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Ferite, cicatrici e cure nell’ultimo di Alosi: “è una fotografia di quello che sono stato”

21-05-2019

Di Beatrice Belletti

“Canzone dopo canzone si è creata una fotografia di me e della musica che volevo fare […] Mi propongo con un progetto nuovo, non è un secondo tempo” Alosi

Pietro Alessandro Alosi, cantautore e produttore palermitano, penna e voce del duo Il Pan del Diavolo con alle spalle una decade di discografia e collaborazioni del calibro di Motta, I Tre Allegri Ragazzi Morti, Zen Circus, Umg, Piero Pelù, torna sulle scene, questa volta con il suo primo disco solista, 1985, uscito ad aprile per Tempesta Dischi/Khalisa Dischi.

Abbiamo fatto due chiacchiere ad un tavolino del Covo Club, prima del live che ha segnato la quarta data del tour di presentazione di cui si dichiara contento. “Sono convinto che ci sia ancora tantissimo da fare e dire con questo live e questo disco”. Tour estivo in programma, con calendario aperto sul nazionale, aggiunge “nel festival non sei mai da solo, nonostante fossimo in chiusura di stagione ci piaceva l’idea di avere dei club con esclusive nostre in cui presentare l’album”.

Alosi al Covo regala un live potentissimo, con una carica elettrica e nervosa spiazzante, sul palco è accompagnato da Ugo Cappadonia, Luca Di Blasi, Emanuele Alosi, Nicola Manzan, Filippo La Marca, con tanto di incursione on stage di Gianluca Bartolo, l’altra metà del Diavolo, in un revival di FolkRockaBoom.

“1985 è un album che mi rispecchia, quando canto sento che le parole sono precisamente incollate alla mia personalità. Volevo dare sfogo alla mia creatività e seguire l’istinto”.

Il passaggio a solista comincia nel 2017, è stato un processo lungo quindi di scrittura e produzione fino al release, me lo racconti?

“Si dice che un buon album di esordio debba contenere almeno due anni di lavoro. E sono passati effettivamente due anni in cui ho lavorato brano per brano, non sapevo fin dall’inizio che sarebbe stato un album intero. Ho lavorato su tanti pezzi e ogni tre, quattro canzoni ne usciva una che mi rappresentava bene: Hotel, Comete, Di nuovo. Dopo tre mesi sono rientrato in studio e ho lavorato su altre canzoni: Destinazione Marte, 1985, Rumore, quindi l’ho presa con molta calma anche se con ritmo di lavoro giornaliero, volevo che tutto fosse il più profondo possibile. Bisognava essere pronti”.

È un album che ha un sentore nostalgico, di percorso, torni indietro e guardi… c’è più malinconia o speranza? E dove stai andando?

“È una fotografia di quello che sono stato, contiene malinconie, speranze, ferite, cicatrici, cure, pagine bianche e spazio mentale per fare… fare senza pregiudizi artistici di sorta, perché io ho sempre lavorato così e do il meglio quando mi muovo in questa direzione”.

Cosa intendi con “pregiudizi artistici”?

“Consistono in idee preformate, ad esempio nel dover fare un disco solista che suoni in una maniera piuttosto che in un’altra. Oppure il mercato va in una direzione e io dovrei fare così, oppure la gente si aspetta questo”.

Con 10 anni dei Pan del Diavolo alle spalle ed ora una nuova avventura, hai sentito questo genere di pressioni nella tua carriera?

“Eh sì.. abbiamo fatto quattro album e ogni volta è cambiata la sensazione, però ti posso dire che dopo tanti anni sei in uno spazio determinato, con un perimetro certo. Una personalità come la mia che ha voglia di fare, curiosare e sperimentare, aveva bisogno di muoversi oltre”.

Capita che management ed etichette abbiano la tendenza a dare un certo tipo di imposizione o direzione. Sei oggi nella condizione di poter dire “no, faccio quello che mi pare” o lo sei sempre stato?

“Tempesta è un’etichetta che prende solo progetti che fanno ciò che gli pare (ride) non c’è nessun management, c’è solo una discografia di album fuori dal comune. La firma di Tempesta sono sempre stati artisti non allineati con quello che succedeva nel panorama discografia italiana”.

E come si fa a stare nel mercato senza cedere ai dettami del mercato stesso?

“Le logiche di mercato non ti fanno fare il disco. È un percorso artistico, non c’è una logica che deve funzionare, il pezzo deve suonare bene, ma nessuno pensa a cambiare il suono perché questo pezzo deve andare in radio o meno. Questo è un pregio dal punto di vista di chi ha sempre fatto di testa sua”.

Si sbandiera una sorta di integrità artistica, “anche non volendo, è così, permette di fare dischi a chi non è sulle copertine dei giornali” mi dice Alosi, e aggiunge “non mi sento un tipo da copertina, mi nutro delle mie canzoni e spero che la gente lo possa fare più che della mia immagine”.

Produttore, autore, musicista, hai collaborato con grandi nomi che ci sono finiti sulle copertine dei giornali. Cosa hai preso e cosa ti è rimasto da quegli incontri?

“Tantissimo. Quando mi sono trasferito da Palermo a Pisa sono andato a dormire per più di un mese a casa di Francesco (Motta), poi giravamo con gli Zen e queste personalità si sono intrecciate mille volte poi ora non siamo più vicini come un tempo perché ognuno ha preso la sua strada. Dalla collaborazione con Piero Pelù ho preso spunto per fare un lavoro sulla mia voce, che fosse a fuoco sempre. Collaboro e imparo, mi piace avere a che fare con persone che hanno qualcosa da insegnarmi”.

Sei co-autore con Motta del brano Se continuiamo a correre che ha vinto il Premio Tenco nel 2015. Quanto conta il riconoscimento della critica? E si può ancora fare musica per sé e per i fan, piuttosto che per gli addetti ai lavori?

“Ora i fan sono un po’ anche addetti ai lavori. Penso che, per un certo genere musicale, oggi la critica sia anche un po’ maturata. Questo album sta ricevendo recensioni molto positive, a me fa piacere, anche perché le parole che ho letto sembrano essere molto approfondite, si dice che si sentono le emozioni”.

Se guardi indietro, le cose che volevi quando hai iniziato a suonare sono cambiate? Te le aspettavi diverse?

“Ho sempre fatto il mio percorso. Il mondo musicale è cambiato, io sono cambiato e quello che ho fatto con i Pan del Diavolo mi è più che bastato. Ho fatto cose che non mi ho mai pensato di fare, oppure le sognavo: suonare negli Stati Uniti era un sogno, fare tournée… neanche lo immaginavo, poi ho cambiato direzione e mi sento soddisfatto di quello che ho”.

Tra studio e dimensione del palco, quali sono i panni in cui ti senti più te stesso?

“Quando suono, quando scrivo, quando viaggio… La dimensione del suonare live mi appartiene al 100%”

Qual è l’errore che rifaresti ad occhi chiusi?

“Credo che la mia storia sia fatta di fortunati errori. Se tornassi indietro forse correggerei qualcosa”.

Alosi si dichiara “un tipo testardo”, che esorcizza le difficoltà scrivendo e suonando “quando funziona la catarsi”. Gli chiedo cosa lo fa ridere davvero, risponde “Mia figlia” e il futuro musicale potrebbe essere qualsiasi cosa, “devo sentirla, devo averla dentro, non la inseguirò necessariamente oppure cambierò e sceglierò di fare un disco jazz!”.

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