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Tutto su Capitan Fede Poggipollini. Il nuovo album, gli oggetti della sua vita e l’impegno sociale

10-04-2021

Di Silvia Santachiara, Beatrice Belletti

Federico, qual è un oggetto che ti lega a Ligabue o ai tanti tour fatti con lui?

«Ok, ve lo faccio vedere». Capitan Fede si alza e dopo pochi istanti torna davanti alla telecamera sventolando uno stivalone a punta. Ride. «Mi diverte questa cosa, una tv nazionale ne ha fatto anche una parodia sul Camperos, anche se questo in realtà è un Texano. Quando ho iniziato con Luciano, sia io che lui indossavamo questi. Li usavo anche con i Litfiba negli anni 90. Era proprio una moda, noi rockettari avevamo tutti questi stivali a punta. Non li metto più chiaramente, ma è un oggetto che mi ricorda quel momento».

Federico Poggipollini, cantautore e chitarrista di Ligabue dal 1994, ci ha portato “virtualmente” in giro per la sua casa, dentro ad armadi e scarpiere, sopra a mensole, sul suo divano.

In occasione dell’uscita, il 26 marzo, del suo nuovo album Canzoni Rubate (Django Dischi), abbiamo voluto inaugurare con lui il nostro nuovo format di video interviste su YouTube: Niente Di Personale.

Quello che ha preso in prestito e mai restituito, quello che non sopporta più di vedere in casa, quello di cui non riesce a liberarsi. I 5 oggetti di Capitan Fede.

 

 

Canzoni Rubate non è solo un album ma un vero e proprio un progetto di ricerca, oltre che un grande omaggio alla musica, composto da 17 brani: 9 cover, 1 inedito e 7 brani strumentali originali. Ci siamo fatte raccontare qualcosa di più.

Gran parte dei brani scelti risalgono soprattutto al decennio tra fine anni 70 e fine anni 80. Una selezione legata anche ai ricordi. Città in Fiamme, è un brano del 1986 della band bolognese Tribal Noise in cui suonavi il basso. Quanto è cambiata Bologna dalla New Wave anni 80? Cosa riprenderesti da quel periodo per portarlo nel 2021?

«Nel 1980 ero un ragazzino, io e la mia compagnia eravamo grandi appassionati di musica, che in quel periodo era anche un costume. La cosa bella di quel periodo è legata al come ci si sente da ragazzini. La mia necessità era quella di comunicare con un tipo di persone che la pensavano come me. Ecco, la cosa che mi piacerebbe poter rivedere oggi è il fatto di andare a cercare, a rovistare, e informarsi per ottenere cose diverse da quelle a cui si arriva normalmente. Forse questo manca perchè siamo proiettati in un un mondo velocissimo, pieno di informazioni, in cui non si ha nemmeno il tempo di seguire una propria linea.

All’epoca per trovare un disco dovevi andare al Disco d’Oro, aspettavi l’uscita perchè lo leggevi su una rivista. Non era una cosa nazionalpopolare, ma molto di nicchia. Era quasi un segreto per alcune persone, proprio come se trovassi un gioiello molto particolare e lo volessi comunicare solo alle persone che potevano capire questo».

 

 

In questo album c’è Gianni Morandi. Il videoclip di Varietà l’avete girato al Covo Club. Nel video ti troviamo in camerino a cercare ispirazione tra i look di alcuni volti molto noti: Jimi Hendrix, Elvis, Ligabue e persino Chaplin, per finire con Gianni, icona nostrana. Chi erano i tuoi idoli da bambino? Se potessi rubare una qualità a Gianni, quale sarebbe? E una tua da prestargli?

«Uno dei miei idoli da bambino, potrà sembrare strano, era proprio Chaplin. Mi sono sempre travestito da personaggi fin da ragazzino ma lui lo adoravo proprio per la sua mimica legata anche alla capacità di usare il suo corpo. So fare anche le mosse dei film. Aveva trovato un suo mondo, una sua personalità, all’interno della quale c’era anche l’idea del movimento.

Per quanto riguarda la musica John Lennon e Jimi Hendrix, poi ho citato nel video anche Keith Richards perchè volevo anche una persona viva, anche se avrei scelto George Harrison. E poi Gianni Morandi. L’idea di questo video mi è stata proposta da due registi e ho accettato immediatamente perchè mi è piaciuta subito moltissimo.

La principale qualità di Gianni è l’entusiasmo, ancora a questa età. Ho chiamato Gianni e mi ha detto: mandami il brano su Whatsapp. L’ha ascoltato e mi ha richiamato dicendomi: è bellissimo, te lo vengo a cantare. Lo stesso è successo per il video. Cosa gli presterei? la chitarra distorta, che lui non usa molto».

 

È forte il senso di appartenenza a Bologna visto che hai rimesso mano a Il chiodo degli Skiantos. Uno dei gruppi più importanti della tua vita, tanto che li sei andato a sentire dal vivo che avevi appena undici anni. Perché questo brano è ancora tremendamente attuale?

«La scelta è legata al fatto che sono un loro grande fan. Ho provato più volte a fare cover dei loro brani ma ho sempre avuto difficoltà a interpretare Freak Antoni. Ho scelto quindi questo brano perchè è una poesia che si poteva leggere anche in maniera seria e che tocca corde che fanno pensare anche nel suo essere dissacrante. Potevo quindi cantarlo in modo diverso senza andare dietro alla sua ironia, al suo modo e al suo sarcasmo. Facendolo in una chiave completamente nuova mi sono accorto che era credibile e mi sento giusto all’interno di questo brano. La poesia non ha tempo quindi è sempre attuale, e questa è una poesia modernissima che è ancora più avanti di questo tempo».

 

Il legame a Bologna diventa poi attuale con il feat. di Cimini in Monna Lisa di Ivan Graziani. Perché Cimini e come vedi la scena musicale dei giovani emergenti?

«Tutto parte da un rapporto di amicizia e Cimini è anche un grande fan di Ligabue. Quando gli ho mandato il disco, avevo pensato all’unico inedito. Lui l’ha ascoltato tutto e mi ha detto: “Monna Lisa è sempre stato il mio sogno, potrei cantare con te questa?”. E mi ha spiazzato. Io però ho trovato un meccanismo e nell’arrangiamento Cimini entra in gioco cantando l’ottava alta della seconda strofa nella versione originale. Ho scelto una persona che fosse musicalmente molto lontano da me, pur apprezzandolo.

La scena musicale dei giovani emergenti mi piace moltissimo, soprattutto quella legata al mondo romano di qualche tempo fa. C’era un grosso fermento e Calcutta mi piace moltissimo. Credo sia un po’ il portavoce, con uno stile molto chiaro, colui che ha dettato la direzione».

Federico Poggipollini | Foto di Daniela Tudisca

Un’altra traccia del nuovo album è Trappole, in cui canti un brano di Eugenio Finardi affiancato dallo stesso. Se dovessimo riassumere il brano in una frase probabilmente sarebbe: «la trappola in cui il cervello cade a causa di automatismi». Qual è la tua trappola?

«Le mie trappole sono gli strumenti e la musica dentro cui sono caduto a piedi pari da ragazzino, e che si alimentano e autoalimentano. Sono ormai da anni un feticista dello strumento, ho una cura maniacale e faccio moltissima ricerca, anche delle sonorità. Ricerco strumenti vintage e tutti originali. Una sorta di collezionista che però non attacca gli strumenti appesi al muro, ma li suona. Sono caduto in questa trappola e ogni giorno il mio pensiero è lì».

 

C’è anche l’amore in questo album, un amore non del tutto appagato. Il brano è Malamore ( scritto da Enzo Carella in collaborazione con il poeta Panella, artista romano che ha ispirato Tiromancino e Niccolò Fabi). Non è la prima volta che questa ballata funk rock viene omaggiata, Riccardo Sinigallia ne ha realizzato una cover per la colonna sonora de Lo spietato, film di Renato De Maria. La rivisitazione di cult del passato è una pratica comune nel circolo musicale, è simbolo di apprezzamento e quasi una lettera d’amore verso altri artisti. Ci racconti come si fa a dare un senso di identità proprio nella rielaborazione di una traccia scritta da altri? Il tuo amore non appagato, dentro e fuori la musica, che forma ha?

«Ho realizzato il brano prima di Sinigallia, anche se uscito successivamente. Lui è un amico, per questo lo dico. Credo che lui abbia utilizzato molto del brano originale, anche il basso, mentre io ho preso completamente un’altra strada, iniziando con il suono molto caratteristico di un harpsichord, alla Stranglers, altra band anni 80, ricercando in particolare il suono che era di Golden Brown. Non per dire se sia meglio la mia o la sua, ma per spiegare che quel brano l’ho portato il più lontano possibile dalla versione originale, seppur bellissima.

Questo album contiene due amori, l’altro è nel brano Delay, che è un brano originale. Credo che l’amore per essere sempre vivo non debba mai essere raggiunto fino alla fine, o comunque essere mai stabile fino in fondo.

Io sono molto abituato ad arrangiare e rivedere brani che arrivano da altre persone, come nel caso di Ligabue in particolare. Lui portava voce, chitarra e canzone e noi come band iniziavamo a lavorare a delle idee. Sono partito dalla stessa idea, quella di avere brani da rivestire e nel farlo sono partito dalla ritmica, quindi dalla batteria, e dalla chitarra acustica, attraverso cui rivedere il progetto dall’inizio.

Il mio amore non appagato è il fatto di cercare sempre di migliorarmi, è un desiderio e una ricerca costante. Non mi sento mai appagato nel mio lavoro perché penso sempre di poter migliorare. Una rincorsa costante».

 

Federico è stato anche il primo artista a partecipare a Il Rumore Del Silenzio Tour un progetto di rottura per mettere sul piedistallo l’assenza di lavoro nel mondo dello spettacolo. Il tour diviso in quattro tappe è iniziato dall’Unipol Arena dove Poggipollini si è esibito con sua iconica chitarra elettrica suonando la cover del brano The Sound Of Silence di Simon&Garfunkel.

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