Un paio di disconnessioni di linea, un corriere di Amazon che suona alla porta per consegnarle un pacco e dei costanti brusii di fondo non hanno privato di intensità l’intervista telefonica a Stefania Giunchi, grafica e lettering artist di professione, nata e vissuta a Bologna sino a quando la sua febbrile curiosità di apprendere e fare l’ha allontanata dalla città turrita per condurla in Inghilterra, dove attualmente vive e lavora.
E dove l’ho raggiunta, ovviamente tramite Whatsapp.
La passione indomita per il suo lavoro ha sorvolato distanza e pause giungendomi dritta e urlata, prendendomi le mani e conducendomi in un mondo fatto di parole, lettere e palette di colori che Stefania, tra qualche boccata di sigaretta (mia) e il jazz di Chet Baker (suo), mi ha raccontato.
Il tuo lavoro in una parola.
“In verità non l’ho capito nemmeno io cosa sto facendo, ma forse in una parola direi creativa”.
Ok, allora in più parole.
“Lavoro come grafica da più di 11 anni ma mi occupo di calligrafia, lettering e sign painting. Sono un po’ anarchica, perché spazio tra diverse discipline e devo ancora capire quello che mi piace fare veramente”.
Doveroso chiederle un distinguo.
“La calligrafia è l’arte della bella scrittura: è il gesto di scrivere con diversi strumenti. L’hand lettering è l’atto di creare lettere ma con l’approccio del disegnato. Racchiude tutto il lettering fatto a mano. Il sign painting è legato all’hand painting, ma consiste nel dipingere insegne, vetrine, muri, macchine, ed è una professione che può riguardare anche tutto il concetto di branding”.
E se le differenze non sono ancora chiare, una cosa è sicura: attenzione a dire “bella calligrafia” vicino a lei!
Ha studiato per diversi anni lettering, spostandosi da una parte all’altra dell’Italia (e non solo) e proprio per seguire un corso si è trasferita a Brighton, decidendo poi di rimanere in Inghilterra.
“Quando ho finito il corso, non vedevo il motivo per cui tornare in Italia e così sono rimasta. Un mese e mezzo fa mi sono trasferita a Londra dove lavoro come freelance grafica”.
Forse mi sbaglio ma più che una professione, la tua mi sembra una passione. Come l’hai scoperta?
“È un mix di passione, tecnica e dedizione. Per fare lettering e calligrafia occorrono studio e tempo. All’inizio è molto frustrante. Man mano si diventa più abili ma le aspettative personali diventano proporzionalmente sempre più alte. Come l’ho scoperto? Ho sempre disegnato tantissimo, sin dall’asilo, e le maestre adoravano le mie creazioni: a due anni disegnai una bambina con le ciglia e loro ne rimasero sorprese. Poi, iniziando a lavorare al computer, ho gradualmente smesso e la calligrafia è stato lo strumento che mi ha stimolato a ricominciare a creare con le mani”.
Cosa sono le lettere e i colori per te? Che potere hanno?
“Posseggono un potere immenso. Ora ho un approccio più emotivo e per me, a volte, disegnare e cancellare è molto terapeutico. Esprimo i miei sentimenti e i miei stati d’animo. La tristezza o la felicità mi arrivano sulla punta delle dita e poi le trasferisco sulla carta”.
Che progetto ti piacerebbe realizzare in questo momento?
“Non c’è un lavoro che mi manderebbe giù di testa o uno che preferirei più di un altro. Adesso vorrei dedicarmi a un progetto artistico senza scopo lavorativo, per approfondire stili e ispirazioni. Un lavoro non lavoro!”.
La sua abile mano ha lasciato traccia di sé in due locali del Pratello: Beer 4 Bunnies e Il Punto. Per il primo ha interpretato lo spirito gioviale e, come dice lei, “cazzone” del posto, creando un lettering non convenzionale e burlesco al fine di rendere vivibile e ospitale l’ambiente. Per il Punto in via San Rocco, spazio di incontro più raffinato, ha ideato un lettering più classico ma con slancio stravagante.
Stefania si approccia alla sua professione in modo fortemente catartico, quasi fosse un lavorio introspettivo e ogni suo progetto rivela uno spirito che sposa pulp, art nouveau, musica, libri, arte e tutto il suo background.
“È come se fosse un percorso interiore: ho capito tante cose di me, anche negative, che prima ignoravo del tutto o forse erano in sordina. Ho un lato oscuro molto spiccato: a volte sono cattiva con le persone a cui voglio bene. È come se dovessi sfogare il mio veleno con loro. Da quando mi sono trasferita in Inghilterra ho passato molto tempo da sola e ho avuto modo di esplorare questa zona buia: ho una sensibilità molto forte e vivo tutto come un trauma. Ho un nervosismo che non riesco a controllare e provo interesse per il macabro. Prima nascondevo questa parte di me, ora lo lascio andare”.
E se di pennini, inchiostri e smalti sintetici ne capisco poco, quando Stefania mi parla di questa sua zona d’ombra forse ancora acerba, che io invece ho scoperto in me anni fa, si accende una scintilla e una vera affinità tra noi che azzera del tutto i rumori di fondo e scopro che oltre a un lieve diastema, condividiamo molto altro.
Le chiedo un disegno che rappresenti l’intervista.
Me lo manda.
Non capisco la prima parola.
Le chiedo spiegazioni e mi risponde. Dark.
Dark, but bright still.
Sintesi grafica della nostra piacevole chiacchierata, che lei ha rappresentato attraverso una matita e una gomma logora di passione e lavoro.
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