“Non pensarci troppo, raccontami del primo posto che ti viene in mente quando pensi a Bologna!”
Così Francesca Placanica invita a partecipare al suo progetto “Cartolina da uno sconosciuto”.
Nata e cresciuta a Bologna, è laureanda in didattica e comunicazione dell’arte all’Accademia di Belle Arti di Bologna e aspirante curatrice d’arte.
“Il mio più grande rimpianto è quello di non saper disegnare. Avrei fatto da me stessa la mia arte. Purtroppo, o per fortuna, ho bisogno dell’arte degli altri”.
Durante il periodo di quarantena, forzatamente a casa sua, sentiva il desiderio di connettersi con le persone e con i luoghi.
Chi, durante il lockdown, non ha immaginato di poter passeggiare per le strade della sua città, ritrovando luoghi familiari o legati ad un momento particolare della propria vita, semmai sempre dati per scontati e proprio per questo ancora più significativi nel momento in cui non poteva più frequentarli?
Durante la nostra intervista telefonica Francesca mi racconta di come le interessi entrare nel ricordo, nell’intimità delle persone. “Vorrei che le persone si immedesimassero in questa sensazione. Allo stesso tempo vorrei che ciascuno di noi potesse conoscere meglio la città in cui viviamo, guardarla con occhi diversi, quelli di qualcun altro, per esempio”.
L’invito è quello di descriverle un luogo di Bologna al quale ci si sente particolarmente legati e il motivo di questo legame (scrivendole una mail a francesca.placanicaa@gmail.com o un messaggio su Instagram).
Grazie alle indicazioni ricevute lei troverà il luogo, andrà a fotografarlo e creerà delle cartoline, anonime, da lasciare proprio nel posto descritto.
Chi le troverà potrà immedesimarsi nel ricordo, dando vita a una condivisione di storie e luoghi, in un processo di interazione sociale e di relazione tra lo spazio pubblico e il vissuto personale e privato.
“Vorrei creare una rete di cartoline, di vissuti di altre persone, anche lontane da noi, di luoghi che conosciamo, ma da vivere attraverso il ricordo di qualcun altro.
In questo processo i punti di vista si moltiplicano: il primo è quello di chi condivide il ricordo; il secondo è il mio, che fotograferò il luogo, e chissà, forse lo inquadrerò da un’altra angolazione; il terzo punto di vista sarà quello di chi trova la cartolina, con la mia foto e il racconto della persona”.
Ti è mai capitato di trovare tracce di persone che non conoscevi?
“Mi capita di vedere pezzi di altri, fotografie cadute, ricordi… le prendo, le studio, sono curiosa di sapere perchè erano lì, quali storie raccontano.
Due anni fa camminando davanti a Palazzo Carbonesi ho trovato una polaroid con lo scatto di tre persone ad un evento di parrucchieri, da quel giorno la tengo nel portafoglio.
Di recente ho trovato delle foto tessere di un bambino, o una bambina, ora sono sul mio tavolo.
Una volta ho trovato la carta di identità di un signore nato a Vercelli nel 1912. La tengo sul comodino. La guardo spesso, per carpirne i dettagli. Ho l’identità di questa persona ma non la conosco.
L’anno scorso, passeggiando con un’amica vicino a Montmartre, a Parigi, ho trovato una cartolina. Credo un po’ alle coincidenze: proprio io, un’italiana in Erasmus a Parigi, ho trovato una cartolina dei trulli di Alberobello, che raccontava di un viaggio tra Puglia, Campania, Basilicata e Calabria, destinata a un’altra città francese. Qual è la vera storia della cartolina? Il francobollo non c’è, non è mai arrivata a destinazione? Non è mai stata spedita? Ovviamente l’ho conservata”.
Penso ad Amélie Poulain del film “Il favoloso mondo di Amélie”, che cerca di scoprire chi sia l’uomo spesso ritratto nelle foto tessere abbandonate collezionate dal ragazzo di cui si innamora.
Hai mai pensato di rintracciare le persone proprietarie delle fotografie e dei ricordi che hai trovato?
“Sicuramente le avrò incontrate almeno una volta a Bologna. Passeggiando per strada o frequentando gli stessi luoghi. Ma di conoscere veramente il proprietario non l’ho mai pensato. La cosa che mi interessa è l’idea che ho di quella persona nella mia testa.”
Il progetto “Cartolina da uno sconosciuto” è iniziato e non ha una fine prevista, è in itinere. Francesca ha già ricevuto diversi messaggi di luoghi. “Sono tutti messaggi anonimi, non chiedo dati e non li pubblico, ho solo il ricordo a cui è legata la persona che mi scrive. Elaboro e stampo le cartoline mano a mano, ma non le ho ancora lasciate”.
Ci sono luoghi ricorrenti?
“Per ora no. Sono perlopiù singoli posti, ma non i monumenti più conosciuti. Un luogo può essere anche un incrocio di strade.
Per ora però preferisco non spoilerare nulla”.
Qual è il tuo luogo di Bologna? Perchè?
“Ci ho pensato e non mi salta subito in mente. Forse, in questo momento della mia vita, direi la casa di qualcuno, posto in cui mi sento più al sicuro, in cui mi piace andare, a cui sono legata”.
Come hai vissuto il periodo di quarantena?
“Avevo un sacco di progetti nel 2020: una mostra a metà giugno, un festival a fine mese, non vedevo l’ora che arrivasse quest’anno. All’inizio ero abbattuta, però poi, essendo una situazione condivisa da tutti, mi sono detta ‘ne approfitto per organizzare tutto ancora meglio’.
La cosa per me più strana è stata non aver vissuto questi mesi e alcuni momenti in particolare. Sono i mesi in cui si comincia a uscire, le giornate si allungano… Se penso all’anno scorso posso raccontare cosa ho fatto nel mese di marzo, aprile e maggio. Quest’anno stavo facendo la stessa cosa che facevano tutte le altre persone, forzatamente. È come se non li avessi vissuti.
Insomma, non vedo l’ora che finisca per tornare presto alla normalità”.
Prima di salutarci Francesca mi dice: “Se vuoi scrivimi il tuo luogo!”.
Ora ci penso, anzi no, non devo pensarci troppo.
Vado a scriverle.
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