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“Fantastico!”, la rivista per sfuggire alle autonarrazioni dei social

28-10-2020

Di Luca Vanelli
Foto di Fantastico!

Capita che ogni giorno ti arrovelli con il flusso costante dei tuoi sentimenti: questo fiume sotterraneo sempre in piena, che non si ferma mai. E ogni tanto qualcosa ti si incastra tra il diaframma e le costole e fai fatica a respirare normalmente. Così vomiti su fogli di carta elettronici molte parole, spesso incastrate male.

Molte volte sono slanci della mente talmente arzigogolati che non fregano a nessuno, altre invece ti sembra che possano essere funzionali agli sviluppi delle vite che non sono la tua. E allora vuoi farle sapere, vuoi farle conoscere.

Ed eccolo lì, lo spazio che cercavi per le tue indigestioni sentimentali. Questo spazio si chiama Fantastico!

Il progetto è nato ormai più di un anno fa, come newsletter, da un’intuizione di Alberto “Bebo” Guidetti. Conosciuto come fondatore del gruppo Lo Stato Sociale, ma anche scrittore, presentatore di programmi radio, produttore musicale e agitatore di professione.

Anche lui, nel suo flusso di pensieri e sentimenti, a un certo punto ha notato delle mancanze, l’assenza di un qualcosa di necessario. Uno spazio che racconti la complessità del reale attraverso gli sguardi di non professionisti.

Dopo più di settanta numeri, oggi Fantastico! sta mutando nella forma e nel colore: una rivista cartacea, l’atterraggio su Medium, gli eventi live, nuove scadenze, nuovi ritmi.

Cambiano gli spazi, ma non cambia la sostanza. Fantastico! continua nella sua missione originaria: quella di dare spazio e struttura a quei getti dell’anima che ogni tanto fuori escono violentemente dalle nostre penne.

Mi sono fatto raccontare da Bebo da dove è partito tutto, poi come al solito ci siamo persi in molto altro: la felicità, l’angoscia, il lavoro. Fino all’unica vera rivelazione: nessuno sa esattamente cosa sia Fantastico!, ma è così che deve essere.

Alberto “Bebo” Guidetti

Da cosa nasce Fantastico!? Qual è stata l’intuizione?

“In realtà è nato dopo tanti ragionamenti che hanno frullato nella mia testa. Ero piuttosto stufo di dovermi barcamenare all’interno dei social media e delle nostre autonarrazioni, raccontando un’immagine digitale che non sempre ci rispecchia.

Dall’altro lato ho fatto per diverso tempo scouting di artisti musicali. E ho notato che il lavoro di scoperta degli artisti spesso manca di una fetta importante: il feedback a queste persone, anche se è negativo. Si tende ad ignorare e basta, una cosa tremenda.

Partendo da queste riflessioni ho cercato di creare uno spazio vivo per quei ‘non professionisti’ che hanno voglia di emergere e ho dato forma a una newsletter che partisse dal basso”.

 

Oggi Fantastico! è diventato molto di più: una rivista cartacea, lo spostamento su Medium, gli eventi live. Ora sembrano esserci anche tante mani a muovere il timone.

Col passare del tempo mi sono dedicato sempre più alla rivista e da qui è nata l’esigenza di condividere alcuni compiti.

Si è venuto a creare un nucleo forte che ha sempre partecipato, con tanto cuore e dedizione, al progetto. Sono quattro persone, più giovani e arrembanti di me, che da qualche mese gestiscono quello che riguarda la newsletter: il lavoro redazionale, cercare di dare un senso al numero, guidare gli scrittori per migliorare. Tutto con lo spirito di chi non ha idea di quello che sta facendo.

Alcune cose ovviamente traballano più di prima, si fanno diversamente, hanno un carattere diverso. E va benissimo così, avevo bisogno anche di questo. La newsletter rimarrà un bacino di raccolta e di scoperta, ma per me da qui in avanti Fantastico! sarà sempre più tante altre cose”.

Tu sei sempre stato un grande amante di Calvino, tanto che lo porti in giro con Lodo Guenzi nelle iniziative di WeReading. Lui in quelle situazioni porta Tondelli. Ecco, questa cosa di Fantastico! mi sembra molto una cosa “alla Tondelli”. Tondelli, infatti, portò avanti un progetto chiamato Under 25: un progetto letterario che raccoglieva testi scritti da giovani sotto i venticinque anni di età.

Trovi delle affinità con questo lavoro? C’è la voglia di dare spazio a voci giovani o a un racconto generazionale? Se no, qual è l’intento di Fantastico?

“Il progetto è nato prima di tutto per mettere insieme gente che scrive con gente che legge: rendere vivo quello che normalmente rimarrebbe nei computer di ognuno di noi, semplicemente condividendolo.

Dal punto di vista del corpo narrativo non si riescono a delineare dei confini chiari e determinati. Mi viene da pensare a Gadda. Uno degli autori più fantastici del secolo scorso, ma anche difficile e complicato da leggere. Però è così proprio perché non negava l’estrema complessità del mondo.

Io credo che Fantastico! cerchi di fotografare diverse complessità. Alle volte qualcuno lavora più di immaginazione, altre volte sono trattati più diaristici e questo non mi disturba. L’obiettivo rimane quello di dare forma ad un paesaggio multiforme, dare una descrizione dell’incredibile complessità verbale e identitaria di chi scrive e chi legge oggi”.

 

Ecco, la condivisione. Hai detto che Fantastico! nasce anche per fuggire dalle autonarrazioni dei social. Come si allontana questo progetto dalle dinamiche dei like e degli apprezzamenti?

“Semplicemente nessuno sa nulla su numeri o apprezzamenti. Nessuno sa quanti sono gli iscritti, nessuno sa quante persone leggono o apprezzano il proprio racconto. Solo io so quello che succede là dietro. E siamo tanti, molti di più di quelli che si possono immaginare.

Per me è interessante avere questo sfruttamento a senso unico. Perché poi ognuno quando legge non sente la possibilità, o anche il dovere delle volte, di commentare ciò che ha letto. Una volta letto se lo porta dentro se vuole, altrimenti può essere dimenticato”.

 

Si parla di complessità e vita reale. A proposito ho recuperato alcune frasi di un tuo intervento alla Festa Unità del PD a Modena:
“Mi sveglio alla mattina e ho l’angoscia: non c’è una struttura dove mettere i piedoni e sentirmi su delle basi solide. […] Alla mia generazione non interessa di essere figli di dottori, non ci interessa cagare i soldi. Ci manca la struttura sociale dove realizzarci, dove appoggiare la nostra esistenza. È un baratro psicanalitico. Attorno c’è il vuoto. […] Siamo una generazione che vive l’angoscia come base di vita, di partenza”. Da dove nasce questa angoscia, secondo te?

“Se devo trovare un responsabile principale a questa angoscia, lo individuo nel modello del liberismo, quello che sociologicamente ed economicamente chiamiamo capitalismo e tardocapitalismo.

La mattina non riusciamo a svegliarci sereni perché non sappiamo dove sbattere la testa. Non è solo una questione di precariato o di lavoro, ma è proprio un problema esistenziale. Come costruisco la mia vita in società? Perché vivo in una città di 6 milioni di persone (o 25 persone) e non riesco a trovare un tessuto sociale che mi somigli? Perché devo passare attraverso la realizzazione del mio lavoro? Perché non posso essere semplicemente qualcuno che dorme sotto un ciliegio e vado bene così?

Là fuori c’è un mondo che si costruisce attraverso violenza fisica e verbale, che si basa su una divisione costante fra estremamente ricchi ed estremamente poveri. C’è l’idea che ti devi accontentare: devi essere felice attraverso il lavoro, ma ti devi accontentare. Allora rega qua qualcuno si sta sbagliando a raccontarci questa cosa”.

La realizzazione attraverso il lavoro. “Vivere per lavorare o lavorare per vivere” recita una canzone de Lo Stato Sociale. Eppure oggi se non hai un lavoro difficilmente ci si sente realizzati. Si fa anche fatica a presentarsi in società.

C’è una grande pressione nel sentirsi ‘realizzati’, senza sapere che cazzo voglia dire questa cosa della realizzazione. Uno pensa subito al lavoro, al capitalizzare ogni giorno, ma io sono d’accordo con chi dice: ‘A me lavorare non piace, a me piacerebbe fare quello che mi piace ogni giorno. Quello è il lavoro più bello’. Invece non ci sono le strade per lavorare attraverso le cose che ci piacciono”.

 

Eppure sentiamo continuamente persone che ci dicono che se ci rimbocchiamo le mani ce la faremo. La meritocrazia, no?

“In questo contesto però la meritocrazia è una merda. Non esiste, è un costrutto sbagliato, andrebbe abolito dal panorama linguistico.

Perché per come è fatto il mondo la meritocrazia premia solo chi è già bravo e ha i soldi. E fa l’opera peggiore nel momento in cui ti colpevolizza: non ce l’hai fatta, allora sei stupido, sei stronzo. Devi rimanere tra gli ultimi. E io questa cosa la odio.

Odio con tutto me stesso tutto quelli che cercano di ordinare in maniera accurata l’umanità che è un grande caos e come tale va accettata. Quelli che vogliono spaccarsi la testa nel cercare di comprenderlo, prego si accomodino. Ma chi vuole cercare di semplificarlo, prego se ne vada”.

 

Può un progetto come Fantastico! avere un ruolo nella ridefinizione di tutto questo?

“Penso possa fare soprattutto una cosa: sapere di essere con gli altri, di non essere da solo. Non sei da solo a mettere uno status sulla tua pagina sperando che arrivino degli sconosciuti a scorreggiare o a metterci un like.

Se costruisci una comunità, questa poi sprigiona una forza intrinseca. Chi è contento di scrivere continua a mandare i suoi materiali, chi è contento di leggere legge. Tutto all’interno di una comunità che vive di una realtà multiforme.

Prima mi chiedevi cos’è Fantastico! e cosa rappresenta. Non lo so esattamente, ma semplicemente perché non so com’è fatto il mondo e nemmeno Fantastico! lo sa. Tuttavia non nego la possibilità di rappresentare la complessità”.

Oggi penso ci sia un grande tema rimosso: quello della felicità. Sembriamo incapaci di tenerlo in considerazione come elemento fondante delle nostre vite. Qual è il primo artista (musica, letteratura) a cui pensi quando si parla di felicità? C’è qualcuno da cui bisognerebbe partire per parlare di questo tema?

“Tenco diceva che quando era felice lui usciva, andava al parco. Ed è per questo che le sue canzoni parlano di cose tristi, perché doveva rimanere a casa a sfogare e a metter e in forma la sua infelicità. Ti dico questo perché penso sia molto complicato inquadrare qualcuno o qualcosa che possa essere un punto di inizio della felicità.

Mi viene in mente Anna Karenina dove si diceva che tutte le famiglie felici si assomigliano, mentre quelle tristi sono infelici a modo suo. Ecco penso abbia più senso partire o esplorare cosa non è felicità. Sappiamo cos’è l’infelicità e allora possiamo capire da dove ripartire per estinguere queste immagini, queste idee dal mondo.

Sappiamo che a tutti la guerra fa schifo, ma non si può dire che il calcio piace a tutti. È questo il punto da cui partire”.

 

E allora da dove partiamo per comprendere l’infelicità?

“Se devo scegliere qualcuno da cui partire, ti direi Mark Fisher. Sia in ‘Realismo Capitalista’ sia in ‘Spettri della mia vita’ ha provato a indagare cosa vuol dire l’infelicità in questo momento e come si relaziona agli oggetti del mondo, principalmente oggetti culturali.

Fisher si è messo lì a parlare di film, di tutta una serie di cose che lo appassionavano o di cose che semplicemente gli sembravano una merda.

Poi ecco, se vogliamo partire da qualcosa di più semplice per comprendere il modello da evitare è sufficiente aprire il Corriere della Sera. Quello da evitare è il Corriere della Sera”.

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