importante costruire drammaturgie che abbiano momenti in cui il pubblico viene coinvolto attivandosi, suscitando così una reazione in lui. Ci interessa anche la dinamica assembleare, ad esempio in We Did it gli spettatori si posizionano in una forma circolare, in cui tutte le persone vedono gli altri di fronte a loro. In più, credo che il senso comunitario del teatro non sia solo nello spettacolo in sé, ma anche nelle progettualità che sono sempre collettive, sia in scena che come investimento per tenere vivo uno spazio.

Quali sono i prossimi appuntamenti in programma? Ci puoi anticipare qualcosa sugli spettacoli o le iniziative che presenterete nei prossimi mesi?

I prossimi due anni saranno dedicati a Carla Lonzi. In programma c’è un primo spettacolo su cui sta lavorando Fiorenza Menni che arriverà all’Arena del Sole, nel mese di febbraio. È il primo atto di un lavoro biennale sull’ultima opera incompiuta di Carla Lonzi “Armande sono io!”, un lavoro che parte dalle relazioni tra il movimento delle Preziose del XVII secolo e l’opera di Molière. Un altro appuntamento a cui teniamo molto è quello dell’11 dicembre dove mettiamo insieme l’apertura della residenza artistica di Alessandra Cristiani, danzatrice strepitosa che sta lavorando insieme a Francesca Proia in scena con “Un frammento da Matrice – da Ana Mendieta”. Poi la stessa sera presenteremo l’ultimo lavoro di Masque Teatro Oh, Spirito! e infine gli ultimi libri di Ilaria Palomba, poetessa e scrittrice di grande sensibilità. Nel corso della stessa serata Fiorenza Menni farà un incontro sulla relazione tra corpo e infinito nella creazione. Tre momenti che rappresentano bene il nostro modo di concepire le aperture al pubblico.

Ateliersi_WE-DID-IT_foto-di-Margherita-Caprilli

Sapere che nei prossimi due anni il lavoro di Ateliersi attraverserà l’opera di Carla Lonzi mi riempie di un’emozione difficile da spiegare a parole. È stata per me una soglia, una voce che ha inciso profondamente nella formazione e nella vita, e ritrovarla oggi, al centro di una progettualità così attenta alle trasformazioni del presente, mi dà la sensazione di un cerchio che inaspettatamente si chiude o forse si riapre, ancora una volta, verso altro. C’è qualcosa di profondamente umano in questo modo di leggere l’arte e il teatro: un passo condiviso nel buio, un tentativo ostinato di immaginare insieme. E forse è proprio lì, in quella ricerca collettiva, che Carla Lonzi tornerà a parlarci ancora.

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