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La Bologna Pulp raccontata in un film. Nelle sale arriva Bologna Brigante

27-11-2024

Di Silvia Santachiara

È una Bologna pulp, quasi tarantiniana, quella che Giuseppe Martone Junior, regista napoletano che diciannove anni fa è arrivato a Bologna per studiare al Dams, porta sul grande schermo.

Una storia di brigantaggio del 1900 che parte dalla Calabria e arriva ai nostri giorni sotto ai Portici di Bologna. Al centro un palazzo storico di via Fondazza, un tempo casa di Giorgio Morandi. Un unico stabile che diventa un mondo a sè, dentro al quale si incrociano le vite di studenti fuorisede, famiglie della “Bologna bene”, coppie e singoli. Un universo sotterraneo che è anche un simbolo di una città in cui convivono tante anime diverse insieme, sotto lo stesso tetto. Qui arriva anche Pietro Marino, un outsider calabrese che vuole vendicare il nonno, famoso brigante morto con una vendetta in sospeso.

Qui si ritroverà travolto dalla vita bolognese e dalle vite di chi ha preso in mano una valigia alla ricerca della propria strada, tra la ricerca di una stanza, gli studi, un lavoro per arrotondare, i party, le difficoltà che saldano i rapporti. Tutt’attorno una Bologna bellissima e poetica allo stesso tempo: le strade, le osterie, le piazze, i campetti da basket, i negozi di vicinato, i bar notturni e le storie che gli ruotano intorno, le case fatiscenti degli studenti, le ville sui colli. Il lusso e la decadenza, i desideri e la vita reale, l’umanità e il cinismo delle agenzie immobiliari.

La macchina da presa ci porta dentro un micro mondo fatto di storie improbabili, personaggi con cui è facile identificarsi, situazioni tragicomiche raccontate in modo brillante e con ironia. Quello di Martone è un gesto d’amore verso una città che non si dimentica e che è l’indiscussa protagonista di Bologna Brigante. Ogni inquadratura è un quadro, un mosaico di storie personali che diventano il ritratto collettivo di una generazione, e che ci tiene incollati allo schermo per centodiciotto minuti.

Originariamente pensata come una serie (ve ne avevamo parlato qui), Bologna Brigante ha trovato la sua forma in un film. Noi l’abbiamo visto in anteprima al Medica Palace.

Qui il trailer

Martone quella vita l’ha vissuta davvero, da studente fuorisede. Voleva raccontare la città dove ha scelto di restare e che, come poche altre, è capace di far sentire a casa. Il film è stato realizzato da Tiro Production, casa di produzione cinematografica formata da Giuseppe Martone Junior, Niccolò Cinti, e Michele Maccaferri (Malecherifarei), cantautore che ha realizzato le musiche del film. Il 2 dicembre sarà proiettato alle 21 al Cinema Medica Palace (qui il link per prenotare il biglietto), mentre dal 12 al 31 dicembre sarà in programmazione al Cinema Arlecchino.

Giuseppe Martone Junior – foto di Cesare Onofri

Il cast è composto da giovani attori scelti in tre mesi di casting e arrivati da tutta Italia, alcuni al loro primo film. La loro interpretazione è vera, genuina. A loro si aggiunge Elisabetta Cavallotti, attrice professionista (ricordiamo tra gli altri I laureati, Guardami, Don Matteo, Un posto al sole, Si vive una volta sola per la regia di Carlo Verdone), che interpreta magistralmente Bianca, una borghese decaduta. E non mancano anche camei di personalità note: Inoki, Federico Poggipollini, Franco Trentalance

Martone, perchè Bologna Brigante?

Innanzitutto perchè suona bene, Bologna Brigante…ti riempie la bocca. E poi perchè la storia principale si basa su un evento realmente accaduto in Calabria più di 100 anni fa: un brigante muore lasciando una vendetta in sospeso. Io scrivo di un suo ipotetico nipote che vive ai giorni nostri e che decide di voler portare a compimento la vendetta del suo antenato.

Da napoletano arrivato a Bologna, qual è stata la tua esperienza da fuorisede e quanto c’è di te in questo film?

È stato fantastico. Ricordo che una sera stava nevicando e via Zamboni, dalle torri a porta San Donato, era piena di gente, tutta diversa. Si suonava la chitarra, si cantava, si rideva, si parlava, si beveva, si fumava sotto la neve e dopo si andava a far l’amore. Mi sono innamorato subito di questa città da studente e continuo ad amarla ora da lavoratore. Nel film c’è un pò di me e un pò delle persone che ho incontrato negli anni: coinquilini, colleghi, le ragazze che ho amato e “la gente della notte”.

Chi sono i fuorisede oggi e come è cambiata la vita a Bologna rispetto a una decina di anni fa?

Bologna inevitabilmente è cambiata come tutte le altre città, soprattutto perché è cambiata la società. I fuorisede di oggi fanno più o meno le cose che facevo io anni fa, ma con molta più moderazione. L’impatto che hanno avuto la tecnologia e i social è stato devastante. Io faccio parte di una generazione per fortuna un pò a cavallo tra le due, anche se mi piace sentirmi più in quella che si incontrava per strada, nei bar e che approccia alla persona che le piace dal vivo invece di scriverle su Instagram.

Com’è la vita notturna e in generale la vita in questa città vissuta da un fuorisede rispetto ad un bolognese di nascita?

L’esperienza che fa un fuorisede a Bologna (ma penso sia una cosa comune in ogni città) non è minimamente paragonabile a chi a Bologna ci nasce. I bolognesi, salvo qualche eccezione, preferiscono stare tra di loro, e sono lontani dalle dinamiche e dai posti “fuori sede”.  Io ho avuto la fortuna di conoscere e fare amicizia con diversi bolognesi, ma sono un’eccezione, forse sono stato fortunato ma addirittura oggi ho due soci bolognesi a cui voglio un gran bene, che sono stati prima di tutto amici, poi soci e ora fratelli.

Nel tuo film racconti in modo realistico alcuni aspetti della vita a Bologna. C’è il grande fermento creativo che contraddistingue questa città, c’è la libertà, c’è l’accoglienza, il rispetto per le differenze. Cosa secondo te, ha reso Bologna, una città non giudicante, aperta e capace di far sentire a casa?

Sicuramente il calore del brodo dei tortellini, dei portici e dei locali sotterranei.

E in che modo nel film hai cercato di far arrivare questo messaggio?

In realtà non ho cercato di farlo, però c’è una scena in cui i quattro coinquilini incontrano  il clochard “Veronica” interpretato da Paolo Maria Veronica e dopo aver fatto delle chiacchiere lo invitano a bere con loro…un pò come una volta facevamo io ed i miei amici con il mitico “Gennarino” di base vicino all’Ecu in via del Borgo San Pietro o con la fantastica “Controlla”, pace all’anima loro. Se hai bontà nell’animo qui a bologna sarai sempre circondato di persone che ti vogliono bene.

 

Ci sono strade, piazze, bar osterie, ma al centro della narrazione c’è un micro mondo, un palazzo in pieno centro storico dove abitano studenti, famiglie, coppie e singoli, che rappresenta la varietà e la promiscuità che caratterizza questi edifici a Bologna, ma anche simbolo di una città in cui convivono tante anime diverse insieme. Caratteristica abbastanza unica in Italia. Chi ci hai messo dentro a questo micro mondo e quale il messaggio che volevi far arrivare?

Credo che Bologna sia un grande mercato a cielo aperto, sotto i portici riecheggiano gli accenti di tutta Italia e lingue di tutto il mondo: una delle mie scelte registiche più importanti e caratterizzanti è stata quella di chiedere al cast artistico di spogliarsi della dizione e recitare con il loro accento di provenienza. Solo cosi, nel film, gli studenti, gli agenti immobiliari, il macellaio, la famiglia di borghesi e i baristi che compongono il micro mondo di Bologna Brigante avrebbero avuto senso.

Bologna è la città dei diritti, la capitale italiana LGBTQ+. In Bologna Brigante dai particolare attenzione anche al tema dell’inclusione. In che modo l’hai rappresentata?

Assolutamente si. ma in realtà non mi sono mai posto l’obiettivo di far percepire l’inclusione lgbtq+ Ho scritto pensando a Bologna ed è venuto da solo tutto a galla. L’ho rappresentata in una frase che dice lo “zio” (interpretato da Dario De Luca”) che però non spoilero.

La fotografia ci restituisce un’immagine cruda e realistica. Perchè questa scelta?

Ho immaginato di restituire un immagine cruda, zozza e colorata per dare la possibilità allo spettatore di immedesimarsi il più possibile nella scena. Complici in questo la fotografia (di Salvo Lucchese) e la scenografia (di Teo Bernardi).

Le musiche danno un forte impatto, qual è stato il tuo approccio?

Mi sono suonato le scene in testa e uno dei miei soci, Michele Maccaferri, in arte malecherifarei, le ha composte. Sono sue le musiche originali, e forti di una grande intesa musicale, dopo esserci dati alcune linee guide e riferimenti per capire il ritmo, il colore e il mood da dare ad alcune scene, è andato tutto a meraviglia.

La soundtrack è numerosissima: oltre a due bellissime canzoni dello stesso malecherifarei ci sono tre pezzi di Inoki, un blues live di Federico Poggipollini, altre canzoni di talenti come Santi, Black Mamba, le feste antonacci, Thomas Cheval, t.vernice,  Black Ball Boogie e una cover interpretata da Rea con le tastiere di Riccardo Roncagli. Immancabile poi la scena elettronica bolognese con light minded, dj rou, computer numerical control, flavio deff, ucci, rafal s, cixxx j, la squad e lucretio.

La scena a cui tieni di più? 

É la scena interpretata da me, quella del georgiano. Originariamente questa parte era stata affidata a Randall Paul, attore in Eyes Wide Shut, che purtroppo poche settimane prima ha dovuto rinunciare.

Quanto il montaggio finale è fedele alla tua sceneggiatura?

Il montaggio, firmato da me e dal mio socio Niccolò Cinti, è fedele in tante scene, mentre in alcune dal carattere più “sognante”, sebbene avessero un idea di base, è venuto mano a mano. La collaborazione con niccolò è stata fondamentale, anche perche montare un film di 1h54m non è semplice, richiede tanta organizzazione ed ordine, cosa in cui eccelle Niccolò, oltre ad avere una grande sensibilità. Ha richiesto tanto lavoro, circa 4 mesi…e negli ultimi momenti addirittura restavo in studio fino alle cinque di mattina a guardare e riguardare le scene: è stato un momento stupendo, ho fatto l’amore con il film. Per la color invece ci siamo affidati ad uno dei migliori studi di Bologna: Korelab di Walter Cavatoi che insieme a Luca Moricone hanno fatto un gran lavoro. Per i vfx invece abbiamo scelto lo studio Bloomik di Ameleto Cascio.

Quale è stato il momento più difficile in questi anni di riprese? 

Forse quando è cominciata la guerra Ucraina – Russia. Abbiamo perso un grosso investitore, ci è dispiaciuto molto.

Tre mesi di casting con attori e attrici arrivati a Bologna da tutta Italia e vecchie guardie del cinema e teatro. Raccontaci come è andata e come hai scelto gli attori…

I casting sono stata una fase fondamentale. Abbiamo visto circa 400 persone, selezionate tra circa 7000 richieste. Preziosi in questo sono stati Paolo Danzi’ di “sapore di male” e Sara Belluomini di “In nome del pop italiano” con i quali abbiamo creato situazioni tanto simpatiche quanto tossiche per far improvvisare gli aspiranti del cast.

Ci sono anche volti noti, come sono arrivati?

In vari modi: Inoki ci ha scritto un messaggio dopo aver visto il primo teaser, postato 2 anni fa: “cos’e’ sta cosa? mi viene da piangere”…è venuto da piangere anche a noi. Franco Trentalance ci ha notati su Instagram, con la complicita della make up artist del teaser Claudia Simbula di Make Art, sua storica collaboratrice. Federico Poggipollini l’ho conosciuto in un bar e Paolo Maria Veronica invece l’ho conosciuto dalla finestra, è il mio vicino di casa.

Un aneddoto dal set…

Un giorno Inoki mi ha chiamato e mi fa: “JJ, mica hai un paio di violini che voglio chiedere la mano della mia compagna sul set”?. E si…c’è stata la proposta sul set e da qualche mese pure il matrimonio.

Bologna è stata rappresentata in molti modi, sia in letteratura che nella musica. Tu, alla fine, cosa hai voluto lasciare al mondo come immaginario di questa città? Quale, alla fine, il messaggio?

Nessun  messaggio. Ci sono tante tematiche nel film che vengono evidenziate attraverso i personaggi e le situazioni. Se avessi voluto lasciare un messaggio l’avrei scritto su un muro, in perfetto stile bolognese.

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