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“Il Fagotto”. Se la maternità è il destino di ogni donna. Il corto distopico di Giulia Giapponesi al Terra di Tutti Film Festival

05-10-2020

Di Luca Giagnorio

Come sarebbe un mondo in cui le donne avessero come unico futuro possibile la maternità?

Al Terra di Tutti Film Festival, rassegna di cinema sociale, arriva il cortometraggio Il Fagotto scritto e diretto da Giulia Giapponesi, che ci racconta una società distopica (ma con rimandi alla nostra realtà), dove la procreazione è la sola funzione sociale alla quale una donna deve adempiere durante il periodo di fertilità, pena la sopravvivenza.

Dopo avervi raccontato The Milky Way, film che aprirà il festival stasera, martedì 6 ottobre, vi raccontiamo questo corto che parallelamente inaugura la programmazione di film in streaming insieme ad altre quattro pellicole italiane e internazionali che avranno un unico filo conduttore: la donna.

Sullo schermo esistenze al femminile dai quattro angoli del globo, dall’Iran al Nepal, dalla Liberia all’Italia: sono storie di donne dai diritti negati, vittime di mutilazioni genitali e del modello patriarcale, e storie di emancipazione femminile.

Tutte le opere selezionate per lo streaming sono visibili gratuitamente in lingua originale con i sottotitoli, dalle 8 del mattino per 24 ore nelle specifiche giornate del festival segnalate nella programmazione, che trovate qui.

Guardare i film è molto semplice: basta iscriversi al portale del festival e accedere alle opere.

Il corto Il Fagotto sarà visibile in streaming nella giornata di oggi e anche, alla presenza dell’autrice, al Cinema Lumière (via Azzo Gardino 65/b) sabato 10 ottobre alle ore 20, all’interno di una serata dal titolo Brevi storie di genere insieme ai corti Extra Safe di Nouran Sherif e La scuola nella foresta di Emanuele Zuccalà.

La Giapponesi racconta un futuro distopico nel quale la denatalità sta causando la sparizione di un paese. Il Governo mette in atto politiche di pressione sulle donne e misure severe per quelle che non procreano. Al controllo annuale, l’incontro tra Bianca che ha 18 anni e suona il fagotto e Vittoria che invece ne ha 47 e ha solo un anno prima che il suo badge scada. Un evento che le obbligherà a dover decidere in un istante la direzione del loro futuro: qualunque scelta cambierà il destino delle loro vite.

Abbiamo visto in anteprima il corto e intervistato la regista per farci raccontare meglio il suo progetto.

 

Com’è nata l’idea di una storia che ruota intorno al tema della maternità?

“È un tema molto attuale nella società italiana, dove è in atto un fortissimo calo delle nascite. La crisi demografica è un problema serio e avrà gravi ripercussioni sul nostro welfare. Però l’idea paradossale di un governo che vuole spingere le persone a procreare, senza che sia una scelta spontanea da parte dei singoli individui, mi è venuta dalla contestata campagna del Fertility Day del 2016, quando l’allora Ministro della Salute Beatrice Lorenzin esortava le donne italiane a fare figli prima che fosse troppo tardi e a stare attenti alle minacce per la loro fertilità”.

Da qui l’idea della distopia?

“È l’idea di un incubo burocratico: un futuro distopico, ma non così surreale come può sembrare. Un incubo nel quale le donne devono confrontarsi con uno sportello governativo che indaga sulla loro vita personale e sulle loro abitudini affinché siano spinte in tutti i modi a fare figli e a essere utili alla società in cui vivono”.

 

Dove è stato girato il film? L’architettura è quella razionalista tipica del fascismo e Vedere un palazzo con l’insegna Casa delle Madri fa impressione.

“La storia della location è interessante perché abbiamo girato a Tresigallo, in Emilia, un piccolo paese in provincia di Ferrara che è stato interamente ricostruito durante il Ventennio con architetture razionaliste. È un luogo in cui consiglio di andare, perché sembra di trovarsi in un dipinto di De Chirico: è quasi deserto, tutto costruito secondo i dettami e lo stile dell’epoca. Un set perfetto per la nostra storia, rende perfettamente l’atmosfera oppressiva del film”.

Nel film non c’è alcun personaggio maschile. Da dove nasce questa scelta?

“Mi sembrava la scelta più coerente per la porzione di storia raccontata ne ‘Il fagotto’. In realtà mi piacerebbe poterne fare una serie, che ho già scritto e che ha anche personaggi maschili, sia positivi che negativi. Il corto è come se fosse un piccolo assaggio, infatti anche il finale è aperto. Comunque gli uomini sul set c’erano, però, come me, dietro la macchina da presa“.

 

Allargando lo sguardo a questo anno dominato dalla pandemia del covid-19, quale futuro vedi per il tuo settore?

“Non sono ottimista purtroppo, soprattutto riguardo la sopravvivenza dei cinema. Non sarà facile. Dobbiamo tutti ricordarci di non darla per scontata. Mi auguro che questa novità della programmazione in streaming, che ha coinvolto tutti i festival di quest’anno, possa portare qualche aspetto positivo, per esempio far circolare maggiormente e dare visibilità al mondo dei cortometraggi di fiction, che è sempre rimasto abbastanza sommerso. Inoltre so di tanti colleghi, oltre a me, che hanno sfruttato i mesi di lockdown per scrivere e far circolare le idee, potrebbe essere di buon auspicio per il prossimo futuro”.

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