Musica & Libri

Il nonsense del duo sonico bolognese Ubba Bond, spiegato, o forse no.

19-06-2020

Di Anna Toscano

“Se Google Maps avesse il senso dell’umorismo, ti porterebbe sempre in destinazioni a caso. I nostri dischi sono quello: un navigatore che non si prende sul serio” hanno raccontato Ubba + Bond.

Andrea “bond” Bondi e Guglielmo “ubba” Ubaldi sono un duo sonico attivo dal 2011, aperto a più collaborazioni e contaminazioni. Il loro nuovo album, “Mangiasabbia”,  autoprodotto e uscito ad Aprile 2020, è un flusso libero che cambia stile di canzone in canzone, si lascia contaminare dal cabaret e dal racconto, alterna note movimentate e malinconiche. Si può definire un gioco di contrasti che stupisce continuamente l’ascoltatore.

Gli abbiamo fatto qualche domanda:

Esiste, anche se nascosto tra la varietà di argomenti trattati, un filo conduttore tra tutti i brani di “Mangiasabbia”?

“Tutti dicono di sì (noi compresi), quindi probabilmente no”.

 

Il nuovissimo video di “Filo Interrotto” appare volutamente non-sense, un collage molto vario e movimentato. Diteci di più di questa scelta di regia…

“Volevamo un video con delle mammelle in bella evidenza, ma per celare la nostra ossessione al riguardo le abbiamo mischiate con un asteroide, dei giornalisti, gente che fa ginnastica, baffi, spazzaneve, deserti, inviate cinesi, mascherine, ciabatte, fondoschiena caleidoscopici e una tizia vestita da coniglietta che affetta un pollo con obliqua morbosità. Ma ogni cosa scompare quando la maggiorata bionda salta la corda”.

 

Che rapporto c’è, secondo voi, tra comicità, cabaret, stand up comedy ed esibizioni musicali?

“Sono tutti contesti che si sublimano nella disattesa delle aspettative, nella negazione di una destinazione apparente. Se Google Maps avesse il senso dell’umorismo ti porterebbe sempre in destinazioni a caso. I nostri dischi sono quello: un navigatore che non si prende sul serio”.

 

Raccontateci un aneddoto imbarazzante della vostra carriera musicale o qualcosa che ancora ricordate ridendo.

“Una volta abbiamo noleggiato una Ferrari e, appena usciti dal parcheggio, ci siamo schiantati contro il primo albero. Guidava il Bond. Ne siamo usciti illesi, tutti tranne la Ferrari”.

 

Ascoltando i dodici brani di “Mangiasabbia”, sembra chiaro vi piaccia unire nella musica aspetti diversi della vostra personalità e sensazioni discordanti. Ma cosa stimola maggiormente la vostra creatività, di solito?

“La diversità e l’occasione di crescita che porta con sé, i chiaroscuri, le facce che contengono altri significati, i rovesci, temporaleschi e non”.

“Su milioni di auto” è un brano tratto da un racconto di Max Guidetti. Come vi è venuta questa idea di “musicare” un racconto?

“Abbiamo trovato questo tizio steso per strada ubriaco, un ukulele nella mano sinistra e un pacchetto di sigarette nell’altra. L’abbiamo aiutato ad alzarsi, lui ha vomitato e nel farlo gli è caduto dal taschino un foglio con sopra il testo di “Su milioni di auto”. Abbiamo mollato il tipo lì su una panchina, poi abbiamo telefonato a Max e gli abbiamo chiesto di leggere quel testo per noi. Il giorno dopo Max (che fa il becchino) ci ha richiamato dal cimitero e ci ha letto il testo al telefono. Sullo sfondo della sua telefonata si sentiva questa band stile New Orleans che stava accompagnando il funerale di quello che poi abbiamo scoperto essere il tipo della panchina…quindi capirete la botta di fortuna…non abbiamo nemmeno dovuto pagare i diritti di copyright! La telefonata di Max con la banda di fiati sullo sfondo è ciò che poi è finito su disco. Un pezzo fatto e finito al costo di uno scatto alla risposta”.

 

“Alla paura del mondo che non è mai intero, ma è rotto…”. Cosa volete dire sul mondo con questa frase di “Sale”?

“Che dovremmo imparare ad accettare che il mondo è rotto e non potrebbe essere altrimenti anche se spesso non ce ne accorgiamo: quando appoggiamo una mano su un tavolo di marmo non ci accorgiamo che la stiamo appoggiando su una aggregazione di particelle. E così come la materia e lo spazio sono quantizzati, lo è anche il tempo. Viviamo dunque in un mondo “rotto” che percepiamo però come continuo in una dissonanza fatta di continue ripartenze”.

 

Nel sesto brano “Sushi” interviene la voce femminile di Patrizia Urbani, creando un “dialogo” uomo-donna nella parte iniziale e finale. Nella parte centrale, invece, lo stile sembra completamente diverso e più movimentato. Spiegateci un po’ il processo creativo che ha portato a creare un brano così particolare e variegato

“Una discoteca subacquea in cui servono Sushi ci sembrava un posto incredibile da dipingere, perciò siamo andati a visitarne una con un’amica. La più bella”.

 

“E tu nel tuo guscio/ nel tuo affanno confuso/ conserva un po’ di abbandono/ per quando calerà il sipario”. Con questi versi di “Aprile” fate riferimento alle sensazioni alla fine di un live, di un’esibizione?

“No, per tutti esiste un solo ultimo sipario. Tranne che per gli zombie. E per le vongole”.

 

In passato avete collaborato con Francesco De Leo de L’officina della Camomilla. Con quale artista vi piacerebbe collaborare in futuro?

“Ci definiamo un duo sonico, a volte collettivo: questo per chiarire agli altri, ma anche per ripetere a noi stessi, che la contaminazione delle idee è linfa vitale del nostro progetto. Siamo costantemente distratti e attratti dalle idee degli altri e da come possono risuonare con le nostre”.

 

Dal lockdown alla ripartenza, cosa vi aspetta per questa estate 2020?

“Le persone vanno in lockdown, le idee no. Tant’è che noi portavamo le nostre fuori tutti i giorni a fare la pipì”.

 

Se foste un piatto tipico della cucina bolognese…quale sareste?

“Bucatini all’amatriciana”.

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