Laura Gramuglia è speaker, dj, autrice, storyteller e formatrice. È anche una vera bolognese, una specie ormai rara da incontrare. Ma da Bologna, ogni tanto, le piace scappare per poi tornarci. Soffre il caldo, ma è abbastanza testarda da vestirsi di nero: la sua anima rock fatica ad abbandonarla, anche sotto il sole.
Ci siamo incontrate per chiacchierare del suo nuovo libro Contro il matrimonio. Guida sentimentale per ragazze di ieri, oggi e domani, pubblicato dalla casa editrice EDT. Ci sediamo una di fronte all’altra: classe ’77 lei, figlia del nuovo millennio io, cresciuta a pane e Riot Grrrl da un lato, venuta fuori ascoltando Taylor Swift dall’altro. Ho davanti a me il taccuino con le domande. Laura mi avverte: “Parlo tanto.” Così abbiamo iniziato.
L’ultimo libro di Laura affronta un tema spigoloso: il matrimonio. Spigoloso perché non è mai facile mettere in discussione un’istituzione tanto radicata. C’è il rischio che sembri anacronistico, o che “allontani gli uomini”. Ed è proprio il contrario che questo libro vuole fare. Laura lo definisce un “libro collettivo”, come sottolinea anche il sottotitolo. È quindi, innanzitutto, un libro che parte da “costellazioni”, come le definisce lei stessa: donne che hanno trovato “modi laterali”, alternativi, di costruire relazioni e attraversare la vita. Tra queste, Laura ricorda Michela Murgia, “la prima a metterci la faccia”, una vera catalizzatrice di cambiamento culturale. Le riflessioni del transfemminismo italiano contemporaneo – e anche il lavoro di Laura – sono debitori della famiglia queer descritta da Murgia, della sua capacità di trovare le parole per raccontarla, e i modi per viverla.
“Ricordare è importante”, incalza Laura, mentre mi sciorina una serie di nomi che non riesco nemmeno ad annotare tutti. La sua missione è chiara: lottare contro la rimozione collettiva di alcune donne, del loro lavoro, della loro arte. Il libro nasce proprio da queste storie, da un’osservazione profonda di modelli di coppia e di donne. È un lavoro che mette in discussione il portato simbolico dell’amore, della coppia monogama, eterosessuale e sposata. Ma ben presto emerge anche la struttura punk del libro: una narrazione che incalza il lettore con aneddoti e nomi, per poi depistarlo, riportandolo nel personale di Laura – e, forse, di tutte. La scrittura di questo volume è stata lunga e complessa, mi racconta.
Le prime bozze risalgono al 2017, e da allora l’elaborazione è stata contaminata da altre donne, sorelle, interviste e riflessioni che hanno impedito al testo di mantenere una struttura lineare. Questo, però, ha conferito al libro una qualità che Laura rivendica con orgoglio anche per sé: la tensione.
Parlando di Bologna, mi dice che è un luogo dove ha potuto costruire legami significativi, ma anche un posto da cui ama allontanarsi per poi tornare, per condividere ciò che ha imparato. “Bisogna rimanere in tensione”, dice. E il suo libro ci riesce benissimo. Quella tensione è proprio ciò che il femminismo ha inaugurato e che Laura abbraccia profondamente, anche a livello metodologico. Il personale che diventa politico è il cuore della questione. Il racconto di sé è la pratica femminista scelta da Laura, ma quel sé inevitabilmente si disperde, si riconosce nella storia di altre donne, nelle modalità in cui sono state silenziate o addomesticate. Le loro storie e personalità sono spesso state semplificate.
Le chiedo cosa pensi delle pop star degli ultimi anni, che hanno reso popolari – oltre al synth anni Ottanta – anche rivendicazioni femministe. Penso a Taylor Swift e alla sua battaglia per la riconquista dei diritti delle sue canzoni; a Sabrina Carpenter, che con ironia smonta l’idea della donna nata per compiacere l’uomo; a Lorde, che rifiuta il binarismo di genere. Potrei andare avanti all’infinito. Laura mi risponde che è fondamentale ridare significato alle esperienze femminili e che abbiamo bisogno di sentirci meno sole. Ma mi ricorda anche che la lotta di una – o comunque di poche – non può essere una lotta giusta, né tantomeno femminista. Per questo ritiene essenziale avere e saper leggere i dati: nella classifica FIMI le donne rappresentano solo l’11%; al Festival di Sanremo, le artiste in gara sono il 30%. In entrambi i casi, una minoranza. Negli anni Novanta Kathleene Hanna, leader del gruppo punk Bikini Kill, gridava “Tutte le ragazze avanti”.
Laura mi confessa che a lungo ha pensato che l’unico modo per andare avanti fosse non voltarsi mai indietro. L’industria culturale, quella che lei racconta, attraversa e vive ogni giorno, può essere spietata, soprattutto con una donna. Ma il rifiuto del sistema nasce proprio dal desiderio di partire da quel piccolo spazio di parola che, con fatica, ci si è conquistate per dare voce a tutte. Per questo, come dicevamo all’inizio, l’unico augurio di Laura è che dalla sua nicchia – in cui ha scritto questo libro – le ritornino potenti echi di altre donne, altre autrici, altre esperienze.
Alla fine le chiedo cosa possa insegnare il punk alle giovani donne? “Provarci”, mi dice. E poi aggiunge, ridendo “Come si dice: alla fine, se non sei al tavolo, sei nel menù.” Sorrido anch’io. E penso che la vera rivoluzione sia proprio questa: stare sedute a un tavolo insieme, con una sorella accanto.
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