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Dentro le carceri, dentro la bellezza. Le donne negli scatti di Giampiero Corelli

15-06-2019

Di Claudia Palermo
Foto di Giampiero Corelli

“È importante creare un contatto tra ciò che avviene dentro il carcere e ciò che avviene fuori, avere una visione più ampia rispetto ad esso, perché il carcere è un luogo della città”. Sono queste le parole che Susanna Zaccaria, assessora alle Pari opportunità e differenze di genere, ha pronunciato alla conferenza stampa di presentazione della mostra fotografica La bellezza dentro, in cui è ritratta la realtà degli istituti carcerari femminili italiani attraverso gli scatti del fotografo Giampiero Corelli.

La mostra, che ha al centro le storie di detenute, di agenti della polizia penitenziaria, di addette alla sorveglianza, tutte donne accomunate dalla condivisione di un luogo difficile come quello del carcere, sarà inaugurata sabato 15 giugno alle 16 nella Manica Lunga di Palazzo d’Accursio, e sarà aperta al pubblico gratuitamente fino al 30 giugno, dalle 10 alle 12 e dalla 17 alle 19. I temi della mostra saranno approfonditi giovedì 20 giugno alle 17 nella tavola rotonda aperta al pubblico, Alla ricerca della bellezza dentro, in Sala Anziani a Palazzo d’Accurso.

È promossa dal Comune di Bologna e dall’Associazione Il Poggeschi Per Il Carcere che ha sposato il progetto di Giampiero Corelli, fotoreporter da più di trent’anni, che dal 2007 indaga sull’umanità di quasi tutte le case circondariali femminili in Italia, da Trento a Palermo, passando anche per la Dozza di Bologna. Durante le giornate della mostra i volontari dell’associazione presenti e a disposizione dei visitatori per approfondimenti e chiarimenti.

“Il mio è un lavoro che segue il filo delle donne e delle scelte di vita che non sempre sono volute e che possono portare in carcere – ha detto lo stesso Giampiero in conferenza stampa – La bellezza si può trovare anche dentro chi si trova ad affrontare esperienze estreme come quella della mancanza della libertà. Ho voluto cogliere le varie problematiche delle detenute, le loro divergenze e le similitudini, attraverso una quarantina di istantanee in bianco e nere, linguaggio unico ed efficace.

Ho visitato circa venti istituti e le differenze sono tantissime. Alla Dozza di Bologna sono già stato nel 2008, ho trovato un carcere pessimo con un clima tenebroso. Quest’anno sono ritornato e ho trovato dei miglioramenti, un clima più disteso, la palestra è tornata a funzionare. Possono sembrare cose banali, ma per le detenute sono dettagli importanti”.

Il fotoreporter ha raccontato anche il suo metodo di lavoro e l’approccio con le detenute: “Se è possibile, io organizzo una riunione con loro, parlo del progetto, spiego le mie intenzioni. Cerco di non creare un impatto invasivo. È chiaro che diverse donne non hanno voglia di farsi fotografare. Alcune di loro mi hanno chiamato per avere delle foto o parlare con me. Questo mi ha fatto tanto piacere”.

Il lavoro di Corelli, reso possibile grazie al Ministero di Giustizia, al Dipartimento dell’Amministrazione, alle varie case circondariali, ha incrociato per caso l’Associazione Il Poggeschi Per Il Carcere, realtà che si occupa di volontariato nelle prigioni per rompere la monotonia e l’inaridimento che la reclusione provoca ai detenuti attraverso attività ricreative. La mostra è un modo che l’Associazione ha adottato per far conoscere le carceri ai cittadini bolognesi attraverso il penetrante obiettivo fotografico di Giampiero Corelli, oltrepassando ogni stereotipo e invitando alla riflessione.

Francesca Tatoli, una dei volontari dell’Associazione, mi ha raccontato del loro lavoro e di come è nata la collaborazione con il fotografo. “Quest’anno il nostro tema è quello della bellezza in carcere, di cercare di trovare qualcosa di bello all’interno di una realtà complessa. Tramite alcune mostre di Giampiero Corelli all’interno della Regione Emilia-Romagna, abbiamo scoperto che stava trattando il nostro stesso tema. le sue foto mettono in evidenza gli istituti penitenziari femminili all’interno dei quali si trovano spesso anche madri con bambini e l’impatto in questo caso è molto forte.

Dal rapporto che noi instauriamo con il detenuto, un rapporto umano che spinge ad andare oltre l’apparenza, ai rapporti che si creano tra i detenuti stessi, che cercano di aiutarsi nei momenti difficili, emerge un mondo interiore ricco di bellezza . E se si viene a vedere la mostra, è possibile scoprirlo”.

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