Immaginate per un attimo che tutto ciò che vi sta attorno abbia perso i colori. Non riuscite più a riconoscere il posto in cui avete sempre abitato, i giornali che leggete abitualmente, i vostri vestiti, le posate con cui mangiate, le foto dei vostri cari. La vostra vita è diventata improvvisamente un ricordo incolore. Vi muovete a fatica in un mondo grigio, chiedendovi perché è successo di nuovo.
Non andate troppo avanti con la fantasia. Non state leggendo un romanzo distopico del vostro autore preferito. Se vivete a Bologna, stiamo parlando della realtà, che vi ha sopraffatto, come una slavina incontenibile, la notte del 19 ottobre.
Mattia Valentini, fotografo originario di Sarzana, si trova in una delle zone più colpite. Fortunatamente abita al 4 piano. Vede quello che succede per strada e il giorno dopo, alle 7 del mattino, è tra i primi a scendere di casa per dare una mano. Si rimbocca le maniche e mentre spala il fango dalle abitazioni del suo quartiere, inizia a scattare le prime immagini, con discrezione. Ancora non lo sa ma da queste foto nascerà il progetto “Esondiamo” che diventerà una mostra open air e site specific perchè la location non è un luogo chiuso, una galleria o un locale, ma la strada, anzi le strade: via Andrea Costa 70 e 89 all’altezza della Chiesa di San Paolo del Ravone e via Brizio 2,4 e 6 , ovvero le zone più colpite del suo quartiere. Le immagini sono tutt’ora appese sui muri delle abitazioni e della parrocchia. L’esposizione è visitabile fino al 10 dicembre. Basta una passeggiata per non dimenticare che la vita di alcune persone di Bologna è cambiata in una notte. Quella in cui sono caduti 175 mm di pioggia, l’acqua di due mesi.
E siccome in Romagna, a un anno dall’alluvione, c’è gente che, a fronte di danni per 100 mila euro, ne ha ricevuti dallo Stato 30000, Mattia, nel suo piccolo, decide di contribuire. Insieme a un ragazzo conosciuto in mezzo al fango che si è rivelato un esperto di siti internet e che in breve tempo gli crea una piattaforma online, inizia a vendere le sue immagini dell’allagamento a un minimo di 20 euro l’una. Inutile dire che tutti i proventi andranno direttamente alle persone alluvionate. Se volete dare un vostro piccolo contributo, trovate la pagina per l’acquisto delle foto qui.
In Emilia-Romagna otto fiumi erano sopra il livello di massima allerta.
A Bologna il Ravone, interrato e tombato, scorreva come sempre sotto buona parte della città. Quando l’acqua è scesa dalle colline di San Mamolo, il fiume non ha retto.
Mattia freme per dirmi cos’è successo, il suo racconto è frenetico. Troppe cose, troppe parole. Si trova nella sua casa, in via Brizio 6. Sono le 21:30 e sta guardando un film quando nel palazzo vicino il torrente fuoriesce.
“Il fiume passa qui vicino, ma nessuno sa esattamente dove perché è stato tombato negli anni ’60. L’abbiamo scoperto quella notte, quando, nel cortile dietro casa, è letteralmente esploso dal cemento”.
Il giardino dei civici 2 e 4 di via Brizio diventa una piscina e lui vede tutto dalla finestra. Fatica a credere ai suoi occhi. L’acqua inizia a seguire i movimenti di un vortice che ingloba tutto, auto comprese. Sembra un’enorme turbina grande 7 metri. La sua coinquilina rientra pochi minuti prima che la massa liquida deflagri sotto casa.
La mattina seguente Mattia e tutti gli abitanti della zona devono affrontare le conseguenze di un disastro annunciato. Chi abita al pianterreno perde tutto.
Ogni cosa è sommersa da un metro e mezzo di fango.
L’argilla scende dalle colline di San Mamolo raccogliendo i detriti che trova lungo la strada e si mescola ai liquidi fognari. In alcuni punti l’acqua entra nelle abitazioni sfondando le finestre, in altri risale dalle viscere del sottosuolo. La pressione nelle tubazioni non regge e il fango fuoriesce anche dai water.
“Una coppia di giovani filippini, arrivati in Italia da appena due mesi, e la loro bambina, nata settimana prima dell’alluvione, sono usciti di casa nuotando”, commenta Mattia.
Tutto ha inizio alle nove e mezza di quel maledetto sabato sera. Poi aggiunge: “è stata una fortuna. Non voglio immaginare cosa sarebbe successo se fossero state le tre di notte. Molte persone non si sarebbero accorte e sarebbero annegate” .
“La mattina siamo usciti a spalare e ci siamo ritrovati letteralmente soli”, ricorda.
Agli abitanti del quartiere però si aggiungono presto i primi volontari e successivamente gli scout della parrocchia di San Paolo del Ravone. Sono tutti giovanissimi e nessuno ha chiesto loro una mano.
Dopo qualche giorno arrivano anche i ragazzi di PLAT, una piattaforma di intervento sociale, fisica e non virtuale, nata nel 2020 per battersi su tematiche quali la giustizia climatica, il salario e le politiche abitative.
I ragazzi di PLAT hanno esperienza e fortunatamente portano con sè pale e attrezzi che mancano sul posto. San Paolo del Ravone diventa il loro quartier generale e un centro di smistamento per i volontari.
“La protezione civile è arrivata dopo, domandavano a noi dove intervenire”.
In questo tipo di situazioni dove devi confrontarti con situazioni nuove e drammatiche, e l’unione fa la forza più che un detto è un insegnamento consolidato, possono stringersi legami molto più velocemente del solito.
Mattia mi racconta che nel suo palazzo ci sono alcune persone che non aveva mai visto prima dell’alluvione e altre con cui non si salutavamo quando si incrociavamo fuori per strada. Solo un paio di giorni dopo lo avrebbero fermato per offrirgli un pezzo di torta o invitarlo a casa.
“Quella notte ho messo in carica le batterie della macchina fotografica, e il giorno dopo me la sono portata dietro. Non sapevo se e quando l’avrei usata, ma ero certo che si sarebbe ricoperta di fango. Ho provato a coprirla con un sacchetto di plastica, ma non è servito molto. Fin da subito mi sono posto un dubbio etico: se usarla o no”.
Era giusto riprendere le persone che lavoravano senza sosta nella speranza di recuperare i frammenti di una quotidianità sepolta nel fango?
“Non volevo fare come gli inviati dei giornali che arrivano, scattano e vanno via. Essendo coinvolto in prima persona, mi sembrava giusto fare qualcosa per loro”.
Il dubbio si scioglie quando sono le persone stesse a chiedergli di essere riprese, di avere una testimonianza dall’interno. In fin dei conti lui è uno di loro. È lì con loro a spalare.
“Avevano capito che c’era bisogno di una narrazione diversa. Ho cercato inquadrature che mi permettessero di raccontare simbolicamente e metaforicamente questa tragedia. Mi sono sentito responsabile di questa rappresentazione visiva“.
Uomini e donne cercavano, spalavano, pulivano, eppure trovavano il tempo di dirmi: guarda che lì c’è una situazione da riprendere o vieni qui che abbiamo trovato questo”.
Mattia mi racconta che la mostra che è scaturita da questa…vorrei chiamarla collaborazione, l’hanno cercata i volontari. Volevano che le persone, passando di fronte alle loro case e ai loro negozi, semplicemente, ricordassero.
L’esposizione è costata 150 euro. Sono loro che l’hanno finanziata. È stata stampata su carta blue back, un materiale a basso costo che resiste a pioggia e brutto tempo.
Esondiamo è il titolo che Mattia ha scelto per la sua esposizione. Mi racconta che l’ha fatto dopo essersi accorto che anche Boccaccio lo aveva utilizzato. Rimanda a un doppio significato che guarda caso rispecchia le due anime del suo progetto. Perché se da un lato ci fa subito pensare allo straripamento di un fiume, dall’altro richiama metaforicamente la fuoriuscita dei sentimenti e nel nostro caso rimanda a quell’energia che sprigionano le persone quando stanno insieme per aiutarsi.
L’inaugurazione della mostra ha coinciso con una grande festa di beneficienza che ha contato la presenza di ben 10000 persone.
“Quando mi hanno chiesto di esporre le mie foto durante questa serata, ho pensato subito alla possibilità di appendere le immagini alle pareti esterne delle case alluvionate”.
Durante l’alluvione, io ero in vacanza in Marocco. Anche lì ha piovuto tantissimo, cosa che non succede praticamente mai. Ha piovuto così tanto che si è allagato il deserto. Molti marocchini hanno accolto questa notizia andando a festeggiare. Ho sempre pensato che l’acqua è la vita. Ma la vita non sempre coincide con l’acqua, nonostante sia essenziale per la nostra sopravvivenza e costituisca il 60% del nostro corpo.
Ci disseta, la usiamo per cucinare, per pulirci, per coltivare. Non potremmo vivere senza. Ma cosa succede quando è troppa? Quando si ribella contro l’antropizzazione del pianeta? Quando non riesce più a seguire le stagionalità? Fa di testa sua. E il suo disappunto ha conseguenze catastrofiche.
Nella notte del 19 ottobre, l’acqua si è unita ai compagni che ha trovato lungo il viaggio. È uscita dai suoi confini abituali e insieme ad argilla e detriti, si è fatta inarrestabile. È scesa nelle piazze e nelle vie per protestare. Ha preso potere e ha dettato le sue leggi.
Quelle a cui prima o poi si dovranno piegare anche le istituzioni.
“Mattia, se questo governo continua a pensare ai migranti, senza cercare di fare prevenzione e arginare i danni di una crisi climatica che è già sotto gli occhi di tutti, si verificherà il paradosso per cui i migranti, che sono già chiamati climatici, saremo proprio noi. Il flusso dagli altri continenti verso l’Italia cambierà direzione e a breve potrebbe essere dall’Italia verso altri Paesi” gli dico io.
“Sta già succedendo. In Romagna c’è gente che ha visto la propria casa, appena ristrutturata, completamente distrutta dall’alluvione e ora vuole andarsene via” risponde lui.
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