Cifra tonda per il Fruit Exhibition, il festival e market internazionale dell’editoria d’arte indipendente, che, dopo ben dieci anni, arriva alla sua nuova e ultima edizione in programma dal 30 settembre al 2 ottobre in uno spazio giovane e di rigenerazione urbana come il Dumbo. Sono tanti i motivi per cui non bisogna perdersi questa edizione, e sono tanti quelli per cui non dovrebbe giungere al termine una manifestazione così proficua. Ma sarà davvero l’ultimo Fruit? O arriverà un erede degno e coraggioso in grado di prendere le redini di uno dei festival più interessanti e rinomati della scena artistica bolognese? Ci auguriamo vivamente che sia così.
Intanto Anna Ferraro, fondatrice e direttrice del Fruit, ci ha raccontato le novità di quest’ultima edizione che già si preannuncia promettente e ricca di scambi, nella sua forma originaria di tre giorni, dopo due lunghi anni di pandemia che hanno strozzato l’anima della festa.
Ciao Anna! Quali sono i punti focali di quest’anno, sappiamo che ci sono due tematiche a caratterizzare il Fruit 2022.
«Da qualche anno a questa parte, abbiamo deciso di focalizzarci su uno o più argomenti specifici. In questa edizione i focus sono due: uno sull’editoria di viaggio, curato da Chiara Capodici, book designer e fondatrice della libreria romana Leporello, e uno sul disegno, ad opera di Cinzia Ascari, curatrice di Modena, e Andrea LoSavio, gallerista anche lui modenese. Entrambi i due focus sono composti da una serie di talk con degli ospiti che tratteranno i due temi. Riguardo al viaggio ci sarà anche una piccola mostra di Francesca Crisafulli, mentre sul disegno, il venerdì alle 22.30, ci sarà un concerto disegnato da Stefano Ricci, accompagnato da altri dieci disegnatori, sulle note del contrabbassista Giacomo Piermatti».
Quali sono le novità di quest’anno?
«Intanto siamo finalmente tornati alla struttura tradizionale del festival, e, dopo due anni di pandemia, direi che è una bella novità! Sarà infatti un festival di tre giorni, in presenza e in uno spazio al chiuso. Nel 2020 siamo stati costretti a fare un’edizione virtuale, mentre nel 2021 abbiamo organizzato una versione del Fruit all’aperto con un solo giorno di market. Venerdì invece torneremo al festival così com’è stato conosciuto prima della pandemia. Un’altra novità è sicuramente la scelta di uno spazio di archeologia industriale come il DumBo. Fino al 2019 i nostri luoghi sono stati palazzi storici del centro storico di Bologna, quindi quest’edizione esteticamente ha un sapore molto diverso».
Un sapore di rigenerazione urbana attraverso la creatività…
«Esatto, questo spazio ha come valore aggiunto il suo essere frutto di un’operazione di rigenerazione del territorio dopo uno stato di abbandono. Anche noi, con il nostro festival, contribuiamo a questa rigenerazione».
Quest’anno cifra tonda, ma ci traumatizzate con la notizia dell’ultime edizione. È davvero così o dobbiamo aspettarci non una fine ma un’evoluzione?
«Non è un falso annuncio, non credo che possano esserci dei cambiamenti talmente importanti e decisivi da far ribaltare questo esito».
C’è un motivo ben preciso per questa fine?
«I motivi sono molteplici, vanno dalle situazioni più personali di noi organizzatori a una situazione di cambiamento di contesto. Oggi non pensiamo che ci possano essere delle condizioni che ci permettano di affrontare una progettualità a lungo termine, gli investimenti economici sono sempre più importanti e ci hanno esposto a dei rischi rilevanti facendoci oltrepassare il limite. Io spero che qualche coraggioso decida di raccogliere il testimone, se qualcuno si facesse avanti saremmo felici!».
Gli espositori sono tantissimi quest’anno, c’è un criterio attraverso il quale sono stati selezionati tra le varie richieste di partecipazione?
«Per quanto riguarda il numero, ci atteniamo sempre allo spazio che ci ospita, ovviamente ci sono dei limiti fisici da rispettare. Sulla tipologia degli artisti, cerchiamo di mettere da parte i nostri gusti personali per offrire la maggiore eterogeneità possibile rimanendo sulla distribuzione indipendente, che è quella che noi promuoviamo, e badiamo che ci sia un contenuto in linea con il nostro pubblico: non ha senso accettare degli espositori che propongono dei progetti con contenuti letterari senza una componente visiva perché sappiamo bene che il nostro non è il pubblico che li acquisterebbe, non avrebbe senso far pagare uno stand a un editore che produce edizioni che non venderebbero, nell’interesse dell’editore stesso. Infine guardiamo che negli artisti ci siano una maturità e delle scelte consapevoli dal punto di vista del design, anche se si tratta di un artista agli inizi».
Condividi questo articolo