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Il Future Film Festival guarda al retrofuturo, tra proiezioni, talk ed eventi. Intervista a Giulietta Fara

16-09-2022

Di Lucia Bertoldini

Il 21 settembre arriva a Bologna il Future Film Festival, il primo festival cinematografico italiano d’animazione e media arts. Il tema di quest’anno sarà il retrofuturo, ossia il futuro visto nell’immaginario del passato.

Il festival, alla sua 22esima edizione, si svolgerà fino al 25 settembre a Bologna e dal 30 al 2 ottobre a Modena.

Vari gli appuntamenti da non perdere: proiezioni di opere di provenienza internazionale, la serie di sette talks Insert Coin su tematiche come la palette di colori nei film di fantascienza e le musiche elettroniche scelte da Joe Isaishi per i film di Hayao Miyazaki. Non solo, ma anche laboratori per bambini ed eventi come la Future Videogames Hackathon del 1 ottobre, una competizione tra sviluppatori di videogiochi.

Per entrare in questo mondo ai confini del reale, abbiamo fatto due chiacchiere con Giulietta Fara, direttrice artistica del festival.

Leiji Matsumoto – Danguard

Il retrofuturo: come mai questo tema?

«Quando si parla di animazione, VFX (effetti speciali) e futuro, spesso si parla di fantascienza. Era necessario partire dalla fantascienza fondativa per la mia generazione, prodotta tra gli anni 70/80, quella che propone visioni tra il distopico e l’ingenuo di un futuro che ormai è diventato presente. Si celebrerà il 40esimo compleanno di Blade Runner (1982), ambientato nella Los Angeles del 2019, ma anche la fantascienza italiana con Starcrash di Luigi Cozzi (1978), all’epoca definito “lo Star Wars italiano”. I film in concorso non seguiranno necessariamente il filone del retrofuturo, tranne nel caso di film come Battle Cry (2021). Il focus del concorso è infatti quello di esplorare il mezzo dell’animazione come strumento espressivo artistico e non solo come linguaggio per bambini».

 

Il Future Film Festival è stato fondato nel 1999. Cos’è cambiato dal 1999 al 2022 nei film d’animazione, soprattutto in relazione allo sviluppo di nuove tecnologie?

«Nel 1999 l’animazione a computer in 3D era al suo apice (infatti, Toy story è del 1995). Oggi vengono prodotti meno film in CGI (Computer Generated Imagery), e ormai questa categoria di opere appartiene allo status quo. La vera novità di questi anni è il ritorno dell’animazione tradizionale più antica (disegni animati e stop-motion) o di quella a computer in 2D».

Starcrash

Siete partiti con Bologna e dal 2021 avete aggiunto Modena. Perché Bologna è stata scelta come sede iniziale? C’è un legame particolare del cinema d’animazione e della creatività con questa città?

«Bologna è stata scelta perché a Bologna c’è il DAMS. Io personalmente facevo Arti Visive e trovavo una grande comunanza di visioni tra l’arte contemporanea e il cinema d’animazione. Non solo, ma la Cineteca di Bologna è molto ricettiva rispetto alle proposte e alle novità. L’aggiunta di Modena invece è correlata alla sua candidatura, poi vinta, di città creativa UNESCO 2021 per le Media Arts. Con la pandemia e il successo di piattaforme streaming che diffondono la cultura cinematografica e visiva, c’è stata la necessità di allargarsi e innovarsi».

INU-OH

Dallo spettatore allo spett-attore, uno spettatore che interagisce con i contenuti. Com’è cambiata questa figura nel corso degli anni?

«Innanzitutto, l’arrivo delle piattaforme ha reso lo spettatore interattivo proprio per la possibilità di scelta rispetto a quando vedere cosa, siano essi film recenti o datati. In secondo luogo, l’arrivo dell’AR/VR e di forme ibride di racconto, che lo spettatore deve terminare, ha permesso allo spettatore di diventare ancora più protagonista dell’esperienza audiovisiva.

Quest’anno presenteremo in anteprima assoluta il complex scope, un nuovo sistema di visione ideato da Mariano Equizzi. Si tratta della visione di sette cortometraggi in cui i personaggi indossano delle magliette con dei QR-code. Quindi, verrà chiesto agli spett-attori di non spegnere il telefono al cinema: infatti, tramite i QR-code ognuno potrà entrare in un altro livello narrativo, nel quale saranno nascosti degli Easter Egg, contenuti che rimandano al mondo del gaming”.

Home Is Somewhere Else

In quest’industria creativa in costante sviluppo, qual è il ruolo dei bambini?

«Innanzitutto, è importante ricordare che non dobbiamo considerare il contenuto per bambini come qualcosa di basso livello. Al contrario, bisognerebbe pretendere dalle produzioni internazionali una qualità superiore rispetto ai contenuti per adulti. I bambini hanno bisogno anche di un’educazione audiovisiva, quella che proviamo a fare con i laboratori. Voglio citare il pedagogista ed educatore Mario Lodi, che ha fondato la Casa delle Arti e del Gioco. Data la sua recente scomparsa, a lui dedichiamo quest’anno la Carta Bianca di Mario Lodi per i 100 anni della sua nascita. Il suo credo era quello di mettere in mano ai bambini gli strumenti per fare e creare. Nel 2003, ho collaborato con lui per i laboratori “FareTV”: l’obiettivo era quello di portare i bambini non davanti allo schermo ma dietro allo schermo. È importante che possano mettere le mani in pasta, creando dei pupazzi per poi animarli e costruendo scenografie con il green screen».

 

Un aspetto che esalta l’animazione rispetto al cinema tradizionale live action?

«Il fantastico. Gli effetti visivi all’interno di un film, sia quelli tradizionali alla Méliès sia quelli digitali, sono un’iniezione di fantastico, dell’impossibile all’interno del possibile. Su temi storico-politici crudi come la guerra, l’animazione rappresenta una “mano gentile” che racconta in modo più delicato situazioni molto dure: quest’anno, Red Jungle (2022) fa parte di questo filone».

Red Jungle

Ci sono differenze culturali nel cinema d’animazione?

«Le differenze di disegno sono molto evidenti: un film asiatico è disegnato con colori e tecniche molto diverse rispetto a uno occidentale. A volte, anche le tematiche variano. Il film cinese I am what I am (2021) è stato molto criticato in patria perché presenta dei personaggi con gli occhi a mandorla, tratti tipicamente asiatici, alla tradizione degli anime. Inoltre, si distanza dall’animazione asiatica, avvicinandosi invece ai tradizionali film live action cinesi».

 

Come immagini questo festival tra 10 anni?

«Vedo un festival sempre più diffuso, sia online su varie piattaforme sia in varie città. Noi quest’anno abbiamo scelto di stare su Mymovies, il che non significa togliere spettatori alla sala. La sala tra 10 anni sarà fortemente integrata con gli strumenti delle piattaforme, le opere audiovisive saranno più brevi e frammentate. La sala e la piattaforma online possono coesistere, ma andare al cinema deve essere un’emozione, un’esperienza collettiva unica. Diversa dallo stare sul divano e vedersi un film al computer».

Scopri il programma completo su futurefilmfestival.it

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