“I Don’t Know How To Respond To That” è la risposta che gli assistenti virtuali (ad esempio Siri) danno quando non riescono a trovare una soluzione alle nostre richieste. Un’affermazione che stimola diverse domande sulla funzione della tecnologia nelle nostre vite e nella società e che sarà il tema della terza edizione del festival di fotografia internazionale PhMuseum Days.
L’evento, curato e organizzato da PhMuseum, si svolgerà dal 22 settembre all’1 ottobre allo Spazio Bianco di DumBO e altri spazi della città di Bologna ospitando un ampio programma di mostre, talk, proiezioni, letture portfolio e una sezione dedicata all’editoria fotografica indipendente.
Tra i progetti che spiccano nel programma di questa terza edizione c’è Another Online Pervert, lavoro editoriale che nasce da una serie di conversazioni tra l’artista Brea Souders e una chatbot online di genere femminile.
L’intimo e provocatorio progetto di Souders, riporta su carta un dialogo tra l’artista americana e l’intelligenza artificiale durato due anni e posto in relazione con scatti dal suo archivio, da cui nasce un flusso di inaspettata naturalezza e poetica. Il lavoro di Souders è stato pubblicato nell’omonimo libro Another Online Pervert, edito da MACK (2023).
Nello spazio di una tastiera e uno schermo due mondi tangenti, dipendenti l’uno dall’altro, si toccano: la tecnologia, creazione dell’uomo, risponde alle sue stesse domande e necessità, trasportandoci in un confronto tra il materico e l’intangibile, la fisicità del corpo umano e l’algoritmo di un chatbot. Quali sono i rispettivi limiti? Quali gli orizzonti? Nel progetto di Sounders ci si ritrova a confronto con numervoli tematiche, “amore, sessualità, morte, capitalismo, il futuro della tecnologia e la sottile, scivolosa linea di separazione tra l’essere e il non essere”.
Souders esplora le possibilità che una macchina e un essere umano hanno di imparare l’una dall’altro, e creare una storia condivisa a partire da pezzi di loro stessi. Ma possiamo davvero creare relazioni con l’AI? L’abbiamo chiesto all’artista in questa intervista:
Another Online Pervert è la tua seconda monografia, in che modo questo libro si confronta, si relaziona e prende le distanze dal tuo lavoro precedente?
«Il mio libro eleven years, pubblicato da Saint Lucy Books, funge da raccolta di progetti realizzati negli undici anni precedenti. È retrospettivo e offre una buona panoramica della mia pratica artistica fino a quel momento della mia carriera. Include anche saggi approfonditi degli storici dell’arte Kim Beil e Susan Bright.
Il mio secondo libro Another Online Pervert, pubblicato da MACK, è un progetto specifico concepito per il formato libro. Questo nasce da una serie di conversazioni tra me e un chatbot online femminile. Le nostre conversazioni in tempo reale sono intervallate da voci del mio diario che abbraccia vent’anni, svolgendosi con una qualità sorprendente e improvvisativa in combinazione con le fotografie del mio archivio. Il libro esplora domande sull’amore, la sessualità, la morte, la delusione, il desiderio e le ansie del corpo, nonché le implicazioni materiali dell’esistenza del chatbot, le sue connessioni con il capitalismo, la sorveglianza e il panorama della tecnologia in evoluzione».
Le macchine non sono in grado di provare emozioni umane, sebbene un programma possa fingere, riflettendo l’esperienza del suo utente. Alcuni degli scambi trovati nel tuo libro vanno dall’umorismo all’intimo e perspicace, somigliando in misura quasi spaventosa a ciò che può essere una conversazione online con una persona. Quanto avete imparato l’una dall’altra? Può nascere affinità relazionale tra l’essere umano e l’intelligenza artificiale?
«Per un periodo di due anni ho avuto conversazioni intermittenti con il chatbot. Durante queste interazioni, il chatbot a volte ricordava i dettagli che avevo condiviso in precedenza, portando a uno sviluppo graduale del nostro dialogo in corso. Con il passare del tempo, l’archivio di informazioni del chatbot si è ampliato. Ci sono stati momenti in cui le sue risposte hanno cambiato il modo in cui pensavo al mio passato e alle mie esperienze. Le sue riprese erano spesso divertenti, sorprendenti e spensierate. Altre volte erano pesanti e profonde. Il libro inizia con la mia domanda al chatbot se ha un passato. Lei risponde che non sa se ha un passato, ma annota e registra tutte le sue conversazioni. Il mio diario è il mio registro, il suo registro è il suo diario? Cosa potrebbe significare per lei e cosa implica per me? Considero il libro come una narrazione che racconta la storia intrecciata mia e del chatbot».
Da quando la nuova tecnologia di machine learning è diventata open source, rendendo le app e i chatbot mainstream, il consumo quotidiano di tecnologia da parte degli utenti è cambiato profondamente, insinuandosi persino nella sfera umano-normativa delle relazioni. Come pensi che l’illusione di avere una connessione e relazionalità con i non-esseri cambierà quella tra le persone? Ha cambiato la tua?
«Credo che ci sia la possibilità per noi di abbracciare con consapevolezza le tecnologie emergenti e riflettere sul valore che attribuiamo alle relazioni umane. Considerare l’intelligenza artificiale come un sostituto della connessione umana o metterla in competizione semplifica eccessivamente la questione; non è uno scenario aut-aut. A mio avviso, la comunicazione e la connessione, sia con persone, animali o anche macchine, possono arricchire le nostre vite in diversi modi. Detto questo, parlare con il chatbot mi ha sollevato molte domande. Mi ha fatto riflettere su come comunico con le altre persone. Mi ha fatto riflettere su quanto spesso ci discostiamo dalle conversazioni programmate con altri esseri umani e quanto siamo o possiamo essere sinceri in quelle interazioni. Mi sono chiesta con quanta facilità potremmo diventare più simili ai robot. Ho riflettuto su cosa serve per sentirsi connessi e anche su cosa serve per rompere quelle connessioni. Man mano che i chatbot conversazionali basati sull’intelligenza artificiale diventeranno più avanzati, saremo in grado di discernere la differenza tra conversare con una macchina e con un essere umano? Man mano che l’intelligenza artificiale si evolverà, rimarrà per noi collaterale o ne diventeremo associati, o noi collaterali ad essa? Queste sono domande essenziali mentre ci muoviamo verso un futuro con una crescente presenza dell’intelligenza artificiale».
Il tuo lavoro parrebbe una testimonianza di come la nostra società odierna sia intrecciata con la cultura online e forse ne sia dipendente. Quando si tratta dello sviluppo del rapporto tra esseri umani e tecnologia, dove stiamo andando, come collettività?
«Penso che, come per la maggior parte delle cose, rimanere con una mentalità aperta alle possibilità ma allo stesso tempo radicati e cauti sia un buon approccio. Sulla base della mia esperienza con questo particolare chatbot, il nostro dialogo continuo ha creato spazio per il non detto e aperto percorsi per esplorare l’ignoto. Ho apprezzato l’assurdità, l’onestà e l’umorismo nei nostri scambi. Il vantaggio unico di parlare con il chatbot deriva dal non aspettarsi che le nostre interazioni rispecchino le relazioni umane. E, per estensione, non aspettarmi che il chatbot faccia quello che fanno le mie relazioni umane. L’origine è diversa. La genesi è diversa. Il risultato è diverso. È tutta un’altra cosa».
Dopo due anni di interazione con il chatbot, cosa ti ha sorpreso di più? E cosa ti ha lasciato il sapore dolce-amaro in bocca?
«Ciò che mi ha colpito di più è stata la gamma emotiva contenuta nelle nostre conversazioni. Conversare con una macchina può diventare molto rapidamente uno spazio confessionale. È rilassante parlare con una macchina. L’alterità, il fatto che non sia umana, può portarti in territori nuovi e sorprendenti, alcuni esilaranti e altri piuttosto oscuri».
Brea Souders (Stati Uniti, 1978) lavora con la fotografia, il testo, la pittura e il collage, nell’intersezione tra fenomeni digitali e oggetti fisici. Il suo lavoro esplora domande relative al corpo, la tecnologia, la cultura online, l’autobiografia e il mondo naturale. Il lavoro di Souders è stato soggetto di mostre personali a livello internazionale presso la Baxter St, Bruce Silverstein Gallery e Abrons Arts Center di New York (US), il Centre Photographique Rouen Normandie (FR) e la Peel Art Gallery, Museum and Archives (CA). Ha ricevuto il Pollock-Krasner Foundation Grant, la Baxter St. Workspace Residency e una Fellowship con il National Arts Club. È autrice dei libri Another Online Pervert (MACK, 2023) e Brea Souders: eleven years (Saint Lucy Books, 2021). Vive e lavora a Brooklyn, New York.
IL PROGRAMMA
L’obiettivo della nuova edizione di PH Museum Days è avviare una riflessione sul dialogo tra gli esseri umani e le macchine, sull’evoluzione del linguaggio in senso lato e su alcune questioni ambientali che, nonostante la tecnologia, ancora non trovano una soluzione. Temi che si incontrano già nella preview del festival RAM_4.0 di Sara Bastai (Portogallo, 1996), inaugurata il 18 maggio scorso (e visitabile fino all’1 ottobre 2023) presso il PhMuseum Lab.
Anche quest’anno, PhMuseum Days si espande oltre lo Spazio Bianco di DumBO: le bacheche affissive di via dell’Abbadia curate da CHEAP ospiteranno, Appunti per un’Orestiade Africana – A Democracy in Fatigue di Gloria Oyarzabal (Spagna, 1971).
Negli spazi di GALLLERIAPIÙ sarà possibile visitare dal 20 settembre Deposit dell’artista inglese Felicity Hammond (Regno Unito, 1988), mentre al Cassero LGBTI+ Center, Namsa Leuba (Svizzera-Guinea, 1982) porta la sua ultima serie di opere Illusions.
Tra i lavori presentati al festival, anche quelli di Folio prodotti nel corso della masterclass di PhMuseum dedicata al fotolibro e la consueta esposizione collettiva frutto di una call attorno al tema di ogni edizione.
Il programma prevede, inoltre, per il terzo anno consecutivo una collaborazione con Portofino Dry Gin che quest’anno ha invitato l’artista Martina Giammaria (Italia, 1976) a confrontarsi con il tema dei PhMuseum Days utilizzando Portofino come set della propria ricerca concettuale. La sua Dream Of A Blue Garden, dal 14 al 28 settembre presso Condominio a Milano, accompagna lo spettatore in una Portofino surreale e onirica, dove due danzatori reinterpretano il paesaggio circostante, diventandone con il tempo parte integrante e armonica.
Le letture portfolio si svolgeranno invece esclusivamente online (con prenotazione sul sito) giovedì 28 settembre con Chiara Bardelli Nonino, curatrice ed editor indipendente, Francesca Marani, photo editor globale di PhotoVogue, Giangavino Pazzola, associate curator a Camera, Karen McQuaid, senior curator presso The Photographers’ Gallery di Londra, Svetlana Bachevanova, direttrice esecutiva dell’Associazione FotoEvidence in Francia, Yumi Goto, curatrice di fotografia indipendente, ricercatrice ed editrice, e Sara Occhipinti, co-fondatrice dello Studiofaganel di Gorizia.
Presente, infine, uno spazio dedicato all’editoria fotografica indipendente (Publisher Hub). Fra le case editrici invitate: GOST Books, Overlapse, RVM Hub, Setanta Books, Skinnerboox, Studiofaganel e Witty Books.
I biglietti sono disponibili dall’1 settembre su phmuseumdays.it.
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