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Fast Animals and Slow Kids: “Sapevamo che con questo disco qualcuno si sarebbe incazzato”

20-06-2019

Di Beatrice Belletti
Foto di Beatrice Belletti

Se avete mai provato a pronunciare Fast Animals and Slow Kids sapete che è uno scioglilingua, se li conoscete sapete che il fandom e gli addetti ai lavori li chiamano Fask. Formata da Aimone Romizi, Alessandro Guercini, Jacopo Gigliotti e Alessio Mingoli, la band emersa dalla provincia perugina calca le scene del rock alternativo e intrinsecamente indi(e)pendente da oltre una decade, se calcoliamo anche la genesi dal liceo e l’Ep d’esordio Questo è un Cioccolatino. Oggi hanno all’attivo cinque studio album e un contratto con la Warner.

Il nuovo disco, Animali Notturni, uscito il 10 maggio, è il disco della maturità, dei 30 anni che arrivano come un schiaffo in faccia, dei suoni puliti, forse il meno compreso dell’intera discografia dei Fask. Ne abbiamo parlato, per 40 minuti, ad un tavolino del Ex Forno Mambo tra spritz e un album di figurine dei Cucciolotti, prima del loro attesissimo live al Biografilm Park.

Provenendo da una decade di chitarre sporche e distorsioni, la virata stilistica dei Fask con l’ultimo album, prodotto da Matteo Cantaluppi (TheGiornalisti, Ex-Otago) e l’ingresso in una major ha fatto sollevare qualche sopracciglio. C’è da dire che sebbene i Fask siano andati a intingere i piedi nel macrocosmo it-pop con un suono più “limpido, puro, alla Springsteen” l’hanno fatto mantenendo una precisa identità che, tra l’altro, non è esattamente una novità. Qualcuno ricorda i violini di Nicola Manzan in Alaska? E l’intro di piano agli esordi in Guerra?

Gli ho chiesto di spiegarmi questa evoluzione.

Aimone: “Questa domanda è un casino perché è difficile spiegarti come noi non percepiamo questa cosa. Nel senso, ci rendiamo conto che non è ‘Hybris’, non siamo mica matti! È tutto un percorso artistico che per noi è sempre fatto della stessa cosa di cui è fatto ogni altro nostro disco”.

Alessandro: “È stato talmente fisiologico come passaggio che a noi non risulta nemmeno così strano. Prendi anche qualche pezzo di ‘Forse non è la felicità’, era più vicino a questo disco, penso a ‘Tenera Età’”.

Aimone: Sapevamo che con questo disco qualcuno si sarebbe incazzato, ma non ce ne fregava una mazza perché era troppo più importante fare qualcosa che rappresentasse noi a 31 anni piuttosto che continuare su quello che sapevamo fare.

Non ci sentivamo in quel limbo di elettricità e paura che è un limbo in cui i musicisti si devono sempre muovere, perché secondo me il problema della staticità musicale di questo momento in Italia è che gli artisti non rischiano più un cazzo, mai. Gli artisti devono essere musicalmente coraggiosi, è l’unica cosa che porta avanti l’arte, è l’unico modo che ci permette di salire su un palco ed essere credibili”.

Cosa rispondete a chi ha frainteso questo album?

“Se a qualcuno questo disco sembra un allineamento eccessivo al panorama italiano, io sono quasi [“pronto a sfidarlo!” – interviene sotto Aimone] …invidioso – continua Alessandro – perché gli manca una base di ascolti musicali che è quella sulla quale abbiamo costruito questo disco, e che gli auguro di scoprire il prima possibile”.

“Ti faccio degli esempi pratici – continua Aimone – i clap su ‘Non Potrei Mai’, quando sento i clap per me sono i Cure, quando sento il glockenspiel per me è Bruce Springsteen.

Un artista non è proprietà di chi ascolta. Può fare una cosa sola per dare al pubblico il massimo del rispetto e cioè fare musica che lo muove e che sente davvero. Per noi la musica è salvifica, è la cosa a cui diamo più rispetto in assoluto nella nostra vita. Quello che mi piacerebbe è che chiunque possa scegliere di ascoltare o non ascoltare questo disco ma che si fidi del fatto che noi l’abbiamo fatto in assoluta libertà artistica, non c’è niente che ci vincola, tutto quello che sentono è roba nostra”.

Siamo ad 8 anni dal primo album Cavalli, con il meditativo sarcasmo sulla banalità dei testi romantici. Scrivere d’amore oggi è ancora più facile, vero ed onesto rispetto a scrivere di un testo politico?

Aimone: “Non lo so, io credo che l’onestà risieda nella persona che canta la cosa. Se fa tirare fuori l’arte che è in te, allora un testo politico è tanto vero quanto una canzone d’amore. Il punto è la purezza.

In ‘Cavalli’, i testi erano mistificati e ironici. Il punto era come se ne parlava, c’è sempre questa centralità nella parola, in musica come in qualsiasi altra forma artistica che non va mai tralasciata, le parole sono importanti.”

Lei dicono “è uno dei testi meno capiti della storia dei Fask”. Continua Aimone: “Non parla del fatto che i testi d’amore siano banali, parla dei testi d’amore banali. Il punto è che parlare d’amore non è semplice. Dal mio punto di vista è qualcosa di estremamente connesso a te, quindi per te artista, qualcosa che sia profondo”.

Dedicare una canzone, scrivere di qualcuno, di un’esperienza intima, è una responsabilità enorme, state rendendo immortale quella persona e quel momento. Quanto c’è di autoreferenziale, quindi della tua esperienza, nello scrivere?

Aimone: “Tutto!”.

E che spazio resta per l’altro?

“Non c’è”  continua Aimone molto candidamente.

Gli dico che è un campo minato di prospettive e lui risponde: “certo, sono io che sto facendo la musica, per me è troppo essenziale sfogarmi, come se avessi un fortissimo raffreddore e dovessi soffiarmi il naso e quindi non stai pensando a nient’altro che soffiarti il naso. È l’atto più puro, istintivo e diretto. Non è eticamente bello, è egocentrico, terribile, sono d’accordo con te, è un campo minato, però il punto è che ho bisogno di fare quella cosa per vivere”.

Quando un pezzo del genere però è fuori, non è più tuo, è di tutti…

Aimone: “E ognuno dà le proprie interpretazioni. Ho dei testi che la gente mette in foto felici che per me sono i testi più oscuri e depressi della mia esistenza. Quando ascolto la musica degli altri a volte mi viene da pensare: questa l’ha scritta per me, ma come ha fatto ad essere nella mia testa? In realtà è la mia proiezione sull’artista”.

Alessio: “Se ci pensi è come l’oroscopo, ognuno ci legge quello che vuole”.

La tavola scoppia a ridere e parte un botta e risposta con Aimone:
“Grazie per abbassare il livello concettuale”.
“Sì, dicono cose che valgono per ognuno in modo diverso, ognuno vuole sentirsi dire quello che già sa”.
“Quindi vuoi dire che siamo un po’ il Paolo Fox della musica?”.

Aimone continua: “La cosa bella della musica è la capacità di connettersi alle persone in base alla persona stessa, se non ci fosse questo non si creerebbe empatia, la passione e la forza che c’è dietro l’ascolto della musica. Io spero sempre che qualcuno la fraintenda, perché vuol dire che a maggior ragione ho parlato di qualcosa che ha molteplici sfaccettature e che magari neanche io riuscivo a capire.

La musica, per lo meno per noi, è un po’ terapia. Voglio parlare delle mie cose e trovare degli interlocutori con cui discutere, uno scambio emotivo”.

Dite che una volta si può sbagliare, ma cosa succede se sbagliamo due o tre volte? Avete avuto un momento in cui avete pensato: abbiamo scazzato di brutto, da qui non si torna indietro?

“Beh, lo pensi con ogni disco. Sono spaventato da come lo percepiranno le persone e penso ogni volta che abbiamo sbagliato. È più un problema di percezione degli altri. Ogni volta può essere un errore ma non lo è mai, l’importante è che tu faccia uscire le cose che in quel momento erano giuste per te.

La musica è il nostro ambiente emotivo, non è razionale, si basa sul momento su come ti sei alzato quella mattina, o cosa hai pensato la sera, quindi ogni giorno fai bene e fai male. È una fregatura in questo senso, non ti dà mai certezze anche quando il locale è pieno.

In termini di vita invece, nel caso di cui parlavi prima di sbagliare più di una volta… No, io lì non ci sto, non devi sbagliare troppe volte. Puoi sbagliare ogni volta con un nuovo errore, ma sbagliare più volte con lo stesso sei un po’ stronzo. Perseverare è diabolico!”.

Un gruppo è una relazione d’amore a più cuori. Cantavate “L’abitudine fra noi è la piaga nel mio petto” come si mantiene viva la scintilla in questa relazione?

“Musicalmente parlando sempre mantenendosi sul bordo dell’inferno.

La roba che mantiene tutto super attivo e super intenso è questa nostra capacità di fare sempre un passetto in avanti che ci tiene un po’ con il fiato sospeso per vedere: e adesso che cazzo succederà? Delle nostre vite, perché la musica è la nostra vita! E questo secondo me ci tiene in tensione emotiva e quindi anche compositiva.

Dal punto di vista di fiamma dell’amicizia invece è questo profondo senso di band che abbiamo, decidiamo e facciamo tutto insieme. Non esiste che qualcuno prevarichi su un altro”.

Domanda dei fan: perché l’omaggio a Battisti, in Radio Radio?

“Non c’è stata una connessione diretta a parte che ovviamente stimiamo Battisti, chi è che non lo stima? C’è venuto e ci siamo resi conto che ci piaceva la provocazione di mettere questo refrain che è l’emblema perfetto della canzone da radio.

È una canzone perfetta, è così delicata e al tempo stesso semplice, che prende tutti, che è un abbraccio, un conforto per chiunque ascolti musica in italiano, credo. Quindi c’è questo dualismo interessante: una nostra canzone, che tutto è fuorché una canzone radiofonica, abbia dentro un riferimento che sia l’emblema della composizione all’italiana e della radio, nell’accezione più positiva possibile.”

Ripensate alla vostra primissima intervista, come vi sentite dopo 10 dieci anni a parlare ancora di voi e della vostra musica?

“È un senso di appagamento totale. Pensare che la tua musica sia andata avanti in un percorso così lungo come 10 anni. È successo di tutto, siamo cambiati radicalmente come persone. Forse è veramente il sogno dell’artista, riuscire a superare gli anni che passano, a non essere solo un istante, una scintilla e basta”.

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