«L’energia del circo è come un ragazzo con la cazzimma che si diverte a rubare un frutto al supermercato e scappare via».
C’è un solo luogo dove Dante Alighieri può diventare il dirimpettaio di drag queen e compagno di pianerottolo di amministratori laureati in Italianistica del ‘400. Quel luogo è il condominio circense del Circo Paniko; il civico non è pervenuto, o meglio, è ambulante.
Il Circo Paniko è una delle prime e più numerose compagnie di circo contemporaneo nate in Italia. Nato nel 2009, fonde tecniche circensi, musica, teatro, danza e illusionismo. Il collettivo internazionale di artisti e liberi pensatori ha fatto del nomadismo e della democrazia un baluardo dell’intrattenimento.
Perché si definiscono un collettivo nomade? Perché il Circo Paniko si sviluppa privo di strutture gerarchiche, ha un’organizzazione interna orizzontale basata sul confronto, la delega e la decisione condivisa. Anche se una volta un monaco ortodosso li definì “Umanisti Improduttivi“.
Musica dal vivo, performance acrobatica e potenza attoriale sono espressione corali della “fanfara gitana” che si agita sotto il tendone, trascinando lo spettatore in mondi paralleli. Il Circo Paniko non riconosce i confini politici e ideologici, l’auto-sostentamento per mezzo del gradimento del pubblico è il motore propulsivo fondamentale di questo progetto.
Il biglietto, sostengono, non deve essere una barriera: l’ingresso è libero e l’uscita a offerta.
Dopo tanti anni di tournée internazionale che lo hanno tenuto lontano dai parchi cittadini, il Circo Paniko è tornato a Bologna, un omaggio alla città dov’è nato. Qui il circo è cresciuto, creando un dialogo importante con tantissime realtà del territorio, comprese le istituzioni cittadine, che ha permesso di creare l’evento Città di Circo, ad oggi considerato uno dei più grande Festival di Circo Contemporaneo mai svolti in Italia.
Dal 18 settembre al 1 novembre mette le tende al Parco di Villa Angeletti (ingresso da via Carracci) portando in scena tre spettacoli mai visti. Per scoprire la programmazione tenete d’occhio i loro canali, Instagram e Facebook.
Abbiamo fatto 10 domande per scoprire di più.
Lo scherzo più divertente dalle repliche degli show?
«A memoria, un momento veramente incredibile, è stato quando per fare uno scherzo a uno dei nostri performer/clown, i musicisti hanno deciso di alterare il ritmo del brano musicale del suo numero, su cui lui canta una canzone. Non riuscendo più a trovare il tempo giusto, e non riuscendo più a cantare bene la canzone, il suo contro scherzo immediato, è stato quello di spogliarsi completamente nudo e continuare la scena».
La catastrofe da legge di Murphy più memorabile e come ne siete usciti?
«In una scena di uno spettacolo avevamo uno dei nostri clown che si metteva addosso la carcassa di un vecchio contrabasso, e diventava l’uomo-contrabbasso. In scena suonava un vero contrabbasso, ed era un momento molto bello, ma non vedeva quasi niente.
Alla fine della scena entravano quindi due servi di scena per recuperare le varie cose dell’uomo contrabbasso, tra cui il contrabbasso “vero”. Purtroppo, per un piccolo momento di incomprensione, uno dei servi di scena entrò in ritardo, mentre l’uomo contrabbasso era convinto che fosse già entrato. Quello che successe, fu che l’uomo-contrabbasso lasciò di colpo il vero contrabbasso, che si schiantò al suolo.
La cosa esilarante, è che dopo il primo momento di “ghiaccio” totale, l’uomo contrabbasso si voltò verso il contrabbasso vero, e fu una scena memorabile, perché si vide la disperazione dell’uomo-contrabbasso per la rottura del vero contrabbasso. Portando tutto dietro le quinte, mentre lo spettacolo andava avanti, ci trovammo tutti in cerchio attorno al contrabbasso rotto, in un momento di cordoglio.
Il tutto venne risolto, in realtà, dal pubblico, che, uscendo dallo spettacolo, ci fece i complimenti per la scena del contrabbasso definendola “geniale” e chiedendoci come facevamo a replicarla ogni sera».
Quali sono i cliché sul circo più realistici, che più vi appartengono?
«Sicuramente il cliché e l’immagine che più ci appartiene è quella del mondo “gipsy”, siamo un collettivo numeroso composto da tante famiglie e da tanti individui, e l’immagine dell’accampamento ogni volta porta con sé il mondo gitano alle sue spalle».
L’imprevisto in scena che ha tirato fuori le vostre capacità di improvvisazione attoriale?
«Molto spesso ci sono imprevisti di scena, solitamente le scene più interessanti nascono dal momento in cui qualcuno dimentica un oggetto di scena e si presenta con un altro che non c’entra niente, o da input che lancia il pubblico, o da veri e propri piccoli incidenti di scena.
Il bello della scena è che a volte si riescono a risolvere, e a far quasi sembrare che siano parti della scena stessa, ma altre volte invece no. In uno degli spettacoli del circo, chiamato Gran paniko al bazar, molte scene si svolgevano attorno a una porta bianca che si apriva e chiudeva, facendo entrare e uscire svariati personaggi.
Durante una replica la porta si scardinò e per quanto provassimo, non visti dal pubblico, tentavamo di rimetterla in sesto. Non riuscendoci nella scena in cui tutta la banda musicale doveva entrare assieme dalla porta, la trombonista decise di fare la prima nota super forte, e tirando un calcio fortissimo sradicò del tutto la porta facendola andare a terra e seguita da tutta la banda entrò a gran carica, creando una scena di forte impatto, addirittura migliore dell’originale».
La reazione del pubblico che più vi ha scaldato il cuore?
«In vari modi il pubblico ci scalda il cuore, dalle volte in cui ci regala vere e proprie standing ovation, in cui tutti si alzano, e in cui a quel punto noi ci sediamo, alle numerose volte in cui le persone ci portano in accampamento doni e regali (vino, prodotti locali, dolci fatti in casa), per passare un momento di scambio assieme aldilà dello spettacolo. Spesso ci capita anche di ricevere messaggi bellissimi di persone rimaste affascinate dal nostro mondo, e che ci riempiono il cuore di gioia e orgoglio per ciò che facciamo».
Un aneddoto a scelta dagli esordi?
«Andando verso Timisoara, in Romania, dopo un viaggio estenuante con poche pause, al momento dell’arrivo, proprio appena avvistato il cartello di ingresso a Timisoara, alle 4 di notte, uno dei mezzi della carovana si è fermato, perché ci si era scordati di fargli benzina.
Non avendo benzinai vicini, si è legato il camion, detto Gran Bazza, al carrello del circo, che a sua volta era attaccato a un altro camion. Con questo simpatico serpentone di mezzi siamo ripartiti, e alla prima rotonda, nel nulla più assoluto, si è chiaramente incontrata una pattuglia della polizia.
A quel punto, in uno scambio di sguardi tra noi e loro, degno dei film western di Sergio Leone, hanno dovuto prendere una decisione. Per nostra fortuna, scuotendo la testa increduli, si sono guardati e hanno fatto dietrofront, della serie meglio non aver visto niente».
Il momento più esilarante per voi?
«Un momento veramente esilarante che ha corrisposto però anche a un infortunio, su cui però ridiamo tutt’oggi serenamente sopra, è stato il momento del fenicottero.
Nel corso di uno spettacolo a Cagliari, uno dei musicisti entrava vestito con una tutina integrale rosa e faceva finta di essere un fenicottero, schivava vari ostacoli che gli creavano gli attori in scena, nel corso di una scena a rallenty.
Evitando uno di questi ostacoli (sottolineo a rallentatore), al nostro musico fenicottero uscì una spalla, e contemporaneamente non vedendo molto bene con la tuta integrale si schiantò contro un attrezzo di scena, crollando per terra.
L’ultima cosa che il pubblico vide della scena del fenicottero fu lo stesso, trascinato fuori di scena da una gamba da un’altra persona. La scena fu incredibilmente realistica. E mentre lo spettacolo andava avanti, nel dietro le quinte ambulanza e simpatia. All’oggi il nostro musico è guarito e vive una vita meravigliosa fatta di surf e concerti».
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