Proiezioni, video, installazioni, performance in realtà aumentata, film in realtà virtuale a 360°, workshop e seminari sono i protagonisti della terza edizione dello ZED Festival internazionale di videodanza, in programma dal 22 al 29 settembre. Un festival diffuso in diversi luoghi di Bologna, tra cui Piazzetta Pasolini, Le Serre dei Giardini, MAMbo, Giardino del Cavaticcio.
La telecamera gira intorno all’unica vera stella del palco e dello schermo: il corpo.
Una rassegna ricca, ricchissima, che vede protagonisti la Compagnia della Quarta, Cro.me – Cronaca e memoria dello spettacolo, Coorpi, Vitruvio Virtual Reality, in collaborazione con DAMSLAb Università di Bologna, La Soffitta, Agite y Sirva Festival itinerante de videodanza.
Ma facciamo un passo indietro: la videodanza è una branca artistica purtroppo ancora misconosciuta in Italia che nasce dal dialogo tre due arti del movimento: il film/video e la danza. Ha caratteristiche innovative, con una forte interazione tra arte e tecnologia.
E se oggi stare al passo della tecnologia è d’obbligo per non essere fuori dal mondo, è la tecnologia stessa che entra piano piano in un altro universo, quello della danza, e di sottecchi si infila tra i suoi passi, cingendone calorosamente i fianchi, a tu per tu con la danza stessa.
L’occhio dello spettatore non è più lontano dal palcoscenico, non deve strizzarsi per scorgere le movenze di chi lo calca eppure riesce a seguire nel dettaglio e da angolature differenti ogni linea, ogni curva. Lo spettatore non assiste più solamente ma diviene realmente partecipe e lo fa grazie alla realtà virtuale, per un risultato molto più realistico di quanto la realtà stessa non ci possa assicurare.
«Prerogativa del festival è quella di costituire un avamposto – spiega Mauro Coccetti, direttore artistico del festival – di cercare quelle performance e quelle installazioni che non godono ancora di una circuitazione capillare sul territorio nazionale affinché la loro presenza sia stabile e riconosciuta».
Coccetti racconta come la videodanza abbatta i confini di spazio e tempo che ormai non esistono più, dilatati nei nuovi luoghi performativi nati a seguito della pandemia. «Un luogo di libertà perché privo di confini e ancora estraneo alle dinamiche capitalistiche che di norma regolano il settore artistico tutto.
La videodanza viene purtroppo spesso relegata a surrogato della danza così come la conosciamo quando in realtà è un’arte a sé stante, fatta dei suoi principi, delle sue regole e dei suoi fondamenti. Una disciplina dal linguaggio ibrido che ha come soggetto il corpo e il cinema e l’alone fantastico che lo permea tramite il montaggio, i primi piani, l’audio. – continua Coccetti specificando che – È sempre il corpo il protagonista, che guida tutto il resto. La telecamera avvicina fisicamente lo spettatore eliminando la distanza dal volto e dalle espressioni dell’attore, andando oltre. Con la realtà virtuale la dimensione spaziale può perfino sparire ma al contempo aprire nuovi universi».
La performance WHIST è quella che rappresenta il festival di quest’anno: vede due artisti inglesi, Estaban Lecoq e Aoi Nagamura, creare un percorso di connessione con lo spettatore che a propria volta dovrà sceglierne uno, molto più privato e personale, vivendo per un’ora la storia di questa particolare famiglia composta di tre personaggi, Io, Es e Super Io, al fine di esplorare i nostri meccanismi di scelta e reazione all’opera. «Elemento affascinante – spiega Coccetti – risiede nella possibilità dello spettatore di rivivere la performance anche una volta conclusa, da solo: a ognuno viene assegnato un codice che inserito sul sito della compagnia produrrà un determinato risultato sull’itinerario scelto».
Il Festival si interroga se possa un’opera d’arte raccontare le sensazioni che abbiamo vissuto emotivamente nella distanza delle relazioni e se sia in grado di raccontarci qualcosa di noi che ancora non conosciamo e Coccetti al riguardo risponde che «viviamo in un periodo in cui le relazioni hanno subito una mutazione fortissima, in positivo e in negativo. Ci siamo chiesti cosa abbiamo vissuto in maniera razionale e cosa invece a livello inconscio. Forse, ancora non abbiamo tutti gli elementi per comprendere queste dinamiche ma proviamo a capire se effettivamente possono esistere delle performance che possono stimolare e approfondire l’argomento passando per punti di vista diversi».
Anche l’artista Chrysanthi Badeka racconta dei corpi in stato d’emergenza, toccando il tasto della resilienza, dolente, perché erroneamente sfruttato; Ombraluce, performance di realtà mista in cui sono coinvolti danzatori reali e danzatori virtuali, mette in discussione il tempo e la relazione tra reale e irreale. «Abbiamo cercato di dare vita a una programmazione che fosse catartica e adrenalinica, qualcosa in cui il pubblico potesse riconoscersi». Un avamposto che propone diverse direzioni con l’aiuto di percorsi fatti su misura e al centro rimane sempre l’occhio dello spettatore e che sia il più vicino possibile.
Su sito di Zed Festival trovate il programma completo degli appuntamenti.
Prenotazioni e biglietti su Boxerticket.
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