Musica & Libri

Targhe Officina Roversi. Paolo Fresu si racconta: “Bologna è in perenne movimento”

25-09-2025

Di Laura Bessega

Paolo Fresu non ha bisogno di presentazioni. Il jazzista più celebre d’Italia ha inciso oltre 600 dischi, calcato migliaia di palchi in tutto il mondo, scritto diciassette libri e collezionato premi e riconoscimenti internazionali. Ma ridurlo ai numeri, sarebbe sbagliato. La sua forza sta nella curiosità e nella passione con cui ha attraversato la musica, facendone uno strumento di libertà. È un uomo che ha trasformato il suono in parola, e la parola in bellezza.

Foto di Adriano Scognamillo – Foto Puck

Dai silenzi della Sardegna ai palchi internazionali, ha portato il jazz a dialogare con culture, arti e linguaggi diversi, perché “attraverso una nota puoi raccontare il mondo”. Ne ha fatto veicolo per parlare di ambiente, diritti civili, giustizia sociale.

Paolo Fresu e Roberto Roversi, apparentemente lontani, condividono lo stesso credo: la libertà come gesto necessario, la bellezza come responsabilità civile.

L’arte non è ornamento, ma sostanza; non consumo veloce, ma parola che resiste, illumina, denuncia.

Da presidente delle Targhe Officina Roversi raccoglie ora l’eredità di Roberto Roversi, poeta, scrittore, giornalista e libraio che ha fatto della parola un atto di responsabilità. Ha fondato e diretto, tra gli altri, la rivista Officina insieme a Francesco Leonetti e Pier Paolo Pasolini e alcuni suoi versi sono diventati testi di canzoni di Lucio Dalla e degli Stadio. Con Fresu abbiamo parlato di questo e di molto altro. Domani venerdì 26 settembre, dalle 20, in piazza Lucio Dalla, durante la seconda serata delle Targhe, musica e parola tornano a intrecciarsi e diventano un’occasione per ascoltare e riflettere insieme.

Foto di Roberto Cifarelli

Paolo Fresu e Roberto Roversi cos’hanno in comune?

Mi piacerebbe pensare che si possa avere in comune il coraggio delle scelte e la libertà. Compresa quella di denunciare il presente.

Da musicista, qual è il potere più forte che riconosci alla parola?

La parola è tagliente e allo stesso tempo è melodia e poesia, seppure anche la poesia possa e debba essere tagliente. Pertanto la parola è potente e, se vestita attraverso la musica, diventa bellezza e racconta l’uomo.

Paolo Fresu e Omar Sosa – Foto di Roberto Cifarelli

Roversi ha collaborato con autori come Lucio Dalla e gli Stadio. Di quella generazione di musicisti, quale insegnamento senti ancora vivo nella musica di oggi?

Sento vivo l’insegnamento della diversità intesa come capacità di uguaglianza. È ciò che purtroppo manca oggi. La ricchezza è nella diversità da condividere. Roversi, assieme a Dalla e agli Stadio, ha raccontato questo bisogno. Chiamiamola speranza…

Foto di Stefano Parisii

La bellezza genera bellezza. Quando entriamo in contatto con qualcosa di bello, questo tende a trasformarci, a stimolare il desiderio di restituire al mondo qualcosa di altrettanto bello. Anche la musica può avere questo effetto trasformativo? Cosa pensi quando crei?

La musica deve generare bellezza. Una bellezza che non la renda oggetto di arredo ma che ne faccia strumento di riflessione e a volte di denuncia. Quando creo penso al bello che c’è in noi e alla possibilità, seppure non sempre ci riesca, di raccontarlo al mondo attraverso la musica: lo strumento dialettico che meglio conosco.

Cosa ti ha spinto a entrare in Officina Roversi e diventare uno dei presidenti di giuria di Targhe Officine Roversi?

Mi ha spinto la passione per l’opera e il lascito di Roversi dal quale, tutti giorni, apprendo qualcosa di nuovo. E mi spinge a buttarmi nelle cose il bisogno di edificare perennemente. Per costruire con la musica andando al di là della stessa.

Oggi, per chi scrive e canta, non è facile mantenere una libertà creativa fuori dalle logiche del mercato. Come si fa a resistere? Hai un consiglio per chi ci prova?

Non ho un consiglio. Posso solo dire che si deve sempre fare il massimo per poter raggiungere un obiettivo prefissato. Poi non sempre tutti si riesce ma, se ciò non avviene, non rimarrà mai lo scrupolo di coscienza del non avere fatto tutto ciò che era necessario fare. E poi bisogna seguire il ritmo del cuore. Stando attenti a mai sopraffare l’altro. La musica da questo punto di vista è una delle migliori palestre di vita e di rispetto verso il prossimo. Se si è in tanti su un palco e si sta suonando da soli vuole dire che gli altri non sono considerati…

Foto di Marco Marani

Qual è la lezione più preziosa che hai imparato nella tua carriera e che vorresti lasciare ai partecipanti di questa edizione delle Targhe?

La lezione più importante è quella dell’avere sempre voglia di fare e di cercare. E del mai correre troppo. Si rischia di farsi male e di cadere.

Bologna ha una lunga tradizione legata alla parola e con targhe Officina Roversi si conferma una culla delle poetiche d’autore. Cosa rimane oggi di quest’eredità e in che modo la città continua a essere fertile per chi lavora con la musica?

Bologna è una città gravida di musica con una storia ricca e antica. Respira di musica e di generi mettendoli perennemente in discussione in un melting pot che bene la rappresenta. Per la sua collocazione geografica in mezzo all’Italia, per la sua conformazione architettonica e sociale e per la sua vivacità culturale. Una Bologna né meglio né peggio rispetto a quella del passato ma solamente in perenne movimento.

C’è un evento o un incontro che ha segnato il tuo modo di fare musica?

C’è il momento quando, bambino, vedevo la banda passare in paese. Volevo farne parte… Poi i complessi e la scoperta del jazz. I momenti sono stati tanti ma non ho mai veramente deciso di fare il musicista. Diciamo che mi ci sono trovato dentro. Da allora i momenti sono stati tanti e mi sento privilegiato per avere fatto numerosi incontri straordinari.

Foto di Roberto Cifarelli

Quando ti sei avvicinato per la prima volta alla musica? Come hai capito che la tromba sarebbe diventata la tua voce?

È stato casuale ed è la tromba ad avere scelto me perché i miei genitori, pastori e contadini, la avevano comprata in terza mano per mio fratello che poi ha lasciato. Piccolissimo la guardavo e avevo un unico sogno: poterla toccare. Ho potuto a un certo punto farlo ed ho subito potuto soffiarci dentro facendola diventare, nel tempo, la mia voce.

Se il jazz, come dici, è la musica della libertà, il cantautorato è la musica di…?

Libertà. Tutto è libertà. Perché se manca la libertà, il mondo non può suonare e non può cantare.

Hai portato la tua musica in giro per il mondo: cos’hai portato del mondo nella tua musica?

Tutto. La mia musica profuma di mondo. Quello che ho immaginato e quello che ho visto. Quello che ho respirato e quello che ho assaggiato ma soprattutto quello che ho sentito. Con le orecchie e con il cuore. Non fosse così non avrebbe senso oggi, dopo più di quarant’anni, continuare a vedere il mondo.

Foto di Tommaso Lepera

Su quali progetti stai lavorando in questo momento?

Sto intanto scrivendo il programma della 29° edizione del mio festival Time in Jazz che si svolgerà nell’agosto del 2026. E sto scrivendo il nuovo programma per “Jazz on Symphony” dove a Bologna il jazz incontra l’Orchestra Sinfonica del Comunale. Oltre all’attività normale dei concerti con i miei gruppi a gennaio del 2026 riprendo per tre mesi il tour teatrale “Kind of Miles” e uscirà ad aprile un nuovo disco con il cantante belga David Linx e il pianista argentino Gustavo Beytelmann. E sto preparando un grande progetto sinfonico sulla mia musica per il Teatro Lirico di Cagliari per il mese di marzo prossimo con gli arrangiamenti di Paolo Silvestri e con la presenza di tanti amici con i quali ho condiviso la musica e la vita per alcuni decenni.

Foto di Davide Miglio

Condividi questo articolo