Design & Moda

Veta Light trasforma le tv vintage in lampade contemporanee

07-05-2021

Di Sara Santori
Foto di Veta Light

Poliedrico, eclettico, versatile, sfaccettato…

L’istinto di definire Christian Carlino “DeLord” l’ho avuto anche io e mi sono chiesta perchè si senta sempre la necessità di incasellare tutto.

Fondatore e creative strategist dell’agenzia creativa Innobrain, designer, pianista con diversi album all’attivo, compositore e scrittore. Lo abbiamo raggiunto telefonicamente per farci raccontare del suo progetto di design Veta Light di creazione di opere luminose con televisori vintage.

Non voglio chiederti di definirti, ma se oggi dovessi raccontare chi sei, cosa diresti?

«Se devo descrivermi in tre parole dico sempre: sono un creativo, un compositore e uno scrittore. Sono multidisciplinare. Il fil rouge che tiene insieme tutto è la creatività.

Mi sono sentito solo anni fa, non ci sono tanti multidisciplinari in Italia, mentre all’estero è più comune; penso ad esempio al Giappone dove la stessa persona può essere manager di giorno e deejay la sera.

Qui i commenti sarebbero sicuramente “questo vuol fare tutto” oppure “ma cosa fa questo nella vita?”.

È stato difficile per me riconoscerlo e accettarlo, ma ora ci sto riuscendo e sono soddisfatto, non nascondo più le mie diverse passioni e sempre più spesso mi capita che questo sia il motivo per cui mi vengono a cercare per lavori e collaborazioni».

Il progetto VETA Light inizia nel 2014, Christian mi racconta che è una riflessione sulla memoria storica che stiamo perdendo, «i televisori che utilizzo sono oggetti iconici di un passato da preservare, un veicolo per ricordarci da dove veniamo e per guardare meglio al futuro».

Ma non solo: «la Tv trasmette messaggi in modo passivo, ho voluto svuotare l’oggetto da questo significato e dargliene uno nuovo: trasmettere le sensazioni date dai colori alle persone e agli ambienti. I colori influenzano il nostro modo di percepire ciò che ci circonda e le emozioni che ci passano attraverso».

 

Come è nato il progetto?

«Avevo in casa una collezione di 30 televisioni vintage, un giorno ne ho aperta una e ho sperimentato con vari materiali, luci led e altro. È stato un divenire, non era programmato. Mi sono chiesto spesso perchè avessi collezionato quegli apparecchi e forse il motivo era proprio per arrivare a questo progetto».

 

Infatti te lo avrei chiesto anche io, come mai avevi iniziato a collezionarli?

«Mi piacevano come idea di arredamento e in particolare il fatto che fossero oggetti di design. O meglio, oggetti di uso comune che i designer avevano reso oggetti iconici.

Sono molto colpito dallo studio di quegli anni, oggi mi sembra tutto più omologato, penso ad esempio agli smartphone, non ci sono molte differenze tra gli uni e gli altri».

Scegli apparecchi particolari?

«Il filo conduttore sono gli anni 60 e 70, televisori piccoli trasportabili, come quelli che si usavano da picnic, o televisori di media grandezza. Quelli grandi invece li prendo solo in legno, anni 50 e 60».

 

Christian ha utilizzato le lampade TV VETA durante i suoi concerti in teatro, durante i quali abbinava i colori alla musica, scegliendo un colore unico o delle sfumature.

«Il concerto è un momento di meditazione collettiva, nel quale siamo insieme. Si attivano livelli di percezione diversi: se si lavora solo sulla musica si interagisce sul livello dell’ascolto; aggiungendo lampade e colore ho notato che le persone andavano oltre la musica e si ricordavano i colori associati al tema dei brani».

Le ha presentate al Salone del Mobile 2016, ha realizzato mostre durante la Bologna Design Week 2018 e 2019, un allestimento per Artefiera nel 2020 e alcuni eventi privati. Durante le mostre i visitatori hanno a disposizione un telecomando per provare i diversi effetti del colore sulle emozioni e sullo spazio che li circonda.

 

«Il nome Veta deriva dall’acronimo Video – Emotion – Time – Audience. Nel mio caso il video è rimasto tale, le emozioni sono i colori, il tempo è la memoria, la trasmissione di massa (audience) ora si riferisce alla trasmissione delle emozioni».

Il tema delle emozioni torna spesso nelle tue parole ed è molto presente nei tuoi lavori.

«È così. Mi è rimasta impressa una frase che mi hanno detto in occasione del mio ultimo concerto dal vivo a settembre: “la tua musica va oltre il percepibile“. Suonando musica strumentale col pianoforte lavoro molto sulle emozioni, per trasmettere un significato attraverso il suono.

Le emozioni sono sempre state la parte centrale. Quello che metti in mostra sono sempre parti di te, specialmente quelle che ti fanno paura. Essere aperto a mostrare le mie emozioni è una cosa che ho conquistato solo negli ultimi anni. È stato prima di tutto un messaggio che ho lanciato verso me stesso. Il momento di liberazione più grande è stato riconoscere la multidisciplinarietà, era l’aspetto più critico.

La sfida è quella di tirare fuori le nostre unicità. Spesso cresciamo con degli idoli ai quali aspiriamo, senza capire che essere famoso non equivale a essere una persona di successo. Se col tuo progetto hai cambiato la vita a 100 persone, quello è il tuo successo. Quando avrò 100 anni – spero di arrivarci, è uno dei miei obiettivi – spero di poter vedere quante cose ho lasciato, sapere che oltre a me rimane qualcosa di utile».

 

Nel 2020 Christian aveva in programma dieci concerti, il Salone del Mobile con Veta Light per una collaborazione con Spalding e due mostre con una Fondazione.

Quando gli chiedo a cosa sta lavorando mi racconta che ha approfittato degli ultimi mesi per scrivere quasi 3 album (di cui uno appena uscito, lo trovate qui) per mettersi avanti con la realizzazione di pezzi Veta Light, passando da 20 a 50 pezzi e che progetta un’installazione permanente alla Tate Modern a Londra.

Se potessi scegliere un altro luogo per una tua opera? Chi vorresti che avesse una lampada Veta?

«Se fosse ancora vivo, direi un’installazione di Veta a casa di David Bowie, questo sicuro. O poter lasciare un’installazione a New York, dove il vintage è molto apprezzato.

Però ancora di più in un parco pubblico, dove ogni persona possa fare un bagno di colore. Vorrei un progetto il più diffuso possibile, per uno scopo anche sociale, vorrei che non fosse un oggetto per pochi ma da allargare a tutti.

Il progetto della Tate può sembrare presuntuoso, ma è un’istituzione conosciuta a livello mondiale e so quanto un’opera può essere amplificata se fa del bene, è quello il bello.

Sai una cosa bellissima? Quando le persone si conoscono attraverso la mia musica. È capitato in Messico, una ragazza aveva deciso che l’uomo che avrebbe sposato avrebbe dovuto suonare un mio brano. Conosce un ragazzo, uno sportivo, che non aveva mai suonato il piano. Lui si mette a studiare e le fa la proposta di matrimonio suonandole un mio pezzo. Dopo il matrimonio sono venuti in Italia e li ho conosciuti.

Questo è il successo per me, vedo la felicità negli altri e sono felice. Questo è lo scopo. La voglia di fare del bene».

Le opere di Christian sono pezzi unici e si possono vedere presso il suo studio Innobrain in via Michelino 93/2, Bologna.

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