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Bologna e i suoi luoghi. Gabriele Conte, il cantastorie con la tavoletta grafica

03-06-2019

Di Salvo Bruno

“Sei anni sono passati dal periodo in cui la mia anima sembrava essere esposta al vento freddo della solitudine. E in quel periodo non potevo fare scelta più giusta di quella di trasferirmi a Bologna. Rosso e caldo è il colore in cui questa piccola città mi ha avvolto. Un nobile ed elegante rubino incastonato vicino i verdi colli a cui si appoggia. Misteriosa e fascinosa città emblema di cultura, casa di giovani che innalzano la loro sapienza e che stringono rapporti che dureranno una vita intera”.

Chi illustra e chi descrive rispondono allo stesso nome: Gabriele Conte.

Palermitano di nascita e bolognese d’adozione, classe 1988, Gabriele è innanzitutto l’autore di tre originalissime illustrazioni digitali su Bologna che hanno fatto il giro del web e dei social, riscuotendo un loro personalissimo successo tra gli internauti.

“Mi trasferii a Bologna nel settembre 2012 e continuai nell’indirizzo Scenografia all’Accademia di Belle Arti, dopo la precedente esperienza nell’Accademia della mia città natale e un incarico al Teatro Massimo di Palermo. Un cambio drastico tra due città diverse nella loro bellezza e nel loro modo di essere e di essere vissute”.

Molti sui social, in particolare Instagram, ti conoscono già e ti lasciano feedback sempre molto positivi. Come ti piace descriverti a chi invece ancora non ti conosce?

“Tecnicamente, per chi ne sa quanto, o più, di me, sono un illustratore che lavora su fogli digitali all’interno di Photoshop su tavoletta grafica. Il luogo, lo scorcio o il personaggio lo scelgo sul momento, altrimenti mi avvalgo di un supporto fotografico. In realtà poi non amo definirmi illustratore, piuttosto un concept artist che filtra un luogo, un’idea per un personaggio o una scena e li descrive realizzandone un’opera con le sensazioni che vuole farle trasmettere.

Lo preferisco come nome perché il mio non è un lavoro di getto, anzi, richiede progettualità. Come se facessi il cantastorie attraverso i disegni di luoghi e personaggi che creo, uno che crede fermamente nella condivisione dei nessuno, figlia dei social, che porta a collaborare, esporsi, conoscere ed emergere. E perché no, magari anche lavorare”.

Esiste qualcuno di più conosciuto che ti ha ispirato nelle tue creazioni?

“Diciamo che i miei due guru sono Loish Van Baarle, illustratrice digitale belga di cui mi fa impazzire lo stile in cui disegna e colora, e Jordan Grimmer, un concept artist inglese noto per i suoi paesaggi, cose futuristiche e roba per i videogames. Due vie e due stili diversi, ma verso entrambi ho una venerazione smisurata. Chissà che un giorno non riesca a collaborare con loro…”.

Hai anche qualche modello ispiratore anche nella musica per il tuo lavoro?

“Io disegno sul mio divano o sul letto e con un immancabile sottofondo musicale, assolutamente sì. Sono nato in una famiglia di musicisti e la musica in generale mi appartiene da sempre, anche se quando lavoro prediligo un’atmosfera soffusa, da cantautorato, Consoli e Dalla su tutti. Anche quello straniero a volte. Spazio da Ella Fitzgerald a Nina Simone e Whitney Houston. I fuoriclasse, insomma. Quando faccio cose serie ascolto solo loro”.

Perché la tua scelta è caduta proprio su Bologna?

“Scelsi Bologna perché la vedo e la vivo da sempre come una città a misura d’uomo, un posto che sa di intimità pur non essendo propriamente un posto piccolo e intimo. Una città che non vive di facciata come le grandi metropoli, prendi Milano o Roma. È un’oasi di un’accoglienza unica e ricca di possibilità e creatività, libera, che ha al suo interno posti che hanno la forza di farti evadere dal clima cittadino pur rimanendo in una città.

Non è un caso che i miei posti preferiti a Bologna siano piazza Santo Stefano e la Fontana del Nettuno. Hanno per me una carica unica e sono un’ispirazione continua. Un po’ difficile da spiegare in altre parole, perché ogni posto può dire mille cose diverse ad altrettante persone diverse”.

Immagino che la tua dimensione creativa ti abbia già portato a condividere e collaborare con qualche progetto e realtà locale.

“È esattamente così. Da quando vivo a Bologna ho avuto la fortuna di collaborare con artisti e musicisti facendo delle illustrazioni per alcune loro cover, oltre che illustrazioni anche per La Falla, giornale del Cassero gestito dal collettivo Gli Infanti, che porta avanti una serie di attività legate al sociale e al culturale.

Le singole illustrazioni su Bologna, ma non solo, sono invece estemporanee come le occasioni da cui nascono, un determinato soggetto che mi ispira, una zona della città a una tale ora o situazioni particolari e casuali. Filtro il posto attraverso i miei occhi e voglio piegarlo al mio volere per restituire la sensazione che provo in quel momento. Che poi è il motivo per cui, quando posto i miei lavori su Facebook o Instagram, allego sempre una disascalia personale e personalizzata frutto di quello che provo in quel determinato momento.

Un esempio di ciò è il Ghetto Ebraico. L’ispirazione mi è venuta mentre lo attraversavo per raggiungere Camera a Sud, uno splendido locale tra i miei preferiti a Bologna, proprio in pieno ghetto, dove poi di fatto è nata l’idea per il disegno che di lì a poco avrei sviluppato”.

Di piccoli mattoni, di rosso luminoso, di strade strette ed essenziali è fatto il mio cammino. In un profondo silenzio che sembra tagliare il gelo di dicembre che si staglia davanti a me. Costante. Implacabile. L’anima riflette i colori che i miei occhi filtrano. Un’ombra di qualcuno a me troppo familiare appare e scompare divertendosi. Forse un ricordo. Sono queste le vie del mio presente, di una città rossa di sera. Chi sei? Me lo chiedo da 7 lunghi anni. Non ancora hai colmato la mia sete di sapere. Davanti ai miei occhi lucidi, un luogo che non mi appartiene. Una cultura lontana. Ho a lungo apprezzato il tuo tentativo di farmi sentire a casa. È questo il mio pensiero, mentre percorro il Ghetto Ebraico.

Le tue illustrazioni sono finite su giornali online come Bologna Today e Palermo Today, oltre ad essere stato intervistato in una trasmissione locale palermitana, Balarm. Hai addirittura all’attivo un’intervista sulla sezione Le Nuvole del Corriere della Sera, se ricordo bene. Come ci si sente a essere notato e apprezzato per la propria arte sia qui che nella tua Sicilia?

“Sicuramente è una cosa che ho accolto con estrema gioia e con immenso piacere. Il contesto sociale italiano in cui viviamo all’arte bada sempre meno, tanto quella dei grandi artisti come a quella degli emergenti, dalla pittura alla musica. Il che è un paradosso, dato che abbiamo una quantità sconfinata di arte di cui potremmo vivere. Questo è il motivo principale che mi spinge a gioire tanto quando vengo intervistato che quando mi scrivono persone comuni su Messenger o Instagram, che magari vivono lontani da queste due città, ai quali le mie illustrazioni hanno suscitato sensazioni ed emozioni.

Poi, Palermo e Bologna sono città diversissime. Disegnare Bologna è un altro modo per scoprirla e viverla, fare lo stesso con Palermo è un modo per ricordarla. Sono due mondi diversi, affascinanti a loro modo e in modo diverso. Vivendo qui e venendo da lì è come se fossi nomade in entrambe le realtà, perché nessuna delle due mi appartiene fino in fondo. Amo e odio entrambe, perché mi appartengono e non mi appartengono allo stesso modo. Bologna nello specifico è una cultura che non è la mia e che conosco decisamente meno, ma mi diverte giocarci”.

Dove sei? Mi chiedeva la sua voce al telefono. Consapevole che avrei potuto rispondere con il nome di qualsiasi via. Tanto non sarebbe cambiato nulla.C’erano molti chilometri a separarci. “Salgo la scalinata del Pincio” pensai, ma la mia risposta fu una singola e breve parola: “qui”. “Bella Bologna” ribatteva la voce allungando enormemente le distanze. “E come ti trovi?” A questa domanda si formulavano talmente tante possibili risposte nella mia mente che avrei potuto riempire la fontana della “moglie del gigante” con infinite parole. Ma ancora una volta, facendo un sospiro che si condensava sparendo verso l’alto, riuscii a pronunciare solo: “bene”, a voce rotta. Bloccai la chiamata. Non riuscivo più a dire nulla. I passi su ogni gradino rimbombavano spaccando in due il silenzio profondo di quel grande monumento. Non ci sentimmo mai più.

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