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Husky Loops nella colonna sonora di Fifa 19. La band bolognese arriva da Londra per il live show di Capodanno

30-12-2018

Di Beatrice Belletti

Dopo essere stati in tour con i Placebo nel 2017, la loro Everytime I Run è entrata nel soundtrack di Fifa 19, insieme ad un altro artista italiano, Ghali.

Il trio di origine bolognese Husky Loops, composto da Pier Danio Forni, Tommaso Medica (basso) e Pietro Garrone (batteria), è in arrivo da Londra per salire sul palco del Covo Club, il 31 dicembre.

La band si è formata nel Regno Unito e Spool è il terzo Ep, uscito con 30th Century Records ad ottobre 2018. Reduci dalla data americana, Danio è su un treno di ritorno da uno studio di registrazione con Joy Anonymous, Pietro è ad Hackey, East London davanti al computer con dieci file di photoshop aperti allo stesso momento e un Lemsip fumante (brand anglosassone per il sollievo dai sintomi influenzali) mentre Tommaso è già a Bologna che aspetta i tortellini a tavola.

“Al giorno d’oggi quello che conta è sapere esattamente chi sei, e fare quello che ti piace lavorando sodo. Se non credi in te stesso, chi altro lo farà?”, mi dice Pier Danio Forni.

Li ho intercettati per una chiacchierata in vista dell’imminente live show di Capodanno nella città natia.

Partiamo da una passeggiata sul viale dei ricordi, “molto prima di realizzare chi fossimo e cosa fosse Husky Loops”. A loro detta non avevano una visione chiara in mente.

I ragazzi bolognesi sbarcano a Londra con progetti diversi, Danio per lavorare nel mondo della musica e studiare all’Università, per Pietro, formato nella progettazione grafica, “la musica è sempre stata una componente della pratica artistica sia come musicista che come designer” e Tommaso dice “ho l’obbiettivo di suonare in una band sin da quando ero bambino”.

Londra può sembrare il Santo Graal, ma è una città difficile, affiancata da infinite opportunità c’è una competizione feroce. Come vi siete mossi per emergere?

P: “Più che emergere, ci siamo fatti crescere le branchie!”.

D: “Onestamente, lavorando duro e facendo quello che ci piace. E se non sai spiegare la tua arte a te stesso, nessuno la capirà”. 

T: “Direi che l’identità di questo progetto è sbocciata proprio quando abbiamo iniziato a concentrarci per tirar fuori un prodotto di cui essere fieri al 100%, con una solida identità. Penso che sia stata la svolta per noi, trovare la giusta mentalità”.

Latitude Festival

Il 2017 è stato un anno decisivo per la vostra carriera, tra i vari tour e l’occasione di suonare con icone come i Placebo. Come vi ha cambiati artisticamente e personalmente?

D: “Io mi sono reso conto che la nostra musica funziona molto meglio in spazi grandi e davanti a molte persone, questo ha influenzato molto i miei nuovi arrangiamenti”.

T: “È stata un’esperienza abbastanza allucinante. Abbiamo imparato moltissimo seguendo i Placebo in tour osservando come si gestisce un concerto a quei livelli. Ha sicuramente fatto crescere la nostra sicurezza come gruppo dal vivo”.

P: “Suonare una grancassa amplificata in un locale pieno di 6000 persone mi ha reso una persona migliore!”.

All’interno di Spool è presente la traccia Everytime I Run, già nel soundtrack di Fifa 19, e una menzione speciale va alla collaborazione con Rankin, mostro sacro dell’editoria underground londinese e fotografo di fama internazionale, che ha utilizzato il brano Tempo per il progetto visual coreografo ad hoc dal ballerino Sergei Polunin. Come hanno influito questi riconoscimenti sulla vostra carriera?

T: “Fifa è stata la cosa che ci ha guadagnato più rispetto dall’Italia, amici di amici di amici ci contattavano stupefatti e mandavano video di partite con Everytime I Run di sottofondo. Una figata essere associati a Childish Gambino e i Gorillaz, e vedere gente che si appassiona alla nostra musica provenendo da un ambiente che non è necessariamente il nostro solito”.

Pietro aggiunge che “la musica se non è ascoltata non esiste”.

D: “L’unica maniera con cui posso spiegare questi successi è dicendo a me stesso che scrivo e faccio quello in cui credo. Quello che conta davvero, almeno parlo per me, è piacere al pubblico. Questo pensiero non modificherà la mia visione, quello è il successo vero”.

In Italia sembra esserci la tendenza generale a fare le cose al contrario, uscendo subito con Lp da 12 tracce, in Uk non è così, più veloce e vorace. Sulla vostra pagina di Spotify si trovano parecchi singoli e il terzo mini progetto da quattro tracce. È una scelta strategica?

D: “Mi ripeto, quello che conta è farsi il culo (Excuse my french) ed essere onesti con se stessi. Il resto arriva e conta solo se sei al top. Se fai robetta in cui credi poco, don’t bother! Do what you like”.

T: “Il mondo in cui viviamo ascolta per lo più musica su playlist e con veramente poca pazienza, quindi siccome ci interessa pubblicare materiale che venga ascoltato con attenzione e colpisca gli ascoltatori, finora abbiamo ritenuto più efficace pubblicare Ep, cosi da essere il più diretti possibile”. 

P: “L’industria ovviamente influenza. Parlare di strategia nell’industria musicale in cui siamo è come parlare di un ring con 100 boxers tutti ubriachi. Non c’è il ‘metodo’ o meglio ci sono metodi ma non è affatto detto funzionino”.

Foto di @clarebritt

Nel vostro sound si sentono molte influenze diverse, funk, industrial, con mood da montagne russe, da un cheerful indie pop a pezzi decisamente carichi emotivamente come Dead. La sperimentazione e le fratture sembrano essere un tratto distintivo. Qual è il filo conduttore della vostra identità sonora e cosa vi motiva/influenza nel processo di creazione? 

D: “Bella domanda. Noi cerchiamo sempre di creare la musica che vorremmo ascoltare, diciamo che per me ‘fallire’ è creare qualcosa che non ascolterei mai. Questo modo di vedere la tua arte ti porta ad aprirti molto a diversi generi e includere tutto quello che ti circonda, questo credo sia il motivo per la quale la nostra musica suona così varia. Vorrei fare qualcosa che sia unico per Husky Loops. Il filo conduttore è la ripetizione, la semplicità e l’intimità del mio songwriting. Suoniamo e registriamo quasi tutto live, questo ci distingue dal mondo della musica odierna, dove tutto è creato e modificato al computer. Ep1 che ancora ci definisce molto, è totalmente registrato dal vivo ed editato pochissimo”. 

P: “Ci piace sorprenderci, a noi per primi. Personalmente vivo per quel piccolo momento di spaesamento”.

T: “Il filo conduttore è che prima di quasi ogni concerto o sessione ci colpiamo a vicenda con asciugamani… spesso anche bagnati!”.

Per questa band che dalla nicchia sta cominciando a risuonare a livello internazionale, impresa non da poco, considerando i relativi pochi anni di vita del progetto (il primo Ep è del 2016) gli chiedo dove si sentono più a casa. Tommaso mi risponde “in Argentina”, per Danio è “dove lavoro e dove c’è la mia famiglia. Quindi ovunque nel mondo e a Bologna” mentre Pietro dice: “su Marte c’è un sacco di musica ma siccome non c’è nessuno ad ascoltarla nessuno ne parla”.

Foto di @milky.robinson

Adesso tornate a distanza di un anno sul palco del Covo, come ci arrivate?

D: “In aereo e senza soldi!”.

T: “Ci arriviamo con la nostra gang di Londra per intero. Fa sempre impressione suonare qui, per ovvi motivi. E come anche l’anno scorso ci finiamo a suonare verso la fine dell’anno, quindi è un’ottima location per ricapitolare l’anno passato e prepararci a ripartire carichi a molla per l’anno seguente”.

P: “Ascoltando Joe Cassano”.

Per finire, ci date una mini guida di Londra, per veri amanti della musica?

D: “Ti do le dritte per ballare all night baby! Bussey Building, la venue e club migliore di questa città, a Peckham. The Horse And Groom, a Shoredtich, i Dj mettono della musica disco della madonna”. 

T: “Allora direi che io parlerò ai vinyl freaks: Reckless Records, il più vecchio negozio di dischi di Soho e Music Exchange a Notting Hill Gate, con al piano di sotto un casino di dischi usati a poche sterline, di ogni tipo. In questi due negozi negli anni abbiamo trovato moltissimo materiale prezioso per i sample dei nostri pezzi”.

P: “I chaps del Total Refreshment Center, Church of Sound, Pacific Social Club e tutta la scena delle comunità creative nelle warehouses di north east London che resistono alla gentrificazione che avanza”. 

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