Totoro alla fermata di via Irnerio aspetta il bus insieme a Satsuki con la cresta punk e le calze a rete, l’agente Cooper entra nella città di Bologna e si concede una sosta al Kinotto per una tazza di caffè e Doraemon beve birra al bancone del Freakout. Il mio primo pensiero quando ho visto la pagina Instagram chatgpt.disegna_bologna è stato: “Semplicemente geniale”. I bar e i locali che frequento disegnati dall’intelligenza artificiale e raccontati in un mix di disagio da post serata in cui inevitabilmente ti ritrovi anche tu.
Qui c’è una Bologna poco patinata e molto autentica, fatta di studenti che si ritrovano da Linda, la “Regina delle Tenebre” e spettri vestiti di nero che si aggirano sul ponte di Stalingrado di rientro dall’ennesimo djset techno al Tank o da un concerto hardcore punk.
A “istruire” chat GPT con prompt dettagliati c’è Diego De Angelis, classe 1987, programmatore informatico con una laurea in storia, a cui abbiamo chiesto di raccontarci qualcosa di più sul progetto.
Quando e come nasce @chatgpt.disegna_bologna?
“Avevo fatto un abbonamento al servizio di chat GPT per utilizzarlo per lo più a fini lavorativi, ovvero farmi aiutare nella scrittura del codice informatico e raccogliere informazioni per la stesura di articoli, dal momento che nel mio secondo lavoro sono un redattore culturale. Appena iscritto ho notato che c’era la possibilità di utilizzare DALL-E, ovvero il modello generativo di immagini. Così ho cominciato a giocarci producendo caricature dei miei amici che caricavo poi su un gruppo Whatsapp. Un giorno, per farmi due risate, sul gruppo ho inviato una delle mie prime immagini a tema Bologna e una mia amica mi suggerì di aprirci una pagina dedicata. Mi sembrava un’idea un po’ stupida, ma ha funzionato, nonostante la utilizzi poco”.
Come hai unito la tua laurea in storia e la tua professione di programmatore informatico all’interno del tuo progetto?
“Ti rispondo sinceramente: non le ho unite. Non utilizzo nessuno degli strumenti appresi nel percorso da studente di storia, così come uso ben poco delle mie conoscenze da programmatore. Questo perché per creare le immagini basta saper promptare (sì, lo so, scusate per il termine), ovvero scrivere bene quello che vuoi creare. Il resto, alcuni trucchetti come alcune variabili che aiutano a fare fine tuning dell’immagine che cerchi di ottenere, non richiede saper programmare, ma semplicemente conoscere come funzionino questi software, cosa che necessita di poche ore di studio per raggiungere il minimo indispensabile, ovvero quello che serve per fare quello che realizzo io sulla pagina”.
Cosa ti lega alla città di Bologna?
“La residenza, perché vivo qui da tantissimo tempo. Era circa il 2006, quindi da quasi vent’anni. Posso dire di essere cresciuto qui. Dopo tanto tempo, però, il matrimonio è un po’ in crisi per vari motivi, ai quali aggiungo l’inevitabile nostalgia del passato. È terribile tornare in posti come Via Zamboni e ricordarsi degli anni migliori scappati via da un giorno all’altro; a questa città devo tante cose, mi ha fatto appassionare alla letteratura e alla saggistica, la ringrazio per le serate passate in Cineteca quando ci abitavo vicino, qui ho visto centinaia di concerti di gruppi alternativi, ma in cambio Bologna si è presa parte del mio fegato a causa di tutti i bar che ho frequentato. Tutto sommato è stato uno scambio equivalente, anche se oggi posso dire di viverla un po’ come un eremita, visto che abito fuori dal centro”.
Come nascono i tuoi personaggi e quanto c’è di vita vissuta in quello che racconti?
“Dipende dalle immagini. Alcune battute sono riferimenti a cose che ho vissuto in prima o in terza persona, come il post sulle frasi sentite durante i tinder date. O che ne so, le immagini su Linda, o la Controlla (RIP), sono semplicemente omaggi ai personaggi veramente importanti dell’underground, soggetti che generazioni di studenti universitari hanno imparato a conoscere. È una pagina che non solo parla a chi ha frequentato la città di sera e nelle notti, ma anche un esperimento che vuole rispondere alla domanda: riesce l’intelligenza artificiale nel creare immaginari condivisi da chi ha vissuto il sotto pelle di questa città?”.
Direi che l’esperimento è ben riuscito. Che suggerimento dai a chi intende dialogare “creativamente” con l’intelligenza artificiale?
“Come ho detto prima, bisogna imparare a fare un buon prompt. Quindi prima di tutto scegliere un modello adatto ai propri scopi. Per fare un esempio, si sceglie un DALL-E o un Midjourney. Dopodiché bisogna studiare poco per ottenere il minimo, ma tanto se invece vuoi fare cose più complesse ed oggettivamente belle. Io sono fermato al minimo: in quel caso basta guardare qualche video YouTube o leggere documentazione non per forza ufficiale”.
La tua creazione delle immagini segue uno schema tecnico “predefinito”? Se sì, ti va di raccontarci gli step e come funziona?
“Ero partito con l’intenzione di fare delle serie specifiche, come delle immagini in cui le due torri vengono attaccate da oggetti strani e anomali, dei profili di personaggi più o meno noti dell’underground o delle categorie tipiche della città, come gli spacciatori in monopattino di Via Irnerio. Poi però mi sono reso conto che non avevo voglia di trasformare questa pagina in un lavoro e che l’avrei utilizzata solamente quando ispirato. Mi sarebbe piaciuto fare il fumettista, ma non so disegnare, sono totalmente incapace. Così a volte succede che se ho voglia di raccontare una storia breve provo a farla con DALL-E… seppur non sia una cosa molto fattibile perché è complicato riuscire a rendere consistenti le immagini”.
Cosa intendi?
“È complesso cercare di far somigliare un personaggio simile se non uguale in più immagini. Quindi in quei casi io sono lo scrittore delle battute e DALL-E è il mio disegnatore. Può succedere che immagino qualche quadro di una ipotetica tavola da fumetto, mi scrivo le battute su un file, dopodiché creo le immagini al meglio delle possibilità che mi dà l’IA. E non è facile, perché la stragrande maggioranza delle cose che visualizzo in testa non riesco a ricrearle (per incapacità mia o impossibilità del modello di generazione). Una volta che ho creato qualche immagine, se ho delle battute, apro Canva e le edito un pò con il balloon e la frase. Altre volte mi capita di vedere qualcosa di assurdo mentre sto passeggiando il venerdì sera e dire “Ok, provo a disegnarlo”. Nel tempo cambia sempre cosa ho voglia di fare, i primi post erano per lo più bar rifatti in modo più o meno parodistico. Filtrati con i miei occhi, che vedono solo disagio, ovunque io li posi”.
Qual è oggi secondo te l’identità di Bologna e quanto alcune delle “sottoculture”, che trovano spesso riferimento nelle tue immagini, sono rimaste legate all’immaginario della città?
“Ho l’impressione, forse da vecchio stronzo (ho 37 anni), che la fine dell’era d’oro di questa città fosse inevitabile, in coerenza a quello che succede nel resto delle grandi città d’Italia. Certi movimenti underground, memorabilmente legati a luoghi ed eventi, come XM24, gli anti-mtv day, ma prima ancora, Isola del Kantiere, appartengono ad un’era mitica che si è chiusa per due motivi. Il primo è il conflitto, perso contro chi governa e rappresenta la burocrazia e l’amministrazione cittadina, basta pensare a posti come Atlantide. Il secondo motivo è perché le persone cambiano, gli interessi, le cose che si fanno. A tanti ventenni che oggi vivono Bologna ho impressione interessi vivere la città in modo molto diverso da come lo si faceva un decennio fa. Forse proprio perché certi posti non esistono più.
Quella che più rappresento non è una sottocultura, ma forse un certo modo di vivere la città, durante quello che mi sembra un periodo culturalmente poco fortunato. Nei miei post ci sono bar pieni di persone che bevono, piccioni giganti, cani, tossici, persone confuse, matti, punkabbestia e persone poco raccomandabili”.
Qual è la storia o la situazione icononica bolognese che hai raccontato e a cui sei più legato?
“Ce ne sono varie! Questa ad esempio è il riassunto di anni passati in Via Emilio Zago, tra Freakout ed ex Mikasa (ora Tank), Buco, o al sardo cinese, mentre questa è dedicata a certe atmosfere che mi dava l’XM24 in Fioravanti. Nello specifico, l’atmosfera dell’alba, a godersi la stasi del corpo, dopo una nottata passata con l’acceleratore”.
Nella bio scrivi che è tutto artificiale “gente, fatti, miti, sogni e cani”. È davvero così?
“Sì confermo, se si vuole essere scientificamente corretti. Tutto quello che vedi è generato-mediato da un generatore di immagini che combina concetti e immagini pre-esistenti. Ma essendo materiale creato da una IA, potremmo tutto sommato mettere – per puro piacere speculativo – in dubbio la cosa parafrasando l’eterno Philip Dick, storpiando un po’ un suo famoso titolo, “Le intelligenze artificiali sognano pecore elettriche?””.
Qual è stata la risposta dei bolognesi a questo progetto?
“Secondo me buona, perché come dicevo ho usato questa pagina con molta poco coerenza, la lascio ormai inattiva per settimane ma poi quando posto qualcosa di carino vedo molti feedback positivi. Se con bolognesi, però, intendi nati a Bologna, beh, devo confessare che ne ho visti pochissimi in generale. In quel caso dovrei forse disegnare robe a tema San Lazzaro, Casalecchio o colli”.
Incuriosite dalle immagini realizzate da Diego, abbiamo deciso di chiedergli che cosa gli facesse venire in mente la “Bologna Creativa e se avesse voglia di realizzare qualcosa per noi proprio su questo tema. Il risultato è stato “fantastico” anzi “mostruoso”: mi sembra il termine più indicato per descrivere un set di immagini dove creature del folklore giapponese si aggirano per le strade di Bologna.
La domanda mi sorge spontanea e così chiedo a Diego da dove deriva questo amore per la cultura giapponese. “Questa passione ce l’ho da sempre, fin da ragazzino. Il mio secondo lavoro è il redattore culturale, faccio ricerca su fenomeni pop, spesso giapponesi. Quello che mi affascina più di tutto è vedere come in questo mondo non esista una netta distinzione tra cultura alta e bassa, per una questione anche storica. In Giappone, ad esempio, i manga sono gli eredi delle stampe del periodo Edo, dei rotoli emaki e dell’espressività del teatro kabuki. Motivo per il quale, ad esempio, molti videogiochi giapponesi da sempre raccontano temi maturi e filosofici. Qualche mese fa con un mio amico, Demetrio (musicista, compositore e scrittore) abbiamo organizzato un evento nel contesto di wereading in cui leggevamo storie giapponesi di grandi autori e nel mentre mostravo delle creazioni. Ci siamo divertiti molto e speriamo di farne altre”.
Niente, ora lo sguardo sulla mia città non può più essere lo stesso. Dopo l’intervista con Diego parlo della pagina @Chatgpt.disegna_bologna ai miei amici: alcuni non la conoscevano, ma bastano poche immagini per vedere i loro occhi ridere di gusto. Sapevo che avrebbero apprezzato, in fondo lì dentro ci siamo un po’ tutti.
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