Ah, Bologna! La dotta, la grassa, la rossa. Quanta storia in ogni sua pietra. E in ogni sua torre, anche! (Quelle che rimangono, almeno).
Sapevate per esempio che in epoca medievale Bologna aveva così tante torri da essere soprannominata “la Turrita”? Ah, lo sapevate già. L’avete sentito in un podcast di Barbero. Ma sapete anche che è la sede della più antica università del mondo, l’Alma Mater Studiorum? Certo che lo sapete, l’avete già visto in una puntata di Superquark. Di sicuro quando passate dal portico di Corte Isolani provate l’irrefrenabile impulso di controllare se ci siano o meno le famose tre frecce conficcate nelle travi. Sì, Bologna la conoscete bene.
Però, se lo chiedessi, alcuni farebbero fatica a indicare dove si trova il “luogo dato agli spettacoli diurni”. Non avete mai sentito nominare “la fabbrica dei sogni”. E non immaginate nemmeno che a Palazzo della Mercanzia viene conservata una reliquia dal valore inestimabile: la tagliatella aurea. Buona grazia che dell’Agnese delle cocomere ha cantato Lucio Dalla.
Per fortuna, a ricordarci delle meraviglie che abbiamo ogni giorno sotto il naso (e di cui spesso ci dimentichiamo) c’è Devis Bellucci, insegnante, giornalista, scrittore modenese, nonché trekker appassionato, che con il suo ultimo libro 111 luoghi di Bologna che devi proprio scoprire (Emons Edizioni) ci conduce per mano per le strade affollate di una Bologna goliardica e contraddittoria, dotta e solidale, con una guida che non è solo un mero compendio di luoghi pittoreschi, ma un vero atto d’amore nei confronti della città.
Partiamo dalla cose serie. Tu sei di Vignola, nel modenese. Da dove nasce l’idea di un libro proprio su Bologna?
«Come ho scritto nell’introduzione della guida, per me Bologna è la città che ho sempre amato e desiderato di più. Il mio è un amore di vecchia data: fin da quando ero ragazzino per me Bologna era “la città”. Per me rappresentava tutto: la musica, l’arte, la libertà, i giovani, lo studio, gli amici. E c’era un qualcosa che può capire solo chi, come me, ha la mania del treno: la grande stazione, da dove si poteva raggiungere tutta l’Europa. Mi faceva molto sognare questa idea che lo stesso binario potesse partire da Bologna e raggiungere Vladivostok, dall’altra parte della Russia. Oltre a tutto questo, c’era la questione dei centri sociali e dell’impegno politico. A Bologna c’erano molti sognatori che, come me, volevano cambiare il mondo».
E chi meglio di un “turista” per cogliere i dettagli che magari passano inosservati…
«Secondo me c’è proprio questo valore aggiunto: non è dato nulla per scontato. Essere accolto come ospite e raccontare qualcosa che “ti appartiene, ma non ti appartiene” è sicuramente diverso rispetto a qualcuno che ci vive e che forse ha perso lo stupore per determinante cose. Avrei fatto più fatica a scrivere una guida di Modena. Conosco molto meno Modena di quanto non conosca Bologna!».
Come hai avuto l’idea per una guida?
«Inizialmente avevo proposto all’editore un racconto della via Emilia, da Piacenza a Rimini. Poi è venuta fuori Bologna, e da cosa è nata cosa».
La consiglieresti anche a chi vive a Bologna ogni giorno?
«L’uditorio ideale e proprio quello dei bolognesi! Io ho cercato di raccontare qualcosa che anche un bolognese non conosceva. Ho deciso di tagliare tutte le cose scontate della città, San Petronio, la Torre degli Asinelli, ecc. e ho deciso di raccontare invece di tutte quelle cose poco note o dietro alle quali c’è una bella storia.
Mi sono concentrato sulla Bologna del moderno: i luoghi della contestazione giovanile, l’arte di strada, le osterie, i bar. Non è il classico libro proiettato tutto sul medioevo che racconta di 700 chiese, 200 torri e 100 portici. Ci sono invece il Monumento alle Vittime della Uno Bianca e il Museo per la memoria di Ustica. A livello di street art, i murales di via Stalingrado sono secondi solo all’East Side Gallery di Berlino! Tutto questo porta davvero Bologna al livello di una città europea, perché si ritrovano le stesse atmosfere metropolitane».
Di questi luoghi non convenzionali, ce n’è uno che definiresti imperdibile?
«Il luogo imperdibile di Bologna è sicuramente il Museo per la memoria di Ustica. Mi ha lasciato davvero commosso. Ci si aspetta di trovarsi di fronte al solito allestimento museale, invece è qualcosa di davvero impattante».
E uno che non ti saresti aspettato?
«Sopra al parco di Villa Ghigi, dopo una bellissima passeggiata sui colli, si arriva a questa chiesetta straordinaria in un luogo di pace assoluta, l’Eremo di Ronzano. È un romitorio dove da mille anni le persone si ritirano e la città si mostra lì davanti, ai tuoi piedi. Ho dei ricordi unici di questo luogo perché ci sono stato nel periodo post lockdown, con la città deserta e priva del suo “naturale” inquinamento. Su questo panorama la città era limpida e cristallina, e in lontananza si vedevano le prealpi.
Un luogo che mi ha sempre turbato, invece, è Villa Aldini, sul Colle dell’Osservanza. È una villa in stile neoclassico, algida e deserta, sembra un luogo dell’orrore!».
Se dovessi descrivere Bologna con un aggettivo, quale potrebbe essere?
«Non so perché, ma mi viene sempre in mente “donna”. Per me Bologna è una città femminile. Infatti ho voluto la copertina del libro rosa. Anche perché il rosato è anche il colore dominante della città e dei suoi muri».
La pandemia ha messo tutti in stand by. Pensi che alla fine ci sarà un ritorno alla scoperta dei luoghi che davamo per scontati?
«Sì e no. Come una guerra, la pandemia non ha portato fuori il meglio delle persone. In generale, io vedo odio e un senso di delazione che non credevo avrei mai visto. Si ha il pretesto per accusare il vicino di casa. Mi chiedo: passerà questa cattiveria?».
Hai anche un blog, ditantomondo.com, dove racconti dei tuoi viaggi e dei luoghi che hai visitato. Da dove nasce la tua grande passione per il viaggio?
«È una passione che ho avuto fin da ragazzino. Il viaggio è un amore profondo, preferibilmente on the road. Ultimamente mi sono appassionato molto anche ai cammini. È il modo di viaggiare più umano».
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