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“Il primo giorno della mia vita” di Paolo Genovese. Il nuovo libro del regista di “Perfetti sconosciuti” diventerà un film

03-08-2018

Di Silvia Santachiara
Foto di Giulia Fini

Aretha è una mamma che ha perso la figlia.  E se c’è un termine per tutto, per questo no. Non troverete una parola che definisca questo tipo di lutto.

Napoleon fa il life coach e soffre di quel male sotterraneo e insidioso che è la depressione. Emily è un’ex atleta olimpica, oggi su una sedia a rotelle. E infine Daniel, un piccolo divo della pubblicità, bullizzato e incompreso.

Quattro persone; un uomo, due donne e un ragazzino.

Quattro persone convinte di essere arrivate al capolinea, di aver toccato il fondo, di non farcela più.

Uno sconosciuto le convince a fare un patto: sette giorni per andare avanti nel tempo e vedere come sarebbe il mondo senza di loro, cosa lasciano, cosa si perdono, quale la reazione di amici e parenti. Sette giorni per innamorarsi ancora della vita.

Poi si torna indietro e ognuno dovrà prendere una decisione.

L’incontro con il regista Paolo Genovese moderato da Gian Luca Farinelli, direttore della Cineteca Di Bologna

Paolo Genovese, uno dei più importanti registi italiani, accantona il nostro lato oscuro, i nostri demoni, per raccontare nel suo nuovo libro “Il primo giorno della mia vita”, la forza che irrompe quando si raschia il fondo.

“Venivo da due film oscuri, che indagano la parte buia dell’animo umano – ha spiegato Genovese dal palco del cortile dell’Archiginnasio nell’ambito della rassegna “Stasera parlo io” – In Perfetti Sconosciuti quanto poco conosciamo chi abbiamo accanto, in The Place quanto poco conosciamo noi stessi. Questa volta volevo raccontare invece una storia di ripartenza, di speranza, di fiducia nell’umanità. Volevo raccontare la forza che si trova quando si tocca il fondo, ma anche un’esigenza che si sente molto oggi: quella di essere salvati”

Due anni di lavoro e una storia che parla a tutti, nessuno escluso. “Le storie che ho scelto raccontano quattro mal di vivere attuali, che poi ho ribaltato – spiega il regista – Ho fatto una ricerca approfondita; ho visto psicologi, sono stato al centro suicidi e ne ho scelte quattro, anche se più volte mi sono fermato perchè è un tema in cui si rischia di essere banali, scontati”

L’incontro con il regista Paolo Genovese moderato da Gian Luca Farinelli, direttore della Cineteca Di Bologna

Quattro storie di disperazione, di dolore così profondo da non vedere più un motivo per continuare a vivere. “C’è una madre che ha perso un figlio e un motivatore che soffre di depressione, un male che colpisce il 65% delle persone e che nel suo sfumato va da un senso di disagio a cui non si sa dare una risposta fino ad una malattia totalizzante. Napoleon arriva perfino a dire: magari fosse morta mia figlia. Io mi sveglio ogni mattina come se fosse morta, e non lo è. Poi un’atleta, l’eterna seconda, l’eterna medaglia d’argento, che vive l’infelicità legata alle eccessive aspettative degli altri, che ‘ce la deve fare’. Infine un bambino di 12 anni, la categoria più a rischio perchè ne stiamo perdendo il controllo. Il loro punto di riferimento non è più la famiglia, ma i social network, l’esterno”

Quattro persone sole che però si avvicinano fino a diventare un gruppo improbabile, guidato da un angelo. “Che può essere qualsiasi persona che ci tende la mano. E che fa la differenza. A volte è la solitudine che amplifica una visione negative della vita”

Genovese affronta il tema della felicità facendoci guardare la vita da un punto di vista diverso, più relativo. “A volte basta fare un passo di lato, a volte basta avere qualcuno che ci aiuti a farlo”. E che non rimarrà su carta: “la voglia di farne un film è tanta e si, prima o poi sarà un mio film”

Infatti è già volato a Hollywood per lavorare a sceneggiatura e location, su cui non ha dubbi.

“Sarà ambientato a New York, un posto magico dove tutto può succedere. Dove se racconti la storia di un uomo che ha un piccolo negozio a Chinatown e che in una settimana cerca di salvare la vita ad altri, forse ci si può anche credere”.

E forse si, ci si può credere. Che l’ultimo giorno della vita, possa diventare il primo di una nuova vita.

“Di tutte le persone che abitano laggiù, quante sono davvero felici?

L’unica cosa importante è che abbiate malinconia della felicità. Solo così vi verrà voglia di cercarla”

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