Visual

Italo Marzo e l’ansia nelle storie di Massimo Manzali

21-04-2020

Di Pietro Romozzi

È ormai da qualche tempo che sul profilo Instagram di Massimo Manzali (@maxmanz), illustratore bolognese, campeggiano due figure: una è snella, ha il volto nero e si chiama Italo Marzo, l’altra in realtà non si vede, ma si percepisce distintamente in ogni tavola, ed è l’Ansia, prodotto inevitabile della condizione di isolamento del protagonista…

…del protagonista, sì, ma anche nostra, superato ormai il mese di isolamento domestico. È facile allora rivedersi nelle tavole di Massimo Manzali e, colpiti dal suo progetto, lo abbiamo raggiunto – telefonicamente, ca va sans dire – per una chiacchierata.

Massimo ha alle spalle partecipazioni alla “24 Hours Italy Comics” e alla mostra “Frigidaire 1980-2010, 30 anni di Arte Maivista”, oltre ad una personale nel 2004; ma prima che come artista si presenta come lavoratore nel sociale, ambito in cui da circa trent’anni fa l’educatore professionale organizzando laboratori ed attività per persone senza fissa dimora e, in generale, per adulti.

L’attuale situazione sanitaria ha inevitabilmente fermato l’attività di laboratorio, ponendolo inoltre in una condizione di rischio, dato il contatto personale che il suo lavoro implica.

“Ho ripreso il lavoro artistico dei laboratori con il fumetto e l’illustrazione” ci dice, e da lì, “un po’ per condividere questo momento, un po’ per snellirne l’ansia” è venuto fuori Italo Marzo, anche lui educatore, anche lui isolato in casa”.

 

Dunque sei tu Italo Marzo, gli domando.

Massimo risponde candidamente di si. Le tavole raccontano queste strane e opprimenti giornate, ma soprattutto le armi che si possono utilizzare per combatterle.

Mi parla della prima tavola, dei libri che raffigura, come “Il Peccato e la Paura” o “La Nera Signora”. “La citazione qui non è fine a se stessa, ma è un modo per consigliare, per fornire chiavi interpretative di questo particolare momento”. Lo stesso nome del protagonista è in effetti una citazione: “Italo come Svevo, o Calvino; Marzo come il mese in cui questo assurdo periodo è cominciato”. 

“La citazione mi serve a far riflettere sull’ansia, figlia dell’assenza di parole: voglio ritrovare queste parole, perché c’è stato chi le ha scritte. Dobbiamo farne una nostra ricchezza, per acquisire una prospettiva e un vocabolario diverso”.

Obietto però che in un contesto come quello odierno, si utilizza spesso la citazione per mascherare un ignoranza di fondo. Bisognerebbe invece conoscere, padroneggiare il pensiero di qualcuno per poterlo citare “propriamente”, ma tutto ciò è faticoso e la mia impressione è che ci siamo intellettualmente molto impigriti.

“È vero”, prosegue Massimo “studiare, apprendere, costa fatica, mentre la nostra è una società che tende all’usa e getta, come già notava Pasolini negli anni ’70. E, infatti, la citazione non deve essere presa e consumata ma deve incastonarsi in un discorso, ed è questo che voglio fare attraverso il mio personaggio: raccontarmi mentre cerco di costruire un discorso, anche improvvisato, estemporaneo, attorno all’ansia”.

 

Possiamo allora, semplicisticamente, definire il tuo progetto una sorta di guida alla gestione dell’ansia?

“In parte si. Di fatto sto dicendo di provare con un bicchiere di vino, con la lettura di questo, con l’ascolto di quello, e così via”.

 

Oltre a un calice di vino e ad una buona lettura, nel caso di Massimo c’è anche il disegno.

 

A che serve disegnare con una pandemia fuori dalla porta?

“Disegno per tirare fuori le mie emozioni, ma anche per cercare nuove forme narrative per la realtà; perché la realtà non va subita, dobbiamo scegliere come la raccontiamo e da chi e come farcela raccontare”.

 

E il tuo stile nel disegno? Da dove trae ispirazione?

“Tendo ad essere “onnivoro”, non vedo cultura alta o bassa, ma solo ciò che è fatto bene o fatto male. 

C’è tanto: dal fumetto americano degli anni ’30 – ’40 alla scuola francese ai classici italiani. Cerco nel mio disegno di convogliare tutte queste sensazioni e questi stimoli e farne una sintesi personale. La mia non vuole essere solo una sintesi sul segno ma, per quanto possibile, anche sulla storia dell’arte”.

 

Ma, in conclusione, dopo aver conosciuto l’ansia e l’isolamento, dopo averla affrontata o disegnata, cosa impareremo? Cosa cambierà?

“Secondo me non cambierà niente. Mi piacerebbe che ci fosse un altro approccio alla realtà, una maggiore riflessione, ora che ne abbiamo il tempo, ma mi sembra che si frema piuttosto per tornare a fare l’aperitivo, e lo trovo un po’ triste”.

 

Come ne usciremo sarà il tempo a dircelo, e sul quando ne usciremo ci stiamo interrogando già da un pezzo.

L’unica certezza sembra lo stato d’attesa e quelli di Massimo Manzali sono certamente spunti interessanti sul come affrontarla.

 

La domanda successiva verte inevitabilmente sul costante bombardamento mediatico e sul marcato utilizzo di un lessico di guerra.

“Perché dovremmo accontentarci della sola voce dei media per elaborare una situazione così complessa? Ricorrere alla terminologia di guerra è sottrarsi allo spiegare “propriamente” cosa sta succedendo; anzi, aggiunge allarmismo ad una situazione già difficile. Il problema qui è sanitario e sociale, ed è quello di una società non basata sulle persone, ma sulle emergenze”.

 

In che senso sulle emergenze? Massimo fa l’esempio dell’emergenza freddo che scatta ogni anno per i senzatetto che, d’inverno, rischiano la vita. Il problema è, evidentemente, strutturale. Dunque è, come tale, che dovrebbe essere raccontato ed affrontato. Analogamente la crisi economica, eredità della pandemia, è un fatto evidente, ma mancano i piani e il “giocare d’anticipo” e, di nuovo, la narrativa dell’emergenza andrà a coprire una risposta (ci auguriamo di no, ndr) inadeguata.

Condividi questo articolo