Il fascino e il mistero della notte declinato in un intero album. Si potrebbe riassumere così Tenebra è la notte e altri racconti di buio e crepuscoli, il nuovo album firmato dal prof-rapper Murubutu (al secolo Alessio Mariani, classe 1975). È uscito lo scorso 1 febbraio per Irma Records ed è presentato in un tour inaugurale partito da Reggio Emilia il 21 febbraio. Ieri sera ha fatto tappa al Tpo di Bologna.
Pioniere di quello che viene definito “letteraturap”, altrimenti detto “rap di ispirazione letteraria”, Alessio Mariani, professore di storia e filosofia in un liceo di Reggio Emilia, si ritaglia ormai da anni la sua parte nella scena rap e hip-hop del Bel Paese, pur distaccandosene nettamente a livello stilistico. Ritorna sui palchi ancora una volta con un disco potente e sublime.
Dopo il vento e il mare nei lavori precedenti, stavolta tocca alla notte fare da fil rouge in questo nuovo concept album: 15 tracce di una delicatezza estrema, grazie alle quali il prof utilizza uno scenario notturno per raccontare e filtrare i sentimenti e la sua poetica attraverso la sua cultura e la sua esperienza.
Un lavoro discografico degno di nota, in cui gli stilemi del rap si fondono a temi aulici ma al tempo stesso umani, ispirati dalla letteratura e dalla filosofia, dalla storia e dalla poesia. Nelle tracce si rincorrono infatti fitti riferimenti a personaggi e intellettuali di ogni epoca, da Kafka a Schelling, da Hemingway a Wordsworth, senza tralasciare naturalmente i duetti che arricchiscono alcuni beat dell’album, come quello con Willie Peyote, Mezzosangue fino a Caparezza.
Lo abbiamo incontrato nel backstage del Tpo in occasione della sua tappa bolognese.
Domanda d’esordio: cos’è la notte per Murubutu?
“È una dimensione di riflessione interiore, ma è anche un minimo comune denominatore attraverso cui vagliare e mediare tantissime interpretazioni del mondo attraverso varie prospettive”.
Dopo il vento e il mare, protagonisti degli album precedenti, la notte fa da leitmotiv in questo album. Come e quando è nata l’idea per questo disco?
“Due anni fa, tornato dall’estate, dopo aver pubblicato ‘L’uomo che viaggiava nel vento’ avevo voglia di cominciare un nuovo album che avesse un comune denominatore di tipo temporale. Però poi, dedicare completamente un album al tempo mi lasciava sprovvisto dei paesaggi da descrivere, quindi ho pensato di trovare una formula di mediazione che fosse spazio-temporale e la notte era l’ideale”.
Giustamente, un album così non poteva non avere una cover così iconica.
“In realtà non sono un grande appassionato della simbologia, per cui ho lasciato lavorare molto il fumettista Capitan Artiglio in autonomia. Sicuramente la donna rappresenta la notte e la macchina da scrivere rappresenta la scrittura, ecco. Però, ti sorprenderò, i riferimenti e le cose che ci sono sul tavolo non hanno dei significati da decriptare, semplicemente nell’immagine a cui mi sono ispirato inizialmente Capitan Artiglio aveva messo un posacenere con una sigaretta, ma io non fumo e gli ho fatto mettere una rosa”.
Anche questo nuovo album che hai sfornato è decisamente aulico, con elementi e temi che lo allontanano dalla scena rap commerciale italiana. Una scelta voluta o frutto di una naturale inclinazione artistica?
“Entrambe le cose. Nel senso che, da un certo punto di vista, io non mi ritrovo negli stereotipi del rap attuale e quindi vado, diciamo, in modo spontaneo in un’altra direzione. D’altra parte c’è anche la volontà di ostentare una differenza rispetto al modello dominante proprio per costruire e per rappresentare un contraltare”.
Tra i riferimenti artistici e intellettuali presenti, c’è qualcuno tra di loro, non solo figure intellettuali passate ma anche cantautori, che ti ispira maggiormente nella tua composizione dei testi e nella tua poetica?
“In generale? Tra i cantautori sicuramente De André e anche Guccini, ma più il primo da un punto di vista compositivo. Se parliamo degli intellettuali voglio mettere dei riferimenti filosofici che non siano sempre quelli che si incontrano nella musica, quindi magari degli idealisti ‘minori’ ma per me di grande stimolo, quindi preferisco Fichte, Hegel, Schopenhauer, per esempio, che è molto più citato nella musica, oppure Kierkegaard che è pressoché sconosciuto.
Penso che nella musica i riferimenti letterari, filosofici, artistici poi vadano sempre a citare quei quattro o cinque macro personaggi. Questo mi sembra un po’ riduttivo, ma avendo la fortuna di avere contatto con un certo tipo di cultura quotidianamente sono molto stimolato e quindi provo a stimolare anche gli altri, in questo senso” .
Direi che ci stai riuscendo alla grande, dato l’ottimo riscontro di pubblico dell’album. C’è una canzone a cui sei particolarmente legato? Qual è stata la prima a vedere la luce?
“La prima è stata ‘Franz e Milena’, che, anche se non sembra, ha dietro un lavoro di documentazione notevole. Quella che mi piace di più e che amo di più cantare è invece ‘La stella e il marinaio’“.
Passiamo ai duetti, da quello con Dutch Nazari e Claver Gold finendo a Willie Peyote e Caparezza, tra quelli più attesi. Com’è stato collaborare con alcuni tra i più abili storyteller della scena rap italiana?
“Per Caparezza ci tenevo da tempo perché lo stimo molto come artista e come persona, ed è stata una bellissima esperienza. Anche se non ci siamo visti e abbiamo lavorato a distanza, ci siamo incontrati ed è stato estremamente disponibile e professionale. Quindi davvero un piacere lavorare con persone di questo tipo. Con buona parte degli altri ero in amicizia. A parte Mezzosangue che non conoscevo, gli altri li conoscevo e abbiamo avuto modo di incontrarci e vederci in un rapporto più di tipo amicale, ecco”.
C’è un altro artista con cui ti piacerebbe collaborare in futuro, anche di scene musicali differenti?
“Sicuramente Lou X. In generale, nella musica, mi piacerebbe tantissimo collaborare con Vinicio Capossela”.
Citi e hai una collaborazione con artisti con uno stile molto simile al tuo, che hanno all’attivo lavori a metà fra musica e narrazione, come Caparezza e Capossela appunto. Ma come nasce una canzone di Murubutu?
“C’è prima un’idea e varie idee, piccole ossature di trama, poi trovo la base che mi sembra più consona dal punto di vista emotivo, soprattutto per accompagnare quel tipo di trama. Poi comincio a documentarmi per costruire un contesto paesaggistico e umano che sia abitabile dall’ascoltatore. Il resto sono tutte rifiniture, che è la parte che forse preferisco perché il grosso è fatto e quindi alla fine è solo puro divertimento”.
Confidi, da rapper e da prof, in una funzione sociale della musica e del rap nello specifico? Nel senso, pensi che il rap possa fare da veicolo di cultura e di messaggi positivi che arrivino anche a quei giovanissimi che ascoltano in maggioranza quasi esclusivamente trap?
“Mah, insomma, diciamo che è quello che io provo a fare da anni, poi nel mio piccolo penso di riuscirci. Però stiamo parlando veramente di un ambito ristretto che sta aumentando sì, ma la mia è una musica che è destinata a non diventare di massa, anche perché dovrei diluirla tantissimo per renderla massificabile e non sarebbe più quindi quella che faccio. I giovani, è vero, ascoltano tantissima trap, però io ricevo tantissimi messaggi da giovani che ne sono anche saturi. Penso che un genere come la trap, di moda ma molto superficiale, a un certo punto arrivi a saturare, nel senso che è normale che il cervello umano cerchi qualche stimolo in più con il passare del tempo!”.
Tra questi giovani immagino ci siano anche tantissimi tuoi studenti. Dato che sei un professore che insegna al liceo, immagino che questa figura significhi avere un ruolo attivo nella formazione culturale e umana di quelli che sono i costruttori del domani. In che modo questo scambio insegnante-studente influenza, se lo fa, le tue canzoni e il tuo modo di comporre?
“Chiaro, mi influenza nel senso che il contatto con i giovani mi ritiene vicino alla loro sensibilità e a quelle che sono le loro curiosità e le loro aspirazioni, ma anche al modo in cui interpretano la realtà che è sempre più deformato dai social. Nello stesso tempo anche il rapper viene influenzato dall’insegnante dal punto di vista della ricerca culturale”.
Parlando di giovani non si può non parlare di società. Pensi che gli artisti possano avere ancora una funzione nella politica e nella realtà di oggi? Come pensi possa influenzare la musica?
“Io penso di sì. Perché soprattutto nella nostra società che ha individuato in alcune figure, dello spettacolo soprattutto, dei punti di riferimento, io penso che alcuni messaggi, alcune prese di posizione lanciati da personaggi molto esposti possano fare la differenza nello sviluppo della mentalità dei giovanissimi. Quindi è auspicabile che persone seguite nella musica, ma anche nel cinema e in altri ambiti, si espongano e prendano posizione rispetto a determinati fenomeni e a determinate politiche del Governo”.
Un’ultimissima domanda prima di lasciarci. Qual è il consiglio che daresti ad un artista e più nello specifico a un giovane che vuole fare del rap? È giusto anche mediare tra gusto del pubblico e ciò che si vuole fare e proporre ?
“Di essere molto personale e originale, perché il problema del rap è sicuramente quello di essere un genere fortemente derivativo e dove si sentono tantissime cose uguali. E poi soprattutto di non seguire la ricerca dell’arricchimento immediato, di vedere nel rap solo una fonte di guadagno perché questo è ciò che lo uccide, ecco, anche se i modelli che abbiamo sono questi. Consiglierei sicuramente di viverla insomma come una forma d’arte e non come un espediente per il successo”.
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