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Cimini finisce con Bologna un tour di 80 concerti. “Sarà una festa”

07-12-2018

Di Mattia Pace
Foto di Giulia Fini

Portato alla ribalta dal successo di La legge di MurphyCimini è un calabrese trapiantato a Bologna che da circa un anno domina il mondo dell’indie.

In regia Garrincha Dischi (Lo Stato Sociale, Keaton…). Dopo un disco che ha raccolto consensi unanimi (Ancora Meglio) e una quasi partecipazione a Sanremo giovani, incontriamo Federico al Cortile Cafè, locale storico della musica dal vivo nel cuore del centro città.

È di casa, saluta tutti prima di sedersi con noi nel retro bottega e subito dopo iniziamo la nostra chiacchierata.

 

Partiamo dai concerti: l’8 dicembre sarai al Locomotiv di Bologna dopo una tranche autunnale di oltre 10 date in giro per l’Italia. Com’è suonare a casa? Ti senti più sotto pressione e con la “paura” di non deludere gli amici tra il pubblico o più coccolato dall’ambiente?

“Tutto questo percorso è partito il 9 marzo da Bologna, dal Locomotiv, esattamente dove andremo a chiudere. Quella sera avevo una paura assurda, ero timidissimo e quindi prevaleva il primo sentimento che hai descritto. Non ho sbagliato tanto, ma ero teso e non me la sono goduta molto. Adesso invece chiudiamo il percorso iniziato con questo disco, in mezzo ci sono state tante esperienze, abbiamo fatto circa 80 concerti da marzo a dicembre ed è stato terapeutico. Adesso chiudere a casa vuol dire sentirmi coccolato e fare una festa che mi godrò al massimo”.

Hai un approccio molto inclusivo al concerto, fai salire la gente sul palco, coinvolgi il pubblico e si vede che per te è un momento di celebrazione, di festa. Ti è venuto spontaneo fin da subito o è una cosa che hai sviluppato quando la gente ha iniziato a seguirti di più?

“Forse ambivo già dall’inizio a quel tipo di coinvolgimento, ma era qualcosa di inconscio. Poi mi sono reso conto che c’era un muro tra me e il pubblico, che aveva come unico luogo d’incontro la reciproca timidezza. Ma io mi sento uno di loro, uno dei ragazzi che condivide il mio messaggio, quindi durante il tour ho capito che esistevano varie modalità per entrare in contatto con il pubblico durante i concerti. Sono passato da farli salire sul palco a tuffarmi su di loro per fargli male (ride) e adesso invece preferisco scendere e ballare con loro. Ed è tanto bello quanto casuale, le reazioni cambiano e anche le canzoni sono vissute in maniera diversa tra una città e l’altra. L’importante è che non mi facciano le Stories di Instagram mentre scendo tra di loro, se no mi incazzo! Dobbiamo goderci il momento”.

Foto di Federico Cimini

Sembri essere molto attento a cosa succede attorno a te durante i concerti, quasi analitico. Ma te li godi lo stesso?

“Assolutamente, il concerto è uno scambio, una condivisione di emozioni con chi ha capito le tue canzoni ed è disposto addirittura a spendere dei soldi per cantarle insieme a te. Noi siamo una sorta di strumento per lo sfogo personale di chi viene a vederci”.

In un’intervista molto interessante hai citato i Queen al LiveAid e il primo Campovolo di Ligabue come concerti chiave per la tua crescita artistica. Sono anche per me due concerti importantissimi, di artisti che stimo profondamente. Sei riuscito a rubare qualcosa da due performer come Liga e Freddie Mercury?

“(ride) Mi piacerebbe! Hai fatto due esempi assurdi, pensavo al Live Aid pochi giorni fa e stasera andrò a vedere il film sui Queen…”.

Foto di Federico Cimini

Allora non ti dico che rimarrai deluso!

“(ride) no dai non mi dire così, non me lo smontare un’ora prima di andare al cinema! Quel concerto comunque, il Live Aid dei Queen, ti fa venire voglia di portare la grinta di Freddie Mercury a un pubblico così ampio, ma non tutti ne sono in grado con quella bravura. E anche Campovolo fu un concerto importantissimo. Scappai di casa per andare a vederlo e mia madre ancora me lo fa pesare. Chiaramente tutti mi fanno notare che scappare di casa per vedere Ligabue non è proprio un granchè…”.

Infatti volevo anche parlare di questo: Ligabue nel mondo indie italiano è praticamente il diavolo…

“Eh capita a tutti di sbagliare, anche al mondo indie italiano (ride…). Sono cresciuto con Ligabue e non me ne vergogno, problemi loro!”.

Tornando al tuo rapporto con il pubblico, un altro gesto bellissimo è stato la condivisione su Facebook degli accordi di Tokio, così che tutti potessero suonarla. È una cosa piccola, ma che fa capire che tipo di rapporto vuoi costruire con chi ti ascolta. Come ti è venuta quest’idea?

“Questa cosa mi è venuta perché, qualche ora dopo l’uscita di una nuova canzone c’erano sempre online testo e accordi, sempre con qualcosa di sbagliato o mancante. Allora mi è venuto in mente di farlo io, mi piaceva farlo in prima persona”.

Ero molto indeciso se parlare di questo o no, ma poi il tuo post su Facebook sull’esclusione da Sanremo giovani mi ha fatto pensare di poterlo fare. Cosa pensi di Sanremo e come stai vivendo quella che hai definito “bocciatura” da parte di un certo ambiente?

“Beh, è comunque stato bello arrivare tra i 69 finalisti su un totale di 1500 candidati. Eravamo fra i favoriti, ma poi c’è stata una scelta stilistica che ci ha penalizzati. Nel senso che hanno deciso di tenere fuori quella categoria indie che in questo caso avrei rappresentato io. Quindi niente di personale, certo ormai che ero in gioco volevo giocarmela… ma per il resto direi “sticazzi”, alla fine fa quasi più notizia e sei più figo se vieni bocciato che invece arrivarci e fare un flop in gara”.

E il mondo di Sanremo come ti è sembrato? C’è meritocrazia o si percepiscono piccole “deviazioni”?

“L’idea artistica a Sanremo si fonde con l’immagine, con l’idea televisiva. Si lavora sull’audience, su attirare quanto più pubblico possibile. Non è solo un concorso canoro, ma uno spettacolo televisivo. La meritocrazia c’è, ce la siamo giocata in maniera onesta ed equa e se ci sono “deviazioni” le sanno nascondere veramente bene”.

La canzone che hai presentato era scritta per l’occasione?

“No, la canzone è nata prima dell’idea Sanremo ed è rimasta praticamente intatta. Ho cambiato solo un paio di cose nel ritornello, ma tutto il resto l’avevo scritto in macchina a Bologna”.

Dopo l’album Ancora Meglio sono usciti Tokio e A14, due singoli importanti. Stai lavorando a un disco nuovo o ti stai indirizzando verso un piano discografico più a singoli?

“Ho già canzoni pronte che vorrei far ascoltare, sulle scelte discografiche preferisco affidarmi a Garrincha Dischi che ne sa sicuramente più di me. Dopo questo periodo però ho voglia di chiudermi un po’ a scrivere, in questo periodo è cambiata la mia vita personale oltre che artistica. Sento di aver perso anche un po’ di intimità con me stesso, quindi potranno uscire canzoni sparse ma da gennaio voglio chiudermi in studio e scrivere un disco, anche se non so ancora come o quando uscirà”.

Quando potremo sentire qualcosa di nuovo? Hai in programma altre date o ti fermerai per un po’ dopo il Loco?

“Per me con il Locomotiv si chiude un ciclo che è durato quasi un anno, da cui posso uscire a testa alta. È stato un periodo pienissimo, intenso, quindi ha senso rallentare un po’. Farò qualche apparizione sporadica in giro, qualche concerto anche in estate magari, ma adesso ho voglia di ragionare su qualcosa di nuovo e darmi il tempo di sviluppare nuove idee. Sto ascoltando tanta roba nuova, ad esempio Tame Impala, Phoenix… vorrei farmi aprire gli orizzonti da questi ascolti nuovi, non per forza per andare in quella direzione sonora ma per trovare strade meno battute”.

Ah, a proposito: dopo l’intervista c’è andato davvero al cinema, a vedere Bohemian Rhapsody. E il giorno dopo…

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