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Voci artistiche e uno sguardo intimo sulla realtà: le nostre interviste per PhMuseum Days

10-09-2024

Di Beatrice Belletti

Giovedì 12 settembre inaugura l’atteso Festival Internazionale di Fotografia PhMuseum Days a Bologna, con la nuova edizione intitolata CLOSER, di cui vi avevamo già dato un assaggio del programma in anteprima. Il ritorno del festival quest’anno è un invito a fermarsi e osservare, a riflettere su cosa accada quando ci avviciniamo alle cose, perdendo di vista l’insieme per accedere ai dettagli più sottili e significativi.

La fotografia è il mezzo attraverso il quale interpretiamo e comprendiamo la realtà, ma cosa succede quando spingiamo lo sguardo oltre la superficie? CLOSER è l’esplorazione di questa domanda. Tra gli/le artisti/e in mostra, abbiamo selezionato tre voci distintive che ne incarnano perfettamente lo spirito e che abbiamo intervistato per voi: Pacifico Silano, Matylda Niżegorodcew e Beatriz de Souza Lima.

Pacifico Silano – Close-up. Courtesy of PhMuseum Days

Pacifico Silano

Silano esplora l’eredità visiva della comunità LGBTQ attraverso frammenti di riviste pornografiche degli anni ’70 e ’80, reinterpretandole per svelare nuovi significati. Le sue opere, descritte come “cavalli di Troia”, invitano lo spettatore a vedere oltre la superficie, affrontando temi come la mascolinità, la violenza e la perdita in un contesto storico segnato dalla crisi dell’HIV/AIDS.

“La tua opera ricontestualizza frammenti di un’epoca passata, trasformandoli in nuove narrazioni. Come decidi quali elementi ingrandire e isolare, e che ruolo gioca questo processo nel collegare il passato alle identità LGBTQ+ contemporanee?”

P.S. “Spesso cerco gesti e metafore specifiche che risultino rilevanti per il momento che stiamo vivendo. Il mio rapporto con queste immagini è in continua evoluzione. Le leggo sempre attraverso la lente del presente. Gran parte di ciò che scelgo di evidenziare e fotografare è basato su osservazioni che ho fatto su me stesso o su altri uomini gay. Quindi, spesso mi metto alla ricerca di quell’immagine nel materiale d’origine. Fortunatamente ci sono così tanti cliché che mi interessano, che non mi ci vuole molto per trovare ciò che cerco.”

Pacifico Silano – Close-up. Courtesy of PhMuseum Days

“Il concetto di “Trojan horses – cavalli di Troia” nelle tue immagini suggerisce che c’è molto più di quanto appaia a prima vista. Come utilizzi questa idea per sfidare o sovvertire le percezioni tradizionali di mascolinità ed erotismo nella tua opera?

P.S. “Mi interessa creare un oggetto artistico seducente che attiri lo spettatore. Col tempo, la natura più complessa di quella fotografia si svela. Lavoro con vari archetipi di mascolinità che feticizzano segni di potere, come quelli legati all’esercito e alla polizia, c’è una corrente sotterranea di violenza che permea questi tipi di fotografie, spesso in contrasto con le nostre idee sul desiderio. È questo gioco di attrazione e repulsione che mi interessa e che crea tensione nell’opera.”

“La fisicità della tua arte—stampata su tessuto e esposta su piattaforme modulari—aggiunge una dimensione tangibile, quasi scultorea, alle tue fotografie. In che modo questa materialità influenza l’interazione del pubblico con la tua opera, e cosa rivela del tuo processo artistico?”

P.S. “Sono davvero interessato alla fisicità della fotografia e a come possa occupare lo spazio in modi diversi. Le opere più vicine al suolo dello spazio espositivo riflettono la mia esperienza di disporre il materiale d’origine sul pavimento del mio studio. La maggior parte dei miei lavori li fotografo in questo modo o con il mio stativo. Ho realizzato una serie di queste immagini circa un anno fa, e non ero sicuro se le avrei mai esposte. Mi è sembrata una grande opportunità per condividere qualcosa di nuovo sul mio approccio alla creazione delle immagini. Anche le stampe in tessuto di grande formato sono entusiasmanti, perché sono immagini estremamente focalizzate che ho realizzato proprio durante il processo che condivido sulle piattaforme modulari.”

Matylda Niżegorodcew – Octopus’s Diary. Courtesy of PhMuseum Days

Matylda Niżegorodcew

Niżegorodcew si immerge nelle vite degli altri, vivendo per 48 ore come i suoi soggetti in un’esperienza performativa che sfida la nozione di identità. Con il suo progetto Octopus’s Diary, Niżegorodcew esplora la molteplicità dell’esistenza, creando un archivio aperto di vite parallele che riflette sulla fluidità dell’identità e la vulnerabilità umana.

“Il tuo lavoro implica un’immersione profonda, quasi esistenziale, nella vita degli altri. Come ti prepari mentalmente ed emotivamente per queste esperienze intense, e che impatto hanno sulla tua percezione di te stessa?”

M.N. “Prima dell’esperienza, cerco sempre di chiudere le questioni in sospeso. La parte più importante della preparazione è creare uno spazio di apertura nella mia mente. Provo a calmare i miei pensieri e a stimolare l’immaginazione per rendermi il più ricettiva possibile. Considero ogni esperienza come una sfida intrigante, dove vivo le mie fantasie, ma nella realtà. Allo stesso tempo, è uno scontro tra visione e realtà che solitamente crea in me una prospettiva del tutto nuova. Questa prospettiva mi fa sentire più vicina a me stessa.”

Matylda Niżegorodcew – Octopus’s Diary. Courtesy of PhMuseum Days

Octopus’s Diary è descritto come un archivio aperto e irrisolto di vite parallele. In che modo il progetto riflette i social media e il nostro atteggiamento verso la vita degli altri? E cosa speri che il pubblico colga dal concetto di vivere più vite in una?

M.N. “La tensione che si manifesta nei social media è molto simile a quella nel mio progetto. Ho toccato questo tema forse perché il fenomeno dei social mi ha colpito durante l’adolescenza e riguarda lo sviluppo della mia identità? Voglio lasciare totale libertà al pubblico. Spero che ciascuno prenda ciò di cui ha bisogno, magari trovando qualcosa che risuoni con il proprio vissuto.”

L’aspetto performativo della tua arte sfuma il confine tra osservatore e partecipante. Quali sfide affronti nel bilanciare l’autenticità della vita dei tuoi soggetti con la tua visione artistica?

M.N. “Per me, quello che accade durante l’esperienza è un’improvvisazione autentica. Sono aperta a tutto ciò che succede e lo catturo così com’è, o meglio, come lo vedo io. Non ho una visione specifica, tutto si basa sulle sensazioni. Forse è anche per questo che a volte è imperfetto e grezzo? L’autenticità dei personaggi mi ispira e mi dà una traccia: è quello che cerco, quindi in qualche modo funziona naturalmente insieme.”

Beatriz de Souza Lima – Trajectories. Courtesy of PhMuseum Days

Beatriz de Souza Lima

de Souza Lima fonde il mondo naturale con quello artificiale, creando un ecosistema ibrido in cui botanici e ospedali si sovrappongono. Nel suo lavoro Trajectories, i tropicali di un giardino botanico diventano un riflesso della sua esperienza personale, esplorando la cura e la connessione in spazi che, sebbene sembrino estranei, condividono una sorprendente somiglianza.

“Il tuo lavoro in Trajectories crea un collegamento affascinante tra l’artificialità dei giardini botanici e quella degli ospedali. Come è nato questo concetto e quali riflessioni hai maturato sulla natura della cura in questi ambienti?”

B.dSL. “Il concetto è nato durante le mie visite all’ospedale che frequento spesso. Andando lì, ho scoperto il giardino botanico e me ne sono innamorata subito, iniziando a documentarlo fotograficamente. Ho cominciato a scattare foto del giardino e dell’ospedale ogni volta che dovevo fare un esame o una visita in ospedale.

Le riflessioni che ho maturato sono che la cura in questi ambienti si manifesta in modi molto simili. Da una parte, in ospedale i pazienti vengono trattati attraverso un’infrastruttura artificiale; dall’altra, nel giardino botanico, queste piante tropicali hanno bisogno di un’infrastruttura complessa per essere mantenute in vita, come sistemi di irrigazione, riscaldamento e protezione. Ciò che mi stupisce è che, in entrambi questi luoghi, piante e esseri umani, nonostante gli ambienti freddi, cercano di creare legami: le piante attraverso radici e rizomi, e gli esseri umani attraverso il contatto e i legami emotivi.”

“La fusione di elementi organici e meccanici nelle tue immagini crea un ecosistema ibrido unico. Come approcci la composizione visiva di questi elementi e quali emozioni o reazioni speri di suscitare nel tuo pubblico?”

B.dSL. “Sono molto interessata a mescolare le macchine e i cavi del giardino botanico con quelli dell’ospedale. La composizione è venuta in modo molto naturale, perché quando ho iniziato il progetto, una delle cose che mi interessava di più era l’infrastruttura di entrambi i luoghi e come fosse essenziale per il benessere delle piante e dei pazienti. Un altro elemento che mi ha aiutato molto è la mia fascinazione per la fantascienza, che penso mi abbia ispirata a creare qualcosa di simile a un décor, mettendo in evidenza la stranezza e l’artificialità di entrambi gli spazi.

Cerco di evocare quel sentimento strano che provo quando entro in ospedale o nel giardino botanico, il senso di non appartenenza e la sensazione di essere in un ambiente protetto ma freddo.”

Beatriz de Souza Lima – Trajectories. Courtesy of PhMuseum Days

“Gran parte del tuo lavoro riflette una narrazione personale dell’essere osservata e accudita, curata; rispecchiando l’esperienza delle piante nelle tue fotografie. In che modo la tua storia personale influenza la tua percezione e la rappresentazione di questi spazi, e che ruolo ha la memoria nel tuo processo artistico?”

B.dSL. “La mia storia e la mia esperienza personale sono completamente legate a questo lavoro perché documento due luoghi che frequento spesso. Quando vado in ospedale, visito il giardino botanico per cercare calore e cura. Penso di aver cercato di trasmettere questa vulnerabilità, che provo in questi luoghi, nelle immagini che ho creato. Gli autoritratti con i cavi sono fotografie che mi hanno molto divertita, perché in un certo senso stavo cercando di creare un personaggio, ma allo stesso tempo era un’opportunità per inserire qualcosa di personale nella serie.

Penso che la memoria abbia un ruolo importante nel mio processo creativo. Quando ho fotografato il giardino botanico, ho riconosciuto molte delle piante tropicali dai ricordi della mia infanzia, e penso che ciò abbia cambiato il modo in cui le vedevo e le documentavo.”

Beatriz de Souza Lima – Trajectories. Courtesy of PhMuseum Days

 

Il festival non è solo una celebrazione dell’immagine, ma anche un invito a interrogarsi su come percepiamo la realtà. Come cambia la nostra visione delle cose quando ci avviciniamo, quando esploriamo i dettagli più minuti e ci lasciamo sfuggire l’insieme? In questa edizione dei PhMuseum Days,  Silano, Niżegorodcew e de Souza Lima ci offrono le loro risposte, ciascuno/a con un approccio unico che trasforma il familiare in qualcosa di nuovo e inaspettato.

Abbiamo posto loro un’ultima domanda comune: “Considerando la tua percezione personale, il filtro della società e la lente del tuo processo artistico: come descriveresti la natura umana?”

P.S. “Le mie osservazioni mi portano a dire che è piena di contraddizioni.”

M.N. “Un mix non ovvio di elementi unici. O più semplicemente: un puzzle.”

B.dSL. “Penso che sia una domanda molto complessa a cui rispondere in modo semplice, ma se dovessi provarci, direi che una delle cose che ci rende umani è prenderci cura l’uno dell’altro e cercare di creare legami, riconoscendo al tempo stesso l’importanza della vulnerabilità.”

Per chi desidera immergersi in queste prospettive artistiche, il festival offre un ricco programma di mostre, talk, visite guidate, workshop, presentazioni di libri e proiezioni, creando un’esperienza che promette di arricchire la nostra comprensione del mondo che ci circonda.

Matylda Niżegorodcew – Octopus’s Diary. Courtesy of PhMuseum Days

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