Musica & Libri

Cappadonia e le sue canzoni per adulti

17-03-2022

Di Matilde Pasqualin

Ugo Cappadonia, cantautore e chitarrista siciliano, che oggi vive a Bologna, scopre le carte nel suo nuovo album Canzoni per adulti: un viaggio nella dura verità dei nostri tempi, nella consapevolezza del brutto dell’umanità e del mondo, che non può che lasciare una sorta di amaro in bocca.

In questi anni di pandemia, in effetti, c’è poco spazio per la speranza. Cappadonia fa un’analisi lucida del momento storico che stiamo vivendo, intersecando l’universalità del sentimento di straniamento con storie personalissime e intensissime.

Ugo, del resto, non è un novellino della scena musicale indipendente italiana: ha infatti collaborato nel corso della sua carriera con i Sick Tamburo, Alosi, il Pan del Diavolo, Gli Avvoltoi. Nel 2016 pubblica il suo primo album Orecchie da elefante, al quale seguirà un tour di 50 date e la nomination per la Targa Tenco.

L’anno successivo, fonda insieme a Umberto Giardini la band Stella Maris, esperienza che si concluderà nel 2019. Così, di nuovo solista, esce il suo secondo album Corpo Minore, scritto e prodotto interamente da lui, che verrà accolto caldamente dalla critica. Si arriva così al suo terzo lavoro, Canzoni per adulti in uscita il 24 marzo, il quale viene preceduto da due singoli: La guerra è iniziata e Il nostro pesce rosso.

L’album sarà suonato in anteprima il 19 marzo al Covo Club.

Oggi, abbiamo avuto l’occasione di fare una chiacchierata con lui in cui abbiamo toccato diversi punti, passando dalle tematiche presenti nel suo disco, fino ad arrivare a riflessioni sul mondo che contorna le nostre vite. Buona lettura!

 

La guerra è iniziata si intitola il primo singolo estratto dall’album, e ora è iniziata davvero. Come vivi i momenti di crisi?

«La mia reazione è sforzarmi di cercare il bello anche quando sembra impossibile da trovare: mi rifugio nell’arte e nei libri. È l’unico modo che ho trovato per non perdere totalmente fiducia nel genere umano. Per questo la missione dell’arte è fondamentale, nonostante in questo paese sia considerata poco o nulla».

 

Il tuo disco parla di alcolismo, di malattie, di solitudine. Dimmi invece cosa ti rende felice.

«Leggere prima di tutto, poi il cinema, i dischi, l’arte in generale, mangiare, la Coca Cola, stare con le persone a cui voglio bene e giocare col mio cane».

 

Nel tuo disco si parla anche di attualità: centrali quindi sono gli umori legati alla pandemia e all’isolamento sociale. Come sarà secondo te il futuro mondo post-pandemico? E soprattutto, come (o se) saranno cambiate le persone?

«Credo che la pandemia abbia svelato la vera natura di ogni persona e scoperchiato una situazione già pessima prima della esplosione della pandemia. Il populismo, le destre, l’intero sistema sociale hanno lasciato macerie, barbarie, rabbia e ignoranza che adesso vengono fuori con tutta la loro spaventosa (almeno per me) violenza. Non vedo nulla di buono all’orizzonte. Bisogna ripartire dall’educazione interiore e culturale delle nuovissime generazioni».

 

I titoli dei pezzi di Canzoni per adulti sembrano avere una sorta di ciclicità. Come hai scelto l’ordine delle canzoni? 

«L’ordine lo scelgo sempre seguendo il senso musicale, soprattutto per questo disco registrato nell’arco di due anni trovare una giusta successione è stato un viaggio e, alla fine, il titolo del disco è arrivato dopo averle messe in ordine».

Ugo Cappadonia

Si parla spesso di quanto sia difficile crescere e di quanto, diventando adulti, le responsabilità aumentino di pari passo con i pensieri. Cosa invece ti rassicura dell’età adulta?

«Temo nulla. Soprattutto di questi tempi».

 

Per la mia generazione il rock è un genere molto lontano, che però in qualche modo è tornato grazie al successo dei Maneskin. Pensi possano dare il via al ritorno del rock? Come pensi si approccino le nuove generazioni a questo genere?

«Credo che il rock’n’roll non morirà mai. È una cosa ciclica, può andarsene in vacanza per un po’ ma prima o poi ci sarà sempre una chitarra elettrica che farà esplodere la testa e la fantasia di un ragazzino, e quando succede è una magia. Il rock, inoltre, ha una potenza sessuale che nessun altro genere possiede. Il rock’n’roll è sesso, è gioia, è trasgressione vera, non digitale, e purtroppo questi non sono tempi né gioiosi né trasgressivi.

Per quanto riguarda i Maneskin credo che ci sia solo da essere contenti. Non vedo lati negativi e di questa cosa ne potrebbe godere l’intera musica italiana in un modo o nell’altro. Se, come sta succedendo, le ragazzine a Natale hanno chiesto come regalo un basso Danelectro come quello di Victoria direi che è una cosa meravigliosa».

 

Nel corso della tua carriera hai collaborato con vari esponenti del panorama indipendente italiano come Il pan del diavolo (da cui sono usciti Motta e Alosi (che abbiamo intervistato), i Sick tamburo, Gli avvoltoi o Aura. Come ti sei evoluto da tournista a solista? 

«Faccio ancora entrambe le cose, e mi piacciono allo stesso modo. Anzi, quando suono per altri artisti me la godo ancora di più perché non ho tutta la tensione sulle mie spalle. Ho suonato basso e chitarra nel nuovo album di Alosi che uscirà più avanti e amo andare in tour con gente diversa. Come ho detto in diverse occasioni, devo il mio intero percorso da solista ad Alosi. Lui mi ha incoraggiato a trovare la mia strada e ha prodotto lui stesso il mio primo disco Orecchie da Elefante».

 

Ripensando alla tua carriera, c’è stato un momento in cui hai pensato “sono nel posto giusto al momento giusto”? Qual è stato il momento in cui ti sei reso conto che avresti fatto della musica la tua vita professionale?

«Di “momenti giusti al posto giusto” ce ne sono stati due. Il primo con gli Stella Maris, quando abbiamo concluso il tour nel 2018 sul palco del Milano Rocks subito prima dei Franz Ferdinand e The National. In quel momento credevo di aver creato qualcosa di veramente valido e in connessione con la gente, a prescindere da come poi è andata a finire.

Un altro momento è stato quando da solista ho suonato prima di Johnny Marr e nel pomeriggio sono stato a chiacchierare con lui e mi sono pure beccato dei complimenti. Grandi momenti. Invece mi sono reso conto che la musica sarebbe stata per sempre il mio lavoro durante i 4 anni che ho passato in tour come roadie de Il Pan Del Diavolo. Difficile una volta fatto questo immaginare una vita diversa. Anche se la sensazione di non avere una direzione – come dice Bob Dylan – c’è sempre».

 

Cosa rappresenta per te Bologna? Cosa continua ad attrarti di questa città dopo tanti anni? Quali sono i tuoi posti preferiti?

«È una città che amo e che mi ha fatto sentire a casa. Non so spiegare esattamente cosa mi attrae, è un qualcosa che forse può capire solo chi non è più riuscito ad andar via. Ho diversi posti preferiti in cui si respira l’arte, locali che sono vere e proprie seconde case portate avanti da amici e da persone straordinarie che non ti fanno mai sentire solo. Tra questi: Il Marsalino, Il Covo, il negozio di dischi Semm, il Juke Box e il Cortile Cafè».

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