Visual

Le mani di Autoritratto: “raccontano chi siamo prima di iniziare a parlare”

12-02-2020

Di Luca Vanelli
Foto di Autoritratto

“Una mano da artista, tortuosa e impotente. Una mano da orso, pelosa e ignorante. Una mano commossa di chi ha tanti guai. Una mano da piovra che non ti lascia mai. Un carosello inutile, grottesco e giocondo, in questa palla gigante che poi è il mondo”. Così cantava Gaber nella canzone Le mani del 1974.

Chiunque viva a Bologna ha visto almeno una volta sparse per la città le mani in bianco e nero di Autoritratto, progetto artistico che decora i muri rossi del centro dal 2018.

Volendo mantenere e rispettare l’anonimato, non potrò dirvi nulla della vita di chi sta dietro a questo progetto, proprio perché non ho voluto saperne niente.

Quello che ho scoperto però è una persona che sa bene cosa significhi entrare in contatto con qualcuno e che lotta ogni giorno affinché tutti possano accogliere e sentirsi accolti. Questo nell’unico modo possibile a noi conosciuto: aprendosi al contatto fisico, alla comunicazione e all’amore.

Non posso far altro, quindi, di lasciarvi alle sue parole.

 

Partiamo dalle origini: com’è nato il progetto?

“Sentivo la forte necessità di dire qualcosa e l’ho fatto così. ‘Autoritratto’ nasce nel luglio del 2018, ma ufficialmente si concretizza nell’autunno dello stesso anno. Ho iniziato a Bologna, dove ho anche fotografato e stampato per la prima volta, per poi spostarmi in varie città italiane e all’estero.

Avviare un account Instagram è stato necessario per creare un archivio e cercare di capire se in qualche modo il mio messaggio stesse arrivando alle persone. Non ho firme particolari né segni con cui contraddistinguo me o i miei lavori sui muri; inizialmente le stampe erano accompagnate da un piccolo occhio, poi neanche più quello”.

Perché “Autoritratto”?

“La scelta del titolo è strettamente legata alla tematica delle mani. Gli uomini primitivi rappresentavano se stessi attraverso la rappresentazione fisica delle loro impronte palmari sulle pareti delle caverne: da qui ‘Autoritratto'”.

 

Perché hai scelto proprio le mani? Nella canzone Le mani Gaber raccontava gli uomini attraverso la descrizione e la relazione tra le mani. Quanto raccontano di noi?

“Tutto. Esteticamente raccontano i nostri anni, le nostre abitudini, le nostre propensioni. I nostri desideri, i nostri studi, tutto ciò che siamo stati e che saremo. Le ho scelte perché raccontano ciò che vogliamo comunicare prima di iniziare a parlare verbalmente: sono considerabili come il nostro primo biglietto da visita e dunque una forma di ritratto personale con cui ci presentiamo all’altro.

Non è importante la provenienza della persona, la sua età, il suo mestiere, i suoi hobby o le sue abitudini, quanto piuttosto il fatto che a prescindere da tutti questi dati, le mani di quella persona riusciranno sempre ad esprimere al meglio le sue intenzioni.

Naturalmente, come dice anche Gaber, è anche e soprattutto l’apparenza a determinare le possibili caratteristiche di quel dato essere umano: una mano può essere ‘vestita’ di tanti dettagli che celano la realtà effettiva di quella persona, caratterizzandola di una personalità che forse non le appartiene”.

 

E quelle che vediamo sono proprio le tue mani?

“Alcune sono proprio le mie mani, sì, e mi emoziono sempre un po’ quando le vedo affisse così grandi sui muri di città in cui magari non tornerò. O magari sì, ma non è detto che a quel punto ritroverei il poster nella sua integrità: è anche questo il bello, e forse mi emoziona ancora di più.

I miei poster sono di carta. La carta racchiude in sé una natura forse ancora più effimera della vernice ed è anche per questo che l’ho scelta come supporto del mio lavoro: ha una scadenza vera e propria e se non dovessero essere le intemperie a rovinarla, ci penserà qualcuno che, di passaggio, ne strapperà un pezzetto.

Ho archivi ricchissimi di mani tutte diverse che mi affascinano tanto poiché ognuna di loro racconta una storia muta e potentissima e racchiude in sé come un piccolo, irripetibile segreto. Ci sono mani fotografate a Bologna e provenienti da tutt’Italia, mani francesi, inglesi, e delle età e caratteristiche più disparate”.

“Autoritratto is a project for (re)joining our hands” (Autoritratto è un progetto per ri(unire) le nostre mani) si legge nel tuo profilo Instagram. Unire e riunire. Quanto è importante intrecciare le nostre mani con quelle degli altri? C’è un messaggio “politico” o sociale?

“Non ho alcun intento politico, semmai sociale in senso lato: ho sempre pensato che insieme sia meglio e più semplice; che creando una vera e propria tribù tutto potrebbe avere una dimensione più umana. Avvicinarsi, riunirsi e capirsi sono tutti sinonimi e sintomi di una volontà di approfondire un senso di appartenenza condiviso che troppo spesso ci neghiamo”.

 

“Pensati libera”, “Pensati insieme”, “Io vivo sempre”: queste sono solo alcune delle frasi che accompagnano i tuoi lavori. Qual è il segreto per pensarsi liberi?

“La collaborazione che vede le mani e le frasi che hai citato è stata molto interessante, perché ha spinto moltissime persone a chiedersi cosa fosse effettivamente la libertà in un mondo così caotico.

È naturale che il concetto di libertà non possa essere assoluto e che l’essere liberi non sia uguale per tutti, quindi posso solo limitarmi a dire quello che per me si avvicina alla libertà: una comunicazione continua, totale e senza filtri, dal cuore all’altro e il rispetto reciproco nel capirsi e nell’esserci.

Comunicazione che alle volte fatico anch’io a mettere in pratica, ma a cui credo fermamente”.

Ti definiresti un simbolo femminista?

“Direi di no. Ci sono tante opere e progetti incentrati su determinati valori che da quel punto di vista sono sicuramente più significativi del mio, che non ha quasi nulla a che vedere con questa tipologia d’approccio. Penso a Miss Me che non ha bisogno di presentazioni, ad esempio, insieme a tanti altri progetti che dimostrano una volontà di sottolineare quelle necessità che sono determinanti e sulle quali si fonda tutto il loro messaggio.

Sento molto mia questa tipologia di street art e guardo con ammirazione chi ne fa le veci in giro per il mondo. Autoritratto è un progetto naturalmente umano, che non vuole altro se non poter raccontare quella dimensione che, in fin dei conti, ci accomuna tutti. O almeno dovrebbe”.

 

“Sii dolce con me, è breve il tempo che resta. Poi saremo scie luminosissime e quanta nostalgia avremo dell’umano. Come ora ne abbiamo dell’infinità. Ma non avremo le mani, non potremo fare carezze con le mani”. Queste parole accompagnano una delle tue opere. Come mai questa scelta?

“Ho un legame profondissimo con il mondo della poesia e quelli citati sono versi di Mariangela Gualtieri, che tempo fa ho pensato di riportare sul muro di una fabbrica abbandonata vicino Bologna accanto a una mia mano.

Il senso è intenso e duro, poiché esorta l’essere umano a essere dolce e gentile prima del buio eterno. Credo siano parole imprescindibili e ne ho sempre fatto tesoro, anche prima di leggerla, banalmente”.

Pensi che il mondo digitale ci stia allontanando dal contatto umano e fisico e da una comunicazione sincera?

“Nel mio piccolo credo che l’essere umano si stia abituando troppo a questa facilità comunicativa, ignorando il fatto che magari questa non è esattamente comunicazione. Comunicare è altro, e non lo dico vestendomi di una presunzione che non penso mi appartenga: credo che nel momento in cui riesci a lasciarti andare solo via Whatsapp e non sai più accarezzare, abbracciare, baciare, respirare una persona, qualcosa sta iniziando a precipitare.

Ma è tutto assolutamente rimediabile: le chiavi sono la volontà e la fiducia, come sempre. Abbiamo potenzialità d’amore infinite, ma spesso siamo distratti“.

 

Sempre rimanendo sul contatto fisico, riprendo alcuni frammenti del Manifesto delle intimità provvisorie del poeta Franco Arminio: “L’amore è la religione che ha per altare i nostri corpi, è il nostro contributo alla festa di essere al mondo. [..] L’amore è una dimensione intimamente locale, si svolge sempre in un luogo ed è sempre inedito ogni suo gesto. Bisogna lasciar correre tutta la vita dove vuole, seguire solo il volo imprevedibile dell’amore”. Che ne pensi?

“Devo dire che sono assolutamente d’accordo con Franco Arminio da ogni punto di vista, sia per quanto riguarda la poesia che per quanto riguarda i limiti che imponiamo ai nostri corpi, come se ormai non sapessimo più come abbracciare o come avvicinarci all’altro. Forse per paura del fallimento, o forse perché non abbiamo idea di come approcciare e ci lasciamo passare la vita davanti insieme a tutto l’amore che potremmo dare. E sottolineo dare, perché non bisogna aspettare l’amore degli altri per pesare l’eventuale amore con cui rispondere”.

 

In generale Arminio pensa che in Italia la vita erotica sia vissuta pochissimo e che spesso sprechiamo i nostri corpi senza farli toccare mai.

“Dall’amore nasce qualsiasi cosa, anche l’odio più profondo. Tanto vale dunque viversi senza risparmiarsi, senza limitare i propri gesti, le proprie parole e i propri pensieri. L’altro sarà sempre pronto ad accoglierci, nel bene o nel male, e noi ci faremo accogliere e lo accoglieremo.

Per quanto riguarda la vita erotica, credo sia tutto collegato, nel senso che da cosa nasce cosa, quindi mi risulta inevitabile pensare che in una società con inibizioni del genere rispetto all’amore, la realtà erotica sia vissuta quasi con paura, di nascosto. O affannosamente consumata dietro certi moralismi inutili”.

Viviamo in un paese in cui fino a pochi decenni fa parlare di sesso e amore in pubblico, o anche solo in famiglia, poteva destare scalpore e scandalo. E anche oggi, nonostante la situazione sia migliorata, non colgo una totale libertà nel parlare dei nostri corpi e delle nostre esperienze sessuali. Esiste e si percepisce ancora un imbarazzo latente.

“Come dice anche Arminio, penso che dovremmo riprendere a toccare certi estremi, farli nostri e consumarli: sarà una banalità, ma la vita è una soltanto e non vale la pena lasciarsela sfuggire dalle mani perché trattenuti da tradizioni legate a secoli fa o contingenze che non esistono più ma che continuano ad imporre la loro pesantissima presenza.

Siamo noi a volerle riconoscere ancora, siamo noi a porci determinati problemi; noi ad agire secondo la paura del giudizio altrui, e sempre noi ad agire diversamente”.

 

E anche Arminio pensa che sia necessario dare una nuova definizione all’amore.

“L’amore può essere qualsiasi cosa, vissuto in qualsiasi modo, così come la sessualità, l’amicizia e le conoscenze. Perché non godere dell’amore che può donare un amore fugace? Un amore di mezz’ora o di una vita, cosa cambia? Sarà sempre amore. Non meno intenso se vissuto appieno, non meno importante se pesato in un certo modo. Non meno indelebile se intendiamo non dimenticarlo”.

 

Sento una tua fortissima vicinanza con l’autore. Hai dei versi preferiti?

“Ci sono alcune frasi che sento particolarmente mie e che credo rispecchino molto bene la società in cui viviamo da tutti i punti di vista: ‘Se non amiamo non solo restiamo reclusi, ma contribuiamo ad alzare i muri della nostra galera. In amore non bisogna mai aspettare le mosse degli altri. Dobbiamo fare tutto noi e dobbiamo farlo subito’. Dobbiamo vivere immediatamente. Pensiamoci”.

 

Parlando delle tue emozioni, quanto ti sta dando questo progetto?

“Da quando ho iniziato non c’è stato un attimo in cui io abbia pensato di smettere, poiché nonostante la mia insicurezza, la mia gratitudine è sempre stata più forte. Ringrazio ogni giorno per le risposte che arrivano alla mia ricerca, sia positive che negative: emozionare è impagabile“.

Condividi questo articolo