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Cosa vedi dalla tua finestra? Il progetto dell’artista e costume designer Arianna Fantin

11-06-2021

Di Costanza Tassoni

Avete mai ricevuto una lettera da uno sconosciuto che vi racconta cosa vede dalla sua finestra? Arianna sì, talmente tante da farne un libro.

Uno scambio di e-mail e un sito internet, nel primo periodo della pandemia, hanno ridato vita a un progetto di corrispondenza realizzato nel 2013 per la manifestazione Cuore di pietra. Quella corrispondenza, allora cartacea, stimolava uno scambio di sguardi tra luoghi diversi – Pianoro e Berlino – ma accomunati dalla forte trasformazione urbanistica. Nel 2020, la stessa idea è diventata motivo per rompere l’isolamento del lockdown e dare voce ai mille volti della solitudine.

Abbiamo intervistato Arianna Fantin, autrice di Cosa vedi dalla tua finestra? #2 edito da Cartabianca, artista del tessile e costume designer. Originaria di Bologna e figlia del noto artista Emilio Fantin, vive a Berlino dal 2008 dove lavora per diverse compagnie di danza e teatro.

Cosa vedi dalla tua finestra? #2 di Arianna Fantin

Partendo dal primo progetto, siamo nel 2013 e di persone relegate sui balconi ancora non c’è traccia. Come nasce Cosa vedi dalla tua finestra?

«Sì, tutto parte nel 2013, periodo nel quale ero molto attiva come artista visiva, oggi invece sono più impegnata nel design del costume per teatro e danza. Mili Romano, amica di mio padre e fondatrice del progetto di arte pubblica di Pianoro Cuore di Pietra, mi chiese di parteciparvi. Io vivevo già a Berlino e non sapevo come strutturare il mio intervento trovandomi così lontana dal territorio, così mi venne l’idea della corrispondenza cartacea, l’unico modo per entrare fisicamente in contatto con gli abitanti di Pianoro.

La scrittura fa parte del mio linguaggio artistico, di solito molto più vicino al tessile e dunque manuale, per questo ricevere materialmente le lettere anche come oggetto mi sembrava un valore aggiunto per il progetto».

 

Da Bologna fino a Berlino: cosa unisce persone del tutto sconosciute?

«È stato proprio chiedendomi questo che mi è venuta l’idea di porre loro una domanda metaforica ma banale, da tema delle elementari, alla quale però non c’è persona che non sappia rispondere: “Cosa vedi dalla tua finestra?”. Era un punto di partenza per comunicare tra sconosciuti».

 

Come è andata a finire?

«Vennero scambiate molte lettere che alla fine rilegai in un libro d’artista, oggi alla biblioteca di Pianoro. Io poi cominciai la mia carriera come costumista per il teatro di Berlino e il progetto si concluse lì».

Arianna Fantin

Fino a quando è scoppiata la pandemia… 

«Io ero incinta a Berlino, separata dal mio compagno in quel momento in Italia. Durante il lockdown mi tornò in mente quella domanda, non so nemmeno io il perché. Un giorno qualunque, sentendo le notizie e vedendo le immagini delle persone alla finestra, ripensai a quel progetto di sette anni prima e d’impulso scrissi a Mili, che non sentivo da anni.

Lei accolse la mia proposta con grandissimo entusiasmo e il progetto riprese vita. Parteciparono le scuole medie di Pianoro e alcune persone che avevo conosciuto nel 2013, felici di tornare a scrivermi. In poco tempo la cosa si è diffusa a macchia d’olio raggiungendo tantissime persone, anche all’estero (nel libro si trovano lettere provenienti da Libano, Sudafrica, Stati Uniti, Israele, Francia e Germania, Arianna le ha raccolte in un archivio ndr)».

 

Cosa ne è venuto fuori?

«Qualcosa per tutti: dalla lettera del ragazzino delle medie a quella del direttore del MamBO di Bologna, fino a quella scritta da una signora sarda la cui figlia ha tradotto il contenuto dal dialetto. La stessa domanda ha avuto un significato diverso per ciascuno ma ha accomunato tutti: questo l’aspetto per me più interessante. C’è chi l’ha interpretata scientificamente e mi ha descritto davvero cosa vedeva dalla propria finestra e c’è chi invece ha risposto alla chiamata metaforica ragionando sulla condizione cui eravamo costretti».

Cosa vedi dalla tua finestra? Artist book di Arianna Fantin

C’è una lettera che ti ha colpito più delle altre?

«Ce ne sono due. La mia preferita è estremamente provocatoria e dice più o meno così: “guardare fuori dalla finestra oggi è uno schifo. Io chiuderei tutte le finestre e appenderei dei quadri per non vedere la roba che hanno costruito là fuori e che io non ho chiesto”. L’ha scritta un noto giornalista e intenditore d’arte che non ha voluto firmarsi. Mi ha colpito poiché è stato l’unico a ribaltare il concetto: nella sua visione la finestra è chiusa e guarda verso l’interno.

La seconda, in mezzo alle moltissime visioni poetiche che sono arrivate, dice invece: “io guardo fuori dalla finestra e non vedo niente”. Un cinismo tagliente ma sincero, che ti ricorda che c’è anche chi non è riuscito a guardare fuori».

 

Che cosa ti ha lasciato questo progetto?

«Ho sentito una fortissima connessione con le persone e con Bologna, mi ha tenuta viva. Io scrivevo una lettera a settimana rivolta a tutti e in quel momento pubblicavo sul mio sito quelle arrivate nei giorni precedenti. Questo ci ha permesso di avere un incontro settimanale per qualche mese e alla fine di dare vita al libro».

 

Tornando a te, vivi in Germania dal 2008, cioè da quando eri giovanissima, che cosa hai trovato a Berlino?

«Sono andata per un Erasmus pensando di fermarmi un semestre e non sono più tornata. Ho sempre avuto una certa curiosità nei confronti nel mondo, poi sono cresciuta vedendo l’esempio di mio padre che ha viaggiato molto prima di fermarsi a Bologna.

Ho scelto Berlino seguendo il consiglio di un professore che guardando il mio portfolio mi ha indirizzata verso quell’Università, io non ero particolarmente interessata al tedesco o alla Germania in sé, invece a Berlino mi sono sentita a casa. Finiti gli studi sono arrivate diverse opportunità lavorative, fino ad arrivare a mettermi in proprio».

La casa bianca art books ricamato a mano di Arianna Fantin

Hai mai pensato di tornare?

«Tutte le volte che terminavo un percorso mi chiedevo se fosse tempo di tornare in Italia, ma puntualmente arrivava qualcosa di nuovo che mi coinvolgeva e interessava al punto da farmi restare. Oggi in teatro, molti registi mi chiamano proprio perché non sono tedesca e porto nel mio lavoro sia l’esperienza berlinese sia il punto di vista della mia cultura di origine.

Adesso non so cosa succederà, sono tornata in Italia dove vive il mio compagno ma ho ancora casa e residenza a Berlino. Può essere che tutto questo si mescoli in un’unica dimensione, chissà».

 

Arianna un’ultima domanda: Che cosa vedi dalla tua finestra?

«Questa è una bella domanda. Innanzitutto, di finestre ne ho diverse: sicuramente una Italia e una in Germania. Al momento vedo in modo molto annebbiato da entrambe. Non sono negativa perché sono sicura ci saranno belle sorprese, ma credo anche serva una terza finestra per mettere a fuoco.

Forse basterebbe anche l’occhiello di una porta, purché sia uno spiraglio che si distanzi dal passato a Berlino e dalla permanenza a Bologna durante la pandemia».

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