Chi ha conosciuto storie di violenza domestica sa bene quanto può essere difficile recuperare i fili di un dialogo che si interrompe e inciampa ripetutamente, come in un eterno rewind, sul medesimo e traumatico evento, a seguito del quale nulla più resta come prima.
Tanto più difficile per un regista approcciarsi ad un tema spinoso come la violenza maschile all’interno delle relazioni affettive con delicatezza e spirito critico.
Elisabetta Lodoli, veterana del cinema bolognese, coadiuvata da Federica Iacobelli e Roberta Barboni, ci ha provato, sapendo mordere il freno, raccogliendo la testimonianza di tre uomini (interpretati nel documentario da tre attori al fine di garantirne l’anonimato), in tutto diversi salvo per il fatto che hanno seguito un percorso di terapia presso il centro LDV – liberi dalla violenza- del modenese. Una presa di coscienza e spinta al cambiamento che viene raccontata attraverso le parole degli uomini ma raccolte da tre donne che li hanno intervistati ed è narrata visivamente attraverso i paesaggi e gli ambienti delle loro storie e il loro spazio casalingo. Il film mette al centro il confronto tra tre vite segnate da una violenza che esplode e poi viene riconosciuta, tenendo lontani sensazionalismi e stereotipi.
Incontriamo Elisabetta reduce dalla presentazione alla festa del cinema di Roma di “Ma l’amore c’entra?”
Mi saluta con la mano invitandomi ad accomodarmi su una sedia degli studi della Maxman coop, la casa di produzione del film, mentre termina un colloquio telefonico che, scopro poi, determinare la prossima tappa, dopo quella bolognese che avrà luogo il 7 febbraio all’auditorium MAST (dalle ore 19.00 alle 22.00): Washington DC.
Elisabetta, la proiezione bolognese è già sold out…
“Si, devo dire sono molto contenta e anche giustamente ansiosa; Penso che ci siano varie ragioni: il tema che è trattato da questo documentario sicuramente attira molte persone, un pubblico anche di addetti ai lavori tra cui molti amici essendo io bolognese e facendo cinema da molto tempo; Poi abbiamo dei buoni relatori: Massimo Recalcati, psicoanalista, Paolo di Paolo, giornalista, Gian Luca Farinelli, direttore della cineteca e infine Giorgio Penuti, psicologo del centro dell’USL LDV, grazie al quale ho potuto realizzare questo documentario”.
Come nasce l’idea di un film che da voce agli uomini che si sono macchiati di atti violenti sulle donne e perchè il titolo interrogativo ?
“Da uno scambio di idee con Annamaria Tagliavini, che è stata per tanto tempo la direttrice della biblioteca nazionale delle donne all’associazione Orlando, partner produttivo del film, che mi ha spinta a occuparmi della violenza contro le donne; in realtà all’inizio non ho fatto salti gioia, vista la complessità del tema. Ci ho pensato un po’, anche rispetto alle mie esperienze precedenti: avevo fatto un documentario sulla Bosnia vent’anni dopo la fine del conflitto in cui ho incontrato prevalentemente vittime e quando l’ho presentato alla cineteca di Bologna, dal pubblico una giovane donna originaria dell’ex Jugoslavoia mi chiese per quale motivo non mi fossi interrogata su chi la violenza l’aveva fatta. Quella domanda mi è rimasta conficcata e sino ad oggi non aveva trovato una risposta. É un modo per spostare il punto di vista, se noi donne abbiamo riflettuto molto su questi temi, gli uomini sono stati grandi assenti nel dibattito”
Chi sono gli uomini che commettono violenza?
“Gli uomini che io mi sono trovata di fronte sono del tutto normali, sono coloro con i quali condividiamo la nostra vita; da qui la domanda l’amore c’entra?, in presenza di uomini socialmente perfettamente funzionanti da dove nasce la violenza; è una distorsione del concetto d’amore. Non è una malattia, ma un risultato della cultura in cui viviamo per molti aspetti ancora patriarcale. Ci tengo a dire che quello che volevamo fare era una riflessione sull’educazione sentimentale degli uomini, provare a capire come funzionano queste relazioni affettive, e oltre gli aspetti individuali, anche quelli culturali“.
Le recenti cronache sono dominate dal caso Weinstein, per non parlare dei continui femminicidi; credi che la violenza sia una caratteristica inscindibile dal maschio ?
“No,Penso che sia un prodotto culturale, ci sono delle forme di aggressività, ma dire che è inscindibile, che è un fatto che deriva dalla natura è un paravento. Nel centro, attraverso una terapia specifica gli uomini imparano a capire che cosa sia la violenza. In natura gli animali sono aggressivi quando devono guadagnarsi il cibo o difendersi, c’è sempre la possibilità di scegliere un’altra strada; il gesto di violenza è sempre un gesto volontario, alla fine del percorso gli uomini arrivano a capire che c’è stato un momento preciso in cui avrebbero potuto prendere un decisione diversa dalla violenza”
Se ci sono state, quali le difficoltà più grandi per te, in quanto donna, nell’affrontare questo tema ?
“Il fatto che ho incontrato degli uomini che avevano già fatto un lavoro su loro stessi ha aiutato molto, anche se è stato difficile all’inizio; c’era un rapporto rispettoso da entrambe le parti dovuto al fatto che avevano voglia di fare da testimoni per gli altri uomini; ciò ha ridotto le difficoltà e ha instaurato poco alla volta un rapporto di fiducia”
Volevo sapere qualcosa di più delle scene da un punto di vista stilistico …
“Oggi il documentario sta diventando una forma ibrida di cinema in cui confluiscono linguaggi espressivi diversi, un tipo di cinema definito da alcuni critici ‘documentario creativo’; nel mio film di reale ci sono le parole degli uomini, tutto il resto è ricostruzione, eppure penso di non aver mentito; Devo dire che questo è stato il risultato di un processo in cui, dovendo mantenere l’anonimato dei protagonisti, ho filmato il paesaggio in chiave narrativa, il lavoro sugli interni che potessero rappresentare quelli che sono stati vissuti da loro, l’utilizzo di materiale di repertorio, sino alla scenografia teatrale in cui, in penombra, si vedono i tre protagonisti, sospesi in uno spazio surreale, simile ad una cucina, luogo più intimo della casa e al contempo spazio che nasconde situazioni di grande dolore”.
Il femminismo ha fatto un grande lavoro culturale di autocoscienza e coscienza sociale; ritieni che la nascita di movimenti simili come il mascolinismo possa fare bene agli uomini e alle donne?
“In Italia esiste Maschile Plurale, che ha mutuato dal femminismo la pratica dell’autocoscienza. Gli uomini stanno cominciando a riflettere sul loro essere maschi e su quanto la cultura patriarcale li ha condizionati. Il fatto per esempio che li si induca a non esternare i propri sentimenti, finisce per convertirsi in rabbia incontrollata. Sicuramente, quando parlo di un cambiamento culturale penso ad una messa in discussione degli stereotipi di genere”.
Cosa ti auspichi per il futuro di questa pellicola ?
“Mi auguro che possa essere usato dalle istituzioni, dalle scuole, girare e servire a qualcuno”
Condividi questo articolo